Liguria contemporanea

    Cà du Ferrà: il Levante è verde e turchese

    A Bonassola, in terra spezzina, Davide Zoppi e Giuseppe Aieta raccontano una Liguria luccicante, vibrante e attualissima. Partendo dal passato e dal recupero di vitigni rari e dimenticati. Per dar respiro a vini che profumano di sole e d’azzurro

    "Verticalità non è solo scoglio, dirupo, precipizio e vertigine. Verticalità è anche il coraggio di gettare il cuore oltre l’ostacolo”, spiega con serenità Davide Zoppi. Che oltre l’ostacolo non ha gettato solo il cuore ma pure i semi per il futuro del Levante Ligure, prendendo le redini di Cà du Ferrà: tuffata là, in una Bonassola che se ne sta quieta, erta e tranquilla nella provincia spezzina. A due passi dalle Cinque Terre e perfettamente in bilico fra il Golfo dei Poeti e il Golfo del Tigullio. Questione di equilibrio e di armonia (sopra la follia). Ma questione pure di pendii, di terrazzamenti, di muretti a secco, di vigneti eroici, di discese ardite e di risalite. Ben lo sanno Davide e il marito Giuseppe Luciano Aieta, che lo affianca nella vita e nell’avventura enoica. E ben lo sapevano i genitori di Davide, fieri d’aver cambiato le sorti della “casa del fabbro”: Antonio Zoppi e Aida Forgione. Ligure lui, campana lei. Titolare di un’impresa di costruzioni lui, commerciante lei. Forte, coraggiosa e determinata come la protagonista dell’opera verdiana, della quale porta fieramente il nome (per merito del nonno, musicista al Teatro San Carlo di Napoli). Sono loro infatti, all’incipit del terzo millennio, i founder di una maison illuminata sin dalla sua nascita. Una casa allargata - per via dei terreni acquistati passo dopo passo - dove forgiare nuovi vini. Laddove prima si ferravano i cavalli. 

    A Bonassola, i vigneti di Cà du Ferrrà osservano il mare. Dall'alto

     

    Di mosto, memoria e salsedine

    “In tutto quello che facciamo noi ci mettiamo il cuore. Ho cercato di trasformare il senso di giustizia in qualcosa di realmente tangibile”, continua Davide. Capace di aver tradotto la sua laurea in giurisprudenza in un impegno etico e civico, concentrandosi sulla valorizzazione di un territorio e sulla rigenerazione di un territorio. “Ora abbiamo cinque ettari e undici vigneti diversi, che vanno dai 50 ai 400 metri sul livello del mare. La vendemmia è un lavoro certosino, che dura anche 45 giorni”, confessa Zoppi. Alla regia (dal 2017) di un’azienda giovane e saggia, le cui viti osservano il mare, respirando la salsedine e restituendo profondità e mineralità. Vigneti polivarietali (con corredo di certificazione biologia) che inanellano vitigni a bacca bianca quali vermentino, albarola e bosco, nonché uve a bacca scura come merlot, ciliegiolo, granaccia, syrah e il raro e prezioso vermentino nero. Non tradendo varietà antiche e (ahimé) dimenticate. Perché qui sta la vera sfida messa in atto da Davide e Giuseppe (ingegnere con un master in finanza): recuperare e reimpiantare, per non dimenticare. Riportando alla luce vitigni come il rossese bianco, il picabon, l’albarola kihlgren. Per dare voce alla biodiversità e alle tante sfaccettature regionali. “Il nostro percorso prende ispirazione dalla Liguria del passato per portare nel mondo l’idea di una Liguria moderna, animata da una bellezza contemporanea”, precisa Davide. Che per il recupero della memoria parte proprio dal ruzzese, anche grazie al sostegno della Coldiretti La Spezia, della Regione Liguria, del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Torino e di Slow Food. Anzi, nel dicembre 2022 a Bonassola è nata la Comunità Slow Food per la Protezione e Valorizzazione del Ruzzese del Levante Ligure. Un progetto ambizioso, che intende dare un raggiante futuro a una cultivar rimasta per troppo tempo in ombra.   

