Mu. “Come albero in cinese”, spiega il giovane e determinato Liwei Zhou: classe 1987, radici a Qingtian - nella provincia sud-orientale dello Zhejiang - e da poco più di un anno al timone del MU fish di Nova Milanese. Poco lontano dal caos metropolitano e calato in un’atmosfera suburbana dall’anima contemporanea. Un grande loft dalle linee geometriche e dalle luci soffuse. Uno spazio ampio e arioso, le cui scelte cromatiche e materiche rimandano garbatamente alla natura. Visto che pietra, vetro e legno si rincorrono, valorizzando lunghi tavoli conviviali ricavati da vecchi tronchi d’albero. Mentre i bonsai fanno capolino qua e là e stampe giapponesi ornano la sala dei tatami.
Mixa il MU fish. Suggestioni orientali ed elementi occidentali. Incarnati nella maxi cantina a vista. Trasparente e cristallina. Come la cucina. E come il banco del sushi, dove si muove - perfettamente a suo agio - Wenxing Jiang. “Non mi stanco mai di preparare il sushi”, svela lo chef. Che realizza in casa tutte le salse, da quella di soia alla ponzu, dalla wasabi alla gazpacho thai, dalla chili alla yakiniku. Puntando dritto alla qualità. Per dare massima continuità alla proposta. “Ci vuole armonia”, precisa Liwei. Scrupoloso e maniacale nel suo essere attento ai minimi dettagli.
Di yuzu, shiso, zenzero e tartufo
La proposta culinaria? È un dinamico viaggio verso l’Oriente asiatico. Quello della Cina, del Giappone e della Thailandia. Un iter variegato, che si lascia piacevolmente contaminare dall’Occidente, dal Mediterraneo e dal made in Italy. Un percorso culinario e intellettuale, in cui nulla è dato per scontato e l’inaspettato è lì… a sorprendere il palato. Anche grazie a piatti “fuori menu”. Anzi, “speakeasy” come dicono qui. Un esempio? Il branzino cotto al vapore, impreziosito da zenzero e carote marinati nel sake e allagato da olio bollente e salsa di soia. Umami puro. Un’ondata di delicatezza e sapidità.
Ma fuoriclasse è pure l’hosso sushi. “Un hossomaki speciale, senza alga e dalla forma rettangolare. Quasi venisse srotolato”, tiene a precisare William Franco, sommelier e addetto alla sala. Voilà dunque una base di riso sushi pronta ad accogliere tartare di salmone, erba cipollina, tabasco, maionese, crema di avocado, olio al tartufo bianco e pasta kataifi. Giusto a dare la nota crispy. Il tutto servito su una foglia di banano.
Lo yaki meshi fa parte invece del menu. A pieno titolo. Un mélange di tre tipologie di riso (venere, bianco e glutinoso), pronte a legarsi a gamberi e verdure miste. Rassicurante e intrigante. Forse già noto, ma con un quid in più.
Pesce insomma. Megafono della globalità culturale. Portavoce di differenti tradizioni orientali, capaci di lasciarsi influenzare da uno spirito più europeo dell’assaporare. E le tipicità della terra del dragone non sono certo esenti da questa visione. Primi su tutti i dim sum. Ravioli al vapore, fieri di sfilare e di regalare bocconi insoliti. Eccoli, in pasta al tè verde con ripieno all’astice, cialda croccante e uova di pesce volante. Ed eccoli anche con verdure; con spinaci e gamberi in pasta cristallo (così detta perché sottile e traslucida), filetto di branzino e tobiko black; con gamberi rossi, alga nori e capasanta scottata. Non dimenticando il cha siu bao: un panino sofficissimo farcito con coppa di maiale caramellata. E per chi volesse fare una full immersion nelle tipicità della cucina cinese? Mister Zhou ha appena aperto a Milano il MU dimsum, in zona Stazione Centrale. Il claim? Sempre “taste oriental”.
Ma si sa, le regole hanno la loro eccezione. Che può divenire eccezionale. Come il carpaccio di razza piemontese. Sì, a un carpaccio di scottona leggermente scottata e condita con una salsa a base di pomodorini, shiso e yuzu. Complici sesamo nero e bianco. Non da tagliare ma da cogliere con le bacchette. Altri piatti crossover? Il millefoglie: tonno e burrata con pomodoro, sfoglia croccante e olio al tartufo bianco. Le capesante con crema besciamella e pasta kataifi. E il gâteau foie gras: tortino di daikon con foie gras e salsa di bosco. Mentre la tartare di salmone con salsa alla papaia, frullata con mele e carote, si svela in tutta la sua eleganza. Perfetta per aprire la cena.
Anche se poi i grandi classici nipponici tornano. Come il sashimi special: ventresca di tonno (toro), branzino, scampi, gamberi, sgombro giapponese e pesce burro, condito con lime e tobiko. In sintesi: l’eleganza del mare.
Wine o twist?
Ben rifornita la cantina. Di grandi classici e di qualche etichetta selezionata da William. Vedi il Rosé della modenese Cantina della Volta. Un vero outsider: uve lambrusco di Sorbara (coltivate lungo i terreni alluvionali del fiume Secchia) sublimate in uno spumante metodo classico. Un vino aromatico dalle nuance di rosa e melagrana. Ideale con molte pietanze del ristorante. Anche se col branzino ben si accompagna il “Campo al Mare”, un Vermentino di Bolgheri griffato Tenute Ambrogio e Giovanni Folonari. In alternativa? Si può pasteggiare sorseggiando i cocktail creati dal bartender Sergio Testaverde, un palermitano adottato da Milano. Che propone il suo raffinato Asian Mule.
“Io sono amante del Negroni, ne realizzo persino alcune varianti. Ma mi piace anche preparare sake infusi allo zenzero, all’ume e al tè genmaicha”, aggiunge Sergio. Che osservando la bottigliera indica il whisky Nikka (un pure malt black) e il Kinobi, un dry gin by The Kyoto Distillery. Fra le botaniche: yuzu, pepe sansho, foglie di bambù, cipresso giapponese, tè verde gyokuro e acqua di Fushimi. Celebre per la sua purezza e morbidezza.