Tributi territoriali

    La gratitudine dei Butticè

    Nel cuore di Monza battono tre cuori siciliani. Quelli di Antonella, Salvatore e Vincenzo. Tre fratelli che al ristorante Il Moro stanno facendo un gran lavoro di mappatura territoriale. Rendendo omaggio alla Brianza che li ha accolti, alla Sicilia che li ha visti nascere e a un’Italia che li ha fatti crescere

    Orgoglio senza pregiudizio. Fierezza scevra di malinconia. Inquietudine priva di solitudine. La sicilitudine dei Butticè è ben diversa dal neologistico concetto varato - come ben rammenta Leonardo Sciascia - da quel poeta-pittore-scrittore avanguardista che fu il palermitano Crescenzio Cane. Ed è una sicilitudine diversa anche da quella tratteggiata da Gesualdo Bufalino (e Nunzio Zago) in Cento Sicilie: “Soffre la Sicilia di un eccesso di identità, né so se sia un bene, o se sia un male. Certo per chi c’è nato dura poco l’allegria di sentirsi seduto sull’ombelico del mondo, subentra presto la sofferenza di non saper districare tra mille curve e intrecci del sangue il filo del proprio destino”. La sicilitudine dei Butticè - girgentini di Raffadali - mantiene la complessità, la polifonia e la molteplicità dell’essere e del sentirsi siciliani, per tradurla in un’attitudine positiva e propositiva. Per trasformarla in un’abitudine intrisa d’ottimismo: quella di osservare il mondo e gli accadimenti della vita con assoluta gratitudine. Perché loro, IButticè - scritto tutto attaccato, quasi fosse la griffe corale di tre fratelli legatissimi (Antonella, Salvatore e Vincenzo), hanno ben saputo districare le trame e gli intrecci delle proprie radici. Trovando il bandolo della matassa e arrivando a decifrare e a codificare il significato di un saper fare che collega intimamente (e inevitabilmente) passato e futuro, memoria e ricerca, ricordo e rinnovamento. Loro, Vincenzo, Salvatore e Antonella, la matassa l’hanno sbrogliata e srotolata. Sublimandola in tre menu - proposti nel loro Moro di Monza - capaci di ripercorrere gli aggrovigliati rivoli delle loro esistenze ed esperienze. Rendendo omaggio ai territori che abitano e che hanno abitato. In un autentico grazie alla Brianza, alla Sicilia e a quelle regioni italiane che li hanno accolti.

    Salvatore, Antonella e Vincenzo Butticè, titolari del Moro, a Monza

     

    Il valore della Ri-conoscenza

    Ecco allora la Brianza, condensata, concentrata, valorizzata nel tasting Ri-conoscenza. Una collezione di portate che è sì riconoscenza, gratitudine e tributo, ma che è pure conoscenza, indagine, riscoperta e rivelazione. “La Brianza l’abbiamo girata in lungo e in largo, scandagliandola e setacciandola metro per metro, per disegnare una vera e propria mappatura produttiva. È stata un’esperienza straordinaria, perché abbiamo scoperto una terra ricchissima, sia in termini di biodiversità naturale e rurale sia in termini di biodiversità umana. Abbiamo conosciuto produttori giovani e meno giovani. Abbiamo conosciuto Teresa, un’agricoltrice che si occupa di ortaggi. Una delle prime ad aver introdotto il biologico in Brianza. Abbiamo conosciuto un produttore di formaggi di capra, che ci ha accolti con gli stivaloni. Abbiamo conosciuto chi coltiva ben cinque tipologie di mele autoctone. A settembre ce le darà e creeremo un piatto. Abbiamo conosciuto Francesco, allevatore di bovine, che ci ha congedati consegnandoci una busta. Dentro c’erano una mortadella di fegato, un salame e un cacciatorino. Erano anni che non mi capitava di assistere a un gesto tanto generoso”, racconta felice Vincenzo (il maggiore dei bros), ripercorrendo, fra aneddoti e curiosità, un viaggio esplorativo che li ha condotti ad affondare occhi e cuore fra i sentieri del Parco Regionale di Montevecchia e della Valle de Curone. Facendo emergere le tante eccellenze che vanno sotto il segno del Consorzio Terrealte. 