    In alto, Davide e Giuseppe camminano fra le loro vigne. In basso, un fermo immagine sulla terra e sulle viti

     

    Un vitigno antico e modernissimo

    Ha grappolo spargolo, acini piccoli e buccia corposa. Il vitigno ruzzese è unico nel suo genere. Anche per quel suo essere resiliente alla siccità e per quella sua capacità di mantenere una spiccata acidità. Una cultivar ambasciatrice del genius loci: quello della Riviera di Levante, dove già a partire dal sesto secolo si diffonde, sublimato in un vino passito morbido e suadente, apprezzato tanto dai contadini quanto dagli aristocratici. Si dice infatti che Papa Paolo III Farnese (in carica dal 1534 al 1549), su consiglio del fido coppiere Sante Lancerio, amasse sorseggiarlo “alla stagione del fico buono, mangiatolo mondo et inzuccherato”. Un vino regale (anzi, papale). Una celebrità. Almeno fino ai primi del Novecento. Poi? La fillossera gli taglia le gambe (ma non le radici) e per molto tempo è il vitigno bosco a prendere il sopravvento. Finché nel 2007 la Regione Liguria decide di riscoprire i vitigni storici regionali, coinvolgendo il CNR e L’Istituto Nazionale di Protezione Sostenibile della Vite. E così il professore Franco Mannini e la professoressa Anna Schneider si imbattono nella pianta madre del ruzzese, ripescandola nel comune di Arcola. Da lì la rinascita e la risalita, cui ha contribuito pure Cà du Ferrà. “Siamo partiti piantando 77 barbatelle, che in cinque anni sono diventate 1.500, e nel 2020 abbiamo fatto la prima vendemmia”, ricorda Davide, premiato, in occasione della 54esima edizione del Vinitaly, come Viticoltore Etico 2022. Una vendemmia tardiva quella del ruzzese, i cui grappoli, una volta raccolti, subiscono un lungo appassimento in cassette della frutta, per circa due mesi: dalla fine di settembre alle fine di novembre. Da lì la sgranatura manuale (e naturale) e la vinificazione. “Vanta 14 gradi di tenore alcolico, ma è assolutamente dinamico e scattante. Ne produciamo 500 bottiglie”, rivela lui.  

    Davide Zoppi presenta la produzione di Cà du Ferrà, in cui spicca una bottiglia turchese

     

    Azzurro fragrante

    Un vino dorato e brillante il Ruzzese. Che respira il mare, affondando le radici nella terra. Un vino che si fa notare, non solo per la sua etica, ma pure per la sua estetica. “La sua bottiglia viene immersa in una vernice marina. Quella che si usa per tinteggiare le barche”, ammette Zoppi. Mostrando l’esile bottiglia trasparente: pulita, minimale ed essenziale, tuffata per buona metà nel turchese. O meglio, nel Pantone 6034. Un azzurro pastello, ormai eletto a iconico tono della maison. Pronto addirittura a divenire il refrain della maison, lasciando il segno su scatole, libretti e brochure. Intanto anche la capsula in gomma lacca del Ruzzese si tinge di turchese, insieme al suo nome, scritto tutto attaccato e da scandire tutto d’un fiato: diciassettemaggio. “È una dedica a Giuseppe, nato il 17 maggio”, sussurra Davide, in un gesto d’amore e di stima. “L’Intraprendente invece sono io, Davide”, confessa poi, indicando un altro passito bianco, figlio di bosco, vermentino e albarola. Come lo Schiacchetrà, pur non essendo uno Schiacchetrà (perché fuori dalla doc). Segni particolari? In etichetta compare un bimbo accovacciato e concentrato, intento nella pesca. Mentre al palato dispensa note floreali di ginestra, sfumature di erba di campo, nonché accenti fruttati di frutta candita. Un nettare elegante e scintillante, ma al tempo stesso verticale e abissale. “Anche in questo caso tutti i grappoli, dopo l’appassimento, vengono sgranati a mano, in un vero e proprio rituale”, commenta Davide. Felice della sua cantina: una casetta verde circondata dal verde (di un uliveto). Che, in località San Giorgio, guarda il mare dall’alto di una collinetta. Anzi, i tour nei vigneti hanno inizio proprio da qui, per poi snodarsi fra sentieri, orti, filari, coltivazioni di fragole, more e lamponi bio, nonché un apiario animato da 300mila api. 

    I soleggiati vigneti di Cà du Ferrà

     

