Morsi urbani

    L’Evoluzione (e la Concezione) di Catania

    Si può raccontare una città con la pizza? Lele Scandurra lo fa, giorno dopo giorno, spicchio dopo spicchio. Anche grazie alla sinergia con amici e colleghi locali. La cena a quattro mani con Manuel Tropea lo ha dimostrato. In un tributo alla tradizione popolare, riletta in chiave contemporanea

    “Catania va scoperta vanedda dopo vanedda”. Traduzione: vicolo dopo vicolo, viuzza dopo viuzza. E se lo dice lui c’è da crederlo. Lui: Gabriele Scandurra. Catanese che più catanese non si può. Nato nel 1991 e cresciuto fra le strade e i cortili di un quartiere alquanto complicato qual è Librino. “Che è un po’ come dire lo Zen di Palermo e lo Scampia di Napoli”, precisa Lele. Che non si lascia risucchiare dalla negatività, per ragionare sempre con ottimismo. “Avevo iniziato a frequentare l’istituto alberghiero, ma l’ho lasciato, perché sognavo di fare il calciatore. Poi le cose sono andate come sono andate. A volte è difficile, è più facile prendere una brutta strada. A 19 anni mi sono chiesto chi volevo essere davvero. Ero disorientato. Combattuto fra il tornare a scuola e il lavorare. Per fortuna ero circondato da persone che mi volevano bene e mi sostenevano. Così mi sono messo in gioco, e ho capito che non dovevo andare a sinistra, ma destra”, racconta Lele. Che fa il lavapiatti, il fattorino, l’aiutante cuoco, il barista. Finché zia Laura gli insinua un dubbio: “Chissà, magari ti potrebbe piacere fare il pizzaiolo”. E Lele ci prova. “Sono andato a Nicolosi, a lavorare con lei, per un mese, gratuitamente, dalle 14 alle 2 di notte. Ho iniziato a vedere la luce, mi sono sentito rigenerato. La zia mi spiegava tutto, e io seguivo i suoi insegnamenti. Come quello di mescolare la semola rimacinata di grano duro e la farina bianca. Il locale si chiamava Flora - Pizza e Cucina e usava prodotti top: il piacentinu ennese, il prosciutto crudo di suino nero dei Nebrodi. Era già avanti. In più l’insegna si trovava all’interno di un albergo, il che significava una brigata di cuochi. A loro va il merito di avermi stimolato, portandomi a una visione evoluta e diversa della pizza. Lì ho capito che la pizza stava cambiando. Lì ho trovato la mia identità”. Una maturità che Scandurra riversa nella sua creatura: L’Evoluzione, aperta nel cuore pulsante di Catania nel 2022, insieme al sodale Alessandro Coco.  

    In alto, Lele Scandurra nel campo evolutivo (foto di Thorsten Stobbe) e un dettaglio de L'Evoluzione, a Catania. In basso, Lele, le sue pizze e la sua brigata

     

    Adottando un raccolto (di grano evolutivo)