    In alto, i fratelli Butticè e la sala del ristorante (foto di Valentina Gallimberti Ballarin). In basso, la maison La Costa, a Valletta Brianza

     

    Brianza al plurale

    Una Brianza dinamica, brillante, forte e gentile quella scoperta dai Butticè. “Animata da piccoli produttori. Loro hanno come punto di riferimento i mercati locali e rionali. Non sono organizzati per la distribuzione e per servire i ristoranti. Questo significa che devi essere tu, in prima persona, ad andarli a trovare. Ma questo è il bello. Questo è l’indice di un’economia rurale e artigianale vera. Da cui anche la nostra scelta etica. Sono loro a dirci quello che hanno e che ci possono dare. Sono loro a dettare le regole. Non noi. E noi ci adeguiamo”, continua Vincenzo, in un saggio messaggio di sostenibilità. Ma non finisce qua. Ora il tridente Butticè propone il menu Ri-conoscenza, dando voce alla Brianza più popolare, agreste e contadina. Ma il progetto include tante altre letture del territorio. Perché il territorio invita a svariate chiavi interpretative. Anche alquanto colte. “Stiamo facendo una ricerca particolare, cercando di capire quali cibi si consumassero durante le differenti dominazioni asburgica, napoleonica e sabauda. Ci piacerebbe portare a tavola una sorta di conflitto di classe. Inoltre stiamo coinvolgendo accademici e studiosi per indagare la cultura gastronomica aristocratica brianzola, nonché quella ecclesiastica. Il nostro è un progetto aperto, pronto a dar respiro alle variegate sfumature della Brianza. Un altro obiettivo fondamentale è quello di realizzare una pagina dedicata ai vini brianzoli. Perché la nostra è un’area fortemente vocata alla viticoltura. Vorremmo dare visibilità ai piccoli produttori. Ci stiamo lavorando”, continua Vincenzo, il food scout della famiglia. Mentre Antonella è la grande dame della sala e Salvatore è il rex della cucina. Colui che ha captato i parallelismi fra le apparentemente distanti Brianza e Trinacria: “Si tratta di due terre molto più simili di quel che sembra. Pensiamo alla capra girgentana e ai formaggi caprini di Montevecchia. Pensiamo alla pecora brianzola e alla cultura della pecora in Sicilia. Certo, nel primo caso il legame è più con la carne ovina, mentre nel secondo con il latte. Ma la pecora resta un caposaldo. E pensiamo pure al maiale, pensiamo ai sapori agrodolci e pensiamo al gelso. Ci ho fatto un dessert”. Ebbene sì, il gelso. “Anche se qui in Brianza la sua coltura è più legata all’allevamento dei bachi da seta. Ma i gelsi vi sono eccome”, precisa Vincenzo.       

     

    “Forse la nostra forza è quella di guardare la Brianza da lontano, super partes. Senza preconcetti e senza pregiudizi”. Vincenzo Butticè  

    In alto, alcuni eleganti dettagli del ristorante (foto di Valentina Gallimberti Ballarin). In basso, alcuni piatti del menu Ri-conoscenza: il coniglio, la patata di Montevecchia e i bottoni in infuso di ortica

     