    Il tocco di grazia. Anzi, di Graziana

    Ed è proprio in cantina dove si sente la mano (e la mente) di Graziana Grassini, enologo di fama internazionale che firma pure la messa a segno delle bottiglie di Cà du Ferrà. “Siamo rimasti conquistati dal suo profilo e abbiamo tentato di contattarla per coinvolgerla nel nostro progetto di crescita professionale ma anche personale. Non ci aspettavamo che avrebbe accettato di collaborare con noi praticamente da subito. In lei abbiamo riscontrato un’umiltà rara in questo ambiente e una grande umanità”, commenta mister Aieta. E così madame Grassini non solo ha colto al volo la sfida, ma ha pure dichiarato: “Ho accettato di collaborare con questa azienda dopo aver assaggiato i suoi vini. Sono già intervenuta sul finissage di alcune etichette e credo che sia già stato fatto un importante passo avanti per migliorarne ulteriormente la qualità, ma soprattutto per rendere il vino di Cà du Ferrà ancor più riconoscibile, grazie al lavoro e al coinvolgimento di tutti”. Perché sta tutto lì: nell’identità, nella personalità e nella riconoscibilità di un’azienda. Che in questo caso non solo è associata alla Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), ma che è entrata pure a far parte dei volumi - editi da MultiVerso - TavoleDOC Liguria (arrivato alla quinta edition) e CantineDOC Liguria. “La Liguria è orgogliosamente passata dall’essere Cenerentola della viticoltura nazionale a diventarne la principessa: nella produzione, laddove si è persa la quantità, c’è stato un esponenziale miglioramento della qualità. Oggi la regione non ha nulla da invidiare alla grande tradizione degli altri territori vocati alla produzione di vino”, spiega l’autore Virgilio Pronzati. E Cà du Ferrà tiene alto il vessillo dell’autorevolezza, grazie a etichette che fanno della distinzione e della diversità virtù.

    Un lavoro di passione, attenzione e concentrazione quello di Davide e Giuseppe

     

    Veleggiare solare e assorto

    Ecco allora Bonazolae, summa di uve vermentino, albarola e bosco, aggrappate alle vigne più rasenti all’onda. Pronte a evocare, grazie al genitivo latino, quel senso di appartenenza alle colline di Bonassola. Un bianco vigoroso ed energico, fresco e sapido, radioso e ventoso, in grado di scompigliare il palato fra nuance iodate e fruttate. Più avvolgente, caldo, rotondo e rassicurante è invece il Luccicante: poetico e colto assolo di vermentino che mutua il nome dal bagliore (quasi accecante) del mare al suo fondersi col sole. Un nettare pieno, polposo e succoso. “Le sue uve vengono dal vigneto più alto. Per raggiungerlo ci vogliono le scarpe da trekking. Ma poi dall’alto la vista spazia sul Mediterraneo. E nelle giornate più terse si intravedono la Gorgona, Capraia, persino l’Elba. Del resto la nostra tenuta è davvero un anfiteatro naturale che si allarga a 180 gradi sull’alto Tirreno. Talvolta scorgendo persino il Monviso”, rivela Davide. Dando fiato anche alla mission aziendale: produrre vini autenticamente autoctoni, ma al contempo capaci di un respiro più ampio e dilatato. Lo si capisce assaggiando Magia di Rosa: riuscitissima alchimia di tre vitigni che dialogano fra loro in un solo vigneto, a 230 metri sulla baia di Bonassola: sangiovese, vermentino nero e syrah. “Bevendolo pare di veleggiare fra Liguria, Corsica e Toscana”, spiega la coppia che va dalla a alla zeta (Aieta-Zoppi). Mentre il rosso ’Ngilù raccoglie tutte e sei le varietà della vigna, concentrando in bottiglia sangiovese e ciliegiolo, merlot e granaccia, vermentino nero e syrah. “È dedicato a nonno Angelo, dalle origini beneventane. È un rosso tutto nostro, marino. Che sa di frutta, di spezie e di sale. Un rosso che parla di Liguria, ma non solo”, aggiunge Davide. 

    Cà du Ferrà significa vino, ma pure ospitalità

     

    Keep Farm & Relax

    Intanto Davide e Giuseppe accolgono gli ospiti. Per una degustazione, per una visita guidata, per un matrimonio in vigna o per un soggiorno. Certo, perché Cà du Ferrà non è solo cantina, ma è pure agriturismo: il più vicino al mare di tutta la Liguria. A soli 400 metri dalla spiaggia di Bonassola. Un buen retiro dall’aura rurale e bucolica. Che all’ombra di fichi, ortensie e gelsomini allarga le braccia a tutti coloro che abbiano voglia di nutrirsi d’incanto e meraviglia. Grazie alle camere del Casottino e del Mulino (che conserva ancora la ruota originaria). Un agriturismo che segue la regola delle 3R: rispetto per le persone, rispetto per gli animali e rispetto per l’ambiente. Della serie, la biancheria è asciugata al sole, piante e giardini sono trattati con prodotti biologici, la carta utilizzata è riciclata e le lampadine sono a risparmio energetico. Senza trascurare il monito a scoprire e riscoprire il territorio al ritmo lento di bici e treno. Per una mobilità pienamente sostenibile.

    T: Cristina Viggè

    02-07-2024

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