    L’Evoluzione perché incarna la crescita di Lele. L’Evoluzione perché sintetizza genesi e sviluppo, passato e futuro, ieri e domani. “Io mi definisco un #pizzaioloevolutivo”, precisa Scandurra. Che naturalmente ha aderito al progetto Adotta un Raccolto, iniziativa firmata Petra Molino Quaglia, in sinergia con Simenza e il suo capitano Giuseppe Li Rosi. “La cosa che mi affascina di più è pensare cha a ottanta chilometri da Catania venga coltivato un grano autentico, che finirà nella nostra pizza, dedicata ai nostri clienti”, commenta lui. Che utilizza la farina Petra Evolutiva in maniera versatile: “Con lei prepariamo persino qualche dolce. Ma in primis entra al cento per cento nell’impasto della pizza contemporanea. E poi la utilizzo, insieme alla semola rimacinata e al farro monococco, nel padellino. Inoltre Petra Evolutiva è protagonista - in alternanza con maiorca e segale etnea - nella tonda tradizionale siciliana. Si tratta di una pizza piuttosto rustica, cotta in forno per tre minuti e mezzo. La sua stesura è tutta particolare, non somiglia né a quella a ruota di carro né a quella contemporanea”. Impasti profondamente siciliani. Per farciture altrettanto regionali. Capaci di valorizzare il genius loci. Come accade nella Margherita sicula, complice il pomodoro siccagno, e nella Carbonara sicula, cui concorre la crema di fonduta di cosacavaddu ibleo; come succede nel Ricordo di una Parmigiana e nella Spremuta di Sicilia, summa di datterini gialli schiacciati a mano e semi dry, crema di stracciata, filetti di acciughe del Mediterraneo, glassa di agrumi dell’Etna e finocchietto selvatico. “Questa pizza l’ho ideata prendendo spunto da una ricetta di Accursio Craparo (alla guida del ristorante stellato che porta il suo cognome, a Modica, ndr). Anzi, è un omaggio ad Accursio”. Sicilia, Sicilia, Sicilia. Il che significa anche pistacchi di Bronte e vastedda del Belìce, salame di Sant’Angelo di Brolo (nel Messinese) e salsiccia cunzata artigianale. “E con l’autunno arrivano anche le castagne, i tartufi e i funghi dell’Etna”, precisa Lele.      

     

    “Amo ciò che faccio, perché esprimo ciò che sono”. Lele Scandurra

    In alto, Manuel Tropea e la Contemporanea Norma alla brace, realizzata con Scandurra. In basso, la pizzetta in tripla cattura e alcuni momenti della serata dedicata a Catania

     

    L’Etna e l’elefante

    C’è la Sicilia. E c’è la città rosazzurra nella testa e nel cuore di Scandurra. Che ha persino organizzato una quattro mani - anzi, una Catania al quadrato - con un amico chef come Manuel Tropea: classe 1993, originario del quartiere Picanello e patron del ristorante Concezione. “È stato l’incontro di due amici e di due professionisti, che hanno voluto mettere al centro il loro pathos per Catania. Non dimenticando le ricette storiche, ma guardando avanti”, continua Lele. E la parola d’ordine dell’evento - C351 (come il finale del codice fiscale di chiunque sia un catanese doc) - già annunciava una full immersion nell’urbe del Teatro Massimo Bellini e del liotru, l’elefante, emblema e icona di perseveranza e resilienza, pronto a mostrarsi sullo stemma cittadino e sulla settecentesca fontana (collocata in Piazza del Duomo) progettata dall’architetto Giovanni Battista Vaccarini. “Catania è caotica e frenetica. Catania è piena di tante mani. Catania si muove e smuove. Catania è casa, è contaminazione, è aggregazione. Catania è curiosa. Catania è una bella donna che si prepara e si agghinda a festa, attendendo qualcuno che la ami. Catania ha bisogno di avere voce e coraggio”, ammonisce Manuel. Che nel centro del petto ha tatuata una sola parola, scritta a caratteri cubitali: Catania. Con corredo di elefante, Etna e simbolo araldico della Trinacria. Catania riassunta in un piatto (di Tropea) come Good Morning in Catania, tradotto in pizzetta grazie alla combo con Scandurra. “Volevamo riproporre in maniera attuale la pizzetta tipica dei panifici cittadini. Una pizzetta fragrante, a base di semola rimacinata di grano duro e farina Petra Evolutiva, cotta a vapore a 130°C, fritta a 180°C e rimessa nel forno statico a 230°C”. Sopra? Battuto di fichi e gelatina di fichi d’India, vongole e cedro candito, glassa di pomodoro e cagliata di mandorle amare, polvere di bucce di melanzana e polvere di pala di fico. “Praticamente in ogni morso trovi Catania. E ti orienti”, raccontano Lele e Manuel.  