    Di conigli, patate e caprini

    Un’interpretazione moderna, agile ed elegante della Brianza quella di Salvatore, Antonella e Vincenzo. Che da ben diciotto anni vivono nella provincia siglata MB. “Praticamente la stessa quantità di tempo che ho trascorso in Sicilia”, ribadisce Salvatore. Sì, una Brianza contemporanea quella proposta nel menu Ri-conoscenza. “Perché in questa terra non si mangia solo cassoeula. Anche se sto già pensando a come poterla rileggere”. Nel mentre si concentra sul coniglio - di una delle aziende agricole del Consorzio Terrealte -, icona ed emblema del cortile. Coniglio cucinato in umido, disossato e servito con latticello di yogurt brianzolo, asparagina di Montevecchia, erbe spontanee e olive nere della cultivar nocellara del Belìce. “Perché un tocco di sud noi lo mettiamo sempre”, commenta sorridendo Salvatore. A lato: pâté di coniglio - messo a segno con le frattaglie - su crostino al burro. Nel calice: l’aureo e fresco Bacca, elogio al vitigno verdese (indigeno delle colline intorno al Lario) targato La Costa, la maison guidata da Claudia Crippa in quel di La Valletta Brianza. Perfetto anche per accompagnare il ben riuscito matrimonio fra la patata di Montevecchia e il gorgonzola dolce, con perle di miele del Parco di Monza (quando disponibile) a far da corollario. Poi arrivano loro, i bottoni, a tenere ben saldi il "mare fuori" (uno smeraldino infuso a freddo a base di ortiche della Valle del Curone, timo limonato e un compendio d’erbe che cambia periodicamente) e la farcia dentro (di primo sale di capra della Fattoria Selva di Bosisio Parini, in provincia di Lecco). Da pescare col cucchiaio. Magari sorseggiando il Rosato, sempre by La Costa. Luminosa e sapida summa di pinot nero e syrah. Aka l’internazionalità della Brianza.  

     

    “Si lavora nel, con e per il territorio”, si legge sul sito IButticè.  

    In alto, i bros e il risotto monzese vs milanese. In basso, il manzo California, l'entrée dedicata al rosone del Duomo di Monza e il dessert intitolato a San Gerardo

     

    Welcome in California

    Un nettare delle Terre Lariane il Rosato che ben supporta anche una pietanza cult del menu: il risotto monzese vs milanese. Una sorta di yin e yang, bianco e giallo. Un Giano bifronte, preparato live. Da una parte il risotto con luganega e riduzione di vino rosso; dall’altra un risotto allo zafferano (agrigentino, dell’azienda di Gaetano Casà) e midollo di vitello. Miseria e nobiltà, in declinazione brianzola (con un accenno di sicilitudine). Alla California invece è il manzo. No, nulla a che fare con gli Stati Uniti, anche se dallo stato americano provenivano i migranti che diedero il nome alla frazione di Lesmo. “Si tratta di una preparazione, ma pure di un metodo di conservazione della carne, che tradizionalmente prevede la presenza di latte o panna, burro e aceto. Noi in genere utilizziamo un diaframma o una bavetta di manzo, che facciamo maturare per una quindicina di giorni, che mariniamo-massaggiamo con un estratto di aceto di vino rosso, per poi procedere con la cottura alla brace. Al fianco, una salsa a base di latte e cipolla, marinata nell’aceto e cucinata a fiamma dolce. Perché vogliamo tirar fuori la linfa dell’ortaggio. Infine aggiungiamo shiso, tagete ed erbe spontanee, come lo spinacio acqua”, spiega Salvatore. Che, post predessert (sambuco, anice stellato, passion fruit di Licata e mandarino di Ciaculli), presenta il dessert, dedicato a San Gerardo, patrono di Monza. Traduzione? Una deliziosa combo di ciliegie e caprino. “Una cheesecake in Brianza”, commenta la giovane pastry chef Lara Mariani, affiancata dal sous-chef Roberto Suevo. La meglio gioventù, che in sala ha il garbo di Marzia Hoxha.    

     

    “Il piatto deve essere comprensibile, di facile lettura. Quando arriva a tavola deve colpire. Facendo vibrare le corde delle emozioni”. Salvatore Butticè

    In alto, il gambero rosso siciliano e i pistacchi di Raffadali. In basso, alcuni momenti al ristorante Il Moro catturati da Valentina Gallimberti Ballarin

     

