Il giro del mondo in 70 coperti. Una mappa gustosa dei tesori del Pianeta. Una bussola per orientarsi nel nomade buon vagare. Un atlante dei sapori. Da aprire alla carta (geografica) che si predilige. Tutto questo è Spica. Sì, come la stella più luminosa della costellazione di Venere. Sotto il cui segno è nata Ritu Dalmia: radici indiane e rami around the world. Visto che a Delhi gestisce sette locali che vanno sotto il nome di Diva Restaurants. Visto che lo scorso anno ha aperto un altro Diva a Goa, nonché il ristorante Stella, presso la lussuosa Linthwaite House, nel Lake District del Regno Unito. E visto pure che nel 2017 ha inaugurato a Milano Cittamani. Sempre tenendo fede alla cucina indiana, ma non dimenticando quella italiana. Una delle sue passioni. Tanto da esser stata insignita (per ben due volte) dell’onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia. Riservata a coloro che si sono distinti nella promozione di una fertile liaison col Bel Paese.
Stella che torna a brillare con Spica. In via Melzo, al civico 9. Poco più in là di Porta Venezia. La seconda insegna “milanese” di Ritu e Analjit Singh (founder della Leeu Collection), che vede coinvolta anche la chef stellata Viviana Varese. Per via dell’amicizia, della stima, della fiducia e delle affinità elettive che la legano a Ritu. E per via pure del sodalizio lavorativo che ha visto Viviana cedere il 20% delle quote della sua Alicette srl a Riga Foods, la società di madame Ritu e di mister Singh. Il che significherà (prestissimo) anche un nuovo nome per il ristorante Alice, ospitato da Eataly Smeraldo: ViVa. Come Viviana Varese. E anche come vita, energia, vigore, dinamismo, stagionalità, sostenibilità, etica ed entusiasmo.
Tutti valori che alimentano il neonato Spica. A cui si aggiungono il senso del viaggio, della scoperta, della convivialità e della condivisione esperienziale. Un ristorante fatto col cuore, non un semplice concept. Un locale glocal. Capace di abbracciare il mondo, mettendo il mondo a tavola. Ma non in un unico piatto. No. Qui la contaminazione è diversa. Diviene più inclusione. Perché ciascuna portata è il ritratto dell’area geografica di cui si vuol far ambasciatrice. Ma il bello è che in una sera si possono assaggiare più portate, attraversando mari e oceani, deserti e pianure, colline e montagne, città e campagne. Spiluccando qua e assaggiando là. «Questa è una cucina democratica. Che tra l’altro non mi dà stress. Qui non devo mettere l’erbetta precisa. E i commensali sono liberi di spendere 20 euro così come 50», dice Viviana.
Perché Spica è semplice. È continente, contenuto e contenitore. È vicino e lontano. È un mélange di memoria e di attesa, di itinerari percorsi e di luoghi ancora da visitare. È quotidiano e straordinario. Consuetudine e avventura. Certezza e sorpresa. Rigore e stupore. E l’ambiente non va che a rafforzare la vibrante combo fra l’hic et nunc e l’infinito immaginario. Senza limiti e confini. Il progetto di interior - griffato Vudafieri-Saverino Partners - miscela infatti spiritualità e materialità, geometria e colore, suggestioni asiatiche e un palese tributo ai maestri del design milanese del ventesimo secolo. Mixando la rasserenante e radicale libertà espressiva - evidentemente ispirata alla terra indiana - di Ettore Sottsass, e il razionalismo, minimale ed essenziale, di Franco Albini. Per un impasto dall’ampio respiro cosmopolita.
E multiculturale è pure la brigata di cucina e di sala. Alla cui regia stanno Ritu e Viviana, in qualità di executive chef. Mentre ai fornelli operano Shivanjali Shankar ed Emiliano Neri; Ludovica Falez riveste il ruolo di restaurant manager e Mattia Bescapè (già al Cittamani) si occupa della mixology zone. Creando cocktail globetrotter, fieri di inanellare spirits, spezie e ingredienti provenienti da diverse parti del mondo. Da provare? Il signature “Spica”, summa di gin, limone, Falernum, menta, lamponi e miele; il “Mexican Sweet”, con tequila, more, Chartreuse gialla, liquore alla pesca, vanilla bitter, miele e limone; lo “Scottish Dragon”, a base di whisky, Italicus (rosolio di bergamotto), lime, sciroppo al gelsomino e bitter all’arancia; e il “Boom”, sintesi di gin, lime, liquore al chinotto, pino mugo e sciroppo di garam masala.