    In alto, il Doppio crunch sognava di essere una cipollina. In basso, la chiacchiera salata, la brigata e il Pane e minnulata

     

    Passeggiando, spicchio dopo spicchio

    Un omaggio e un tributo alla città bedda la cena messa in scena dai due catanesi. Orgogliosi pure della chiacchiera con capuliato di pomodoro e maionese di tenerumi dell’Etna. “Le chiacchiere sono un dolce tipico del carnevale, ma noi l’abbiamo rivisitata in versione salata. Utilizzando gli scarti dell’impasto della nostra pizza sottile, stesa con il matterello”, dice Lele, in un inchino al riciclo sostenibile. Mentre la Norma finiva sulla pizza al padellino. “La Norma è un primo piatto simbolo di Catania. Ma noi desideravamo avesse la consistenza di una bruschetta e che evocasse la brace (e gli iper local arrusti e mangia, ndr). Così abbiamo preso un pomodoro cuore di bue, grosso e spesso, e lo abbiamo cotto sulla brace viva, come se fosse una bistecca. Spennellandolo con il miele di ape nera sicula, affinché si caramellasse e producesse la reazione di Maillard”, spiega Manuel. Che non trascura fondo di melanzana, ricotta di bufala ragusana, aceto di lamponi ed emulsione al fieno. Una Catania che si è andata delineando, portata dopo portata, spicchio dopo spicchio, vanedda dopo vanedda. Con tanto di sosta in rosticceria. Da qui il Doppio crunch che sognava di essere una cipollina. “La cipollina è un must delle rosticcerie catanesi. Si tratta di una sfoglia rustica, condita con cipolla stufata, pomodoro, formaggio e prosciutto. Anche se un tempo il prosciutto non c’era, perché gli insaccati non fanno parte della nostra cultura”, svela Lele. Che con Manuel ha servito una pizza in teglia farcita con cipolla cotta sotto la cenere, salsa messa a segno con le inflorescenze dell’alliacea, provola ragusana ed estratto di pomodoro, lasciato fermentare dai tre ai cinque mesi. Per esaltare appieno il suo spirito umami. A suggello? Un crumble di pane raffermo al farro e sale di Trapani, accompagnato da un gelato con susine e cavolo viola fermentato, dalla verve leggermente acida. “Il tutto amplificato dalla presenza dell’olio al peperoncino”, puntualizzano i due. Che difendono il bread, proponendolo pure per dessert: Pane e minnulata. Quindi: pane al cacao amaro, cotto e ricotto al vapore (per renderlo più soffice), e zuppetta alle mandorle. A ricordare la granita, ma pure la scodella con pane e latte. Maturità e infanzia, origine ed evoluzione. 

    Pizza fritta & co. alla Friggitoria Popolare, sempre a Catania

     

    Friggendo l’anima popolare

    Un ancoraggio a doppio nodo quello fra L’Evoluzione e Catania. Dove è nata un’altra creatura scandurriana, anche grazie al sodalizio con Marco Timpanaro, che col fratello Giacomo guida Scirocco Sicilian Fish Lab. “Sì, abbiamo aperto Friggitoria Popolare, all’interno del mercato ittico (in via Gisira, ndr). L’idea è sempre quella di partire dalla tradizione dei panettieri cittadini, ma realizzando impasti più scattanti e contemporanei”, afferma Gabriele. Che nella friggitoria pop si scatena in tutto quello che è lo street food del Regno delle Due Sicilia: dagli arancini ai crocché, dai fiori di zucca alle fritattine di pasta alla Norma, dalla mozzarella in carrozza alla pizza fritta. Con chiaro riferimento a quella di Zafferana Etnea, a foggia di mezzaluna, chiusa come un calzone e pronta ad accogliere condimenti di mare e di terra. Così come Catania è lì, in equilibrio fra ’a Muntagna e il Mediterraneo.

    T: Cristina Viggè

    16-10-2024

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