    In Sicilia… e a spasso per l’Italia

    Batte la Brianza nel cuore dei Butticè. Che certo non tradiscono la loro terra natìa. Così, dopo un Viaggio d’autore in Sicilia, in un solenne inchino a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Luigi Pirandello, Giovanni Verga e Andrea Camilleri, ecco il new tasting In Sicilia con IButticè. “Che racconta la Sicilia della nostra infanzia e della nostra adolescenza. Una Sicilia della spensieratezza”, dichiara Salvatore. Che dà forma alla sicilitudine, esaltandola nel gambero rosso di Mazara del Vallo. Trattato come fosse un cannolo: battuto a foggia di cialda, ripieno di caponata (pomodoro, melanzane, olive, miele, sedano, sale e aceto) e rifinito ai lati con i pistacchi di Raffadali. Fieri di arricchire anche i leggendari paccheri, sempre in tandem con i gamberi. “Perché noi giocavamo fra gli alberi di pistacchi, e salivamo pure sui trattori”. Mentre alle pareti scorrono le opere della mostra temporanea - sempre in collaborazione con LeoGalleries di Monza - firmata dall’artista catanese Maurizio Pometti. Nord e sud. Tutto si fonde nella cucina del Moro. Che non dimentica di celebrare gli altri territori. Quelli dove i Butticè sono andati e sono stati, per lavoro o per vacanza. Alimentando il loro bagaglio di sapienza ed esperienza. Fra le tappe di A spasso per l’Italia? Pinerolo 1995-1996: un fermo immagine su peperoni e alici, presenti sia nella cultura isolana sia in quella piemontese (bagna cauda docet), complici ostrica gillardeau e caviale. Che torna, con ricci e spaghetti, a dare un senso alla sosta in Puglia (dal 2010 al 2013). Napoli (1998-2000) è invece tutta nella mela non sana, alias una melanzana in bilico tra pomodoro San Marzano (passato e in polvere), provola affumicata di Battipaglia e gelato al basilico; la Costa Smeralda (2002-2006) è sintetizzata in una catalana di aragosta; e la Versilia (1989-1990) si dipana fra pescato, patate, pomodorini e olive. Praticamente una biografia da mangiare e ricordare. 

    In alto, i fratelli Butticè e il servizio del pane. In basso, gli amuse-bouche, una delle opere dell'artista catanese Maurizio Pometto e la piccola pasticceria

     

    Prolegomeni al viaggio

    Attenti, concentrati, appassionati. Antonella, Salvatore e Vincenzo sanno sempre cogliere l’essenza e il genius loci: della Brianza, della Sicilia e di quelle zone del Bel Paese che hanno avuto la fortuna di conoscere. Creando itinerari da assaporare, in una gustosa trama esperienziale. Un romanzo in tre capitoli, che ha pure una prefazione. Una sorta di prequel, di preambolo, di prologo, di premessa che tutto annuncia e tutto lascia presagire, in nuce. Grazie a una serie di amuse-bouche in equilibrio fra nord e sud. Così l’arte lombarda del pâté sposa le sarde, da spalmare su un panino al vapore (con origano e ragusano), per dare origine a un pane cunzatu. Cui concorre un chutney di cipolla rossa di Tropea e bianca brianzola. Mentre a tavola appaiono pure lo sfincione palermitano, il rosone del Duomo di Monza (con caprino brianzolo e perlage di tartufo) e la panella croccante. “Che in realtà è a sua volta una sintesi fra le classiche panelle e i ciceri (ceci, ndr) caliati (cotti, ndr) sul carbone. Con tanto di limone e gel di pepe”, puntualizza Salvatore. Che presenta anche i grissini al mais e al peperone, la focaccia, il pane di grano russello e una brioche al doppio burro, sempre avvolta dal mais. “Prepariamo una polenta che poi facciamo asciugare e soffiare”. Sì, i Butticè un po’ brianzoli sono diventati. Anche se poi alla terra patria tornano sempre. E lo fanno anche il prossimo 13 agosto con la soirée Fine Dining Sotto le Stelle, nella magia mistica del sito archeologico della Valle dei Templi, a Casa Diodoros e a pochi passi dal Tempio della Concordia. L’iter degustativo? Un banchetto iconico e simbolico, una raffinata narrazione che si dipana fra il qui, l’ora e l’allora. Rievocando la saggezza dei filosofi, il fascino degli dei e gli antichi miti.

    T: Cristina Viggè

    17-07-2024

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