Drink perfetti anche per accompagnare le proposte in carta. Suddivise in veri e propri piatti e in pietanze sharing, da condividere. Ecco allora l’Europa, scandita dalla pasta o dal risotto, dalla pizza fritta con capocollo di Martina Franca e stracciatella e dal polpo alla galiziana, con patate baby, paprika dolce affumicata ed aioli. Ma ritmata pure dalla coca (una sorta di focaccia-schiaccia) maiorchina: con ricotta, cipolla fondente, albicocca caramellata e noci; e con peperoni arrostiti, stracciatella, patate e acciughe.
Per poi fare un salto nel Sud-Est Asiatico. Dove assaporare i tradizionali dim sum di Hong Kong (con funghi shiitake, champignon, enoki, black fungus ed olio al tartufo), oppure i bao (di farina di riso) al vapore con melanzana croccante e salsa malesiana. Non dimenticando la som tam, un’insalata di papaia verde e mango, arachidi, lemongrass e basilico caratteristica della Thailandia; e il bawmra, compendio di pomodori cotti, arachidi, aglio, cipolla disidratata e tamarindo tipico del Myanmar. Da cui proviene pure la khao suey, zuppa di cocco speziata con spaghettini e pollo. Mentre chi ama il Giappone può ordinare i ramen (anche di patate) con brodo di maiale e pollo, verdure e uovo marinato.
Ma ecco il Subcontinente Indiano. E la possibilità di fare un salto a Mumbai col keema pao, un ragù di carne speziato con pomodoro e cipolla abbinato a una soffice bruschetta di pane; e di raggiungere il Rajasthan, assaporando il kadi samosa, fagottino triangolare fritto, ripieno di patate e spezie con salsa di yogurt. Per poi camminare per le strade di Delhi, gustando la paratha (piadina indiana) con pollo alla brace, chutney alle erbe e lenticchie; e con formaggio paneer e noci, chutney di mango e lenticchie. Salsa allo yogurt sempre a far compagnia. Finché il dosa conduce al sud dell’India: crespella di farina di riso e lenticchie con patate, idli (tortini) di riso al vapore, lenticchie e chutney di cocco e pomodoro.
Ma neppure l’America è lontana. Quindi? Via col Messico, fra nachos, guacamole e tortillas multitasking: con patata dolce e avocado; con spezzatino di maiale; con baccalà croccante e jalapeño. Il tutto servito con corredo di pico de gallo, guacamole e panna acida. Ma non manca la tostada, tortilla croccante che va in tandem con tre tipi di ceviche di pesce (ricciola, polpo e gamberi). Per un accenno di Perù. Mentre le costolette di maiale arrostite al barbecue con pannocchia, purè e verdure guidano sino negli Stati Uniti.
E per dessert? Bombolone fritto con gelato alla nocciola; tiramisù; panna cotta al cocco e lemongrass; waffle al cioccolato con caramello salato e gelato alla vaniglia; e sticky rice con frutta esotica. Per uno sweet trip. Girovagare che continua con i vini: dal francese “Petit Chablis” del Domaine William Fèvre al campano “Ravello” di Marisa Cuomo; dall’israeliano Cabernet Sauvignon “Yarden” (traduzione ebraica del fiume Giordano) della Golan Heights Winery all’argentino Malbec di Altos Las Hormigas; dall’australiano Shiraz by Oxford Landing Estates all’altoatesino Pinot Nero di Franz Haas. Volo panoramico che non trascura le birre. Vedi la “Otto Cubano”, dall’aroma di whisky torbato, del Birrificio Milano e la dorata “Punk Ipa" dello scozzese BrewDog; la blanche “Always Standing” della brewery piacentina La Buttiga e la floreale “Bloemenbier” del fiammingo De Proef Brouwerij; la delicata “Vienna” della maison trevigiana (ma d'ispirazione triestina) Theresianer e la fresca “Tripel Karmeliet” del birrificio belga Bosteels.
Un’internazionalità che coinvolge pure gli orari di apertura di Spica, la cui cucina e il cui bancone bar sono operativi dal lunedì al venerdì, da mezzogiorno a mezzanotte; e il sabato dalle 18 alle 24. Una sera alla settimana: dj set.