Nelle Terre di Pisa

    Badia di Morrona: l’ospitalità è sacra

    A Terricciola, fra Pisa e Volterra, alla scoperta di una Toscana diversa, libera e selvaggia, spettinata dal vento. Una campagna autentica, dove nasce il vino, dove si produce l’olio e dove l’accoglienza segue i ritmi slow della natura

    “Stiamo lavorando affinché questo territorio possa acquisire un’identità forte. Affinché venga riconosciuto per la sua bellezza e per la sua diversità. E devo ammettere che, finalmente, c’è un po’ di movimento”. A parlare è Filippo Gaslini Alberti, che con la sorella Alessandra guida Badia di Morrona, storica tenuta di Terricciola, Città del Vino che affonda le sue radici nelle campagne di quelle Terre di Pisa in perfetto equilibrio fra la Torre Pendente e Volterra. Con il Mar Tirreno a far da sentinella. “Noi non vogliamo fare vini simili al Chianti Classico o al Brunello di Montalcino. Vogliamo fare vini che siano nostri. Con la loro spiccata mineralità. Ecco, forse saranno vini più lenti da lavorare, ma sono vini di grande personalità”, spiega l’enologo Adolfo Benvenuti. Giusto a rimarcare l’orgoglio di appartenere a un territorio “altro”. Che si sta facendo strada piano piano. Anche grazie alla sua doc Terre di Pisa, nata nel 2011. E grazie al Consorzio Vini Terre di Pisa, costituito nel 2018 e che già conta una quindicina di maison. Fra cui Badia di Morrona: 600 ettari di selvaggia e domata meraviglia, nutrita da fitti boschi di lecci, querce e cipressi, da campi a seminativo e da una riserva di caccia. Il tutto lasciando spazio a 105 ettari di vigneti, a 40 ettari di uliveti (cultivar frantoio, moraiolo e leccino) e a una serie di casali (ciascuno con piscina privata), per un totale di 110 posti letto. Fra ville e appartamenti. Una tenuta esclusiva, dallo spirito inclusivo. 

    A sinistra, Filippo Gaslini Alberti e la nuova generazione. A destra, alcuni vigneti della tenuta

     

    L’antica badia…

    Una lunga storia quella della Badia di Morrona, fondata nel 1089 da Ugo dei Cadolingi, conti (urbani) di Pistoia e poi conti (rurali) di Fucecchio. Gestita inizialmente dai monaci benedettini cluniacensi e in seguito dai camaldolesi, diviene (nel 1482) la residenza estiva dei vescovi di Volterra, perdendo le funzioni d’abbazia. Ma non finisce qui. Post Unità d’Italia, la badia passa di proprietà in proprietà - anche per quella dei Canessa di Livorno - sino all’acquisizione, nel 1939, da parte di Italo e Mario Gaslini, figli di Egidio, a sua volta fratello di Gerolamo, illuminato fondatore dell’ospedale pediatrico di Genova. Sì, insomma, una famiglia sensibile e visionaria. Visione amplificata grazie all’avvento di un nuovo Egidio (figlio di Italo): noto anche come Duccio (con corredo di secondo e nobile cognome Alberti, perché adottato dall’ultimo discendente del ramo genovese dal quale proveniva Leon Battista Alberti), padre di Filippo e Alessandra e fautore della grande evoluzione-rivoluzione della tenuta, sul finir degli anni Ottanta. Il che significa acquisizione di nuovi vigneti, interventi di reimpianto, miglioramento delle tecniche agronomiche e lavori di ristrutturazione delle vetuste cantina e barricaia, che rappresentavano una sorta di dépendance dell’abbazia. Riportata anch’essa agli antichi fulgori, tant’è che oggi i visitatori possono accedere al chiostro, al refettorio dei monaci, ai giardini e alla chiesa romanica (consacrata) di Santa Maria a Morrona (costruita intorno al 1152). “Tanti si voglio sposare qui. E festeggiare qui”, precisa Filippo. Entrando in chiesa. Fra una copia della Madonna dipinta dal Maestro di San Torpè (influenzato da Cimabue e Giotto), affreschi settecenteschi e un crocifisso ligneo, risalente alla fine del Trecento-inizi del Quattrocento.  

    La tenuta Badia di Morrona conta in toto seicento ettari di terreno

     

    … e la cantina di nuova generazione

    Sacro e profano. Rigore ed estro. Calma e vigore. Spirito local e respiro global. Antico e contemporaneo. Tutto si mescola alla Badia di Morrona. Che può contare su una cantina modernissima, posizionata a Morrona, frazione di Terricciola. Segni particolari? Il suo non essere impattante. Anzi, il suo essere parte integrante del paesaggio, celata com’è nella collina. Una cantina a più livelli, nella quale si fa notare la maxi sala circolare, pronta ospitare sia le barrique, utilizzate per l’affinamento dei vitigni internazionali, sia le grandi botti in rovere, destinate al vitigno autoctono, principe della tenuta: il sangiovese. “Sessanta ettari sono tutti per lui”, precisa con fierezza Filippo. “Abbiamo un impianto fotovoltaico di 2 megawatt e quattro più piccoli da 100 chilowatt per alimentare la cantina, il frantoio e l’agriturismo. Ai quali si aggiunge un impianto di fitodepurazione delle acque”, continua mister Gaslini Alberti. Confermando la vocazione ecologica della cantina. Sostenibilità che prosegue (o meglio, inizia) nelle vigne (a cordone speronato e guyot). Dove viene applicato il principio della lotta integrata. Traduzione: pratica del sovescio (con una leguminosa come il favino); concimazione organica a base di letame di pecora e vitello; sfogliatura, per arieggiare i grappoli; potatura con forbici elettriche, utilizzando l’energia del fotovoltaico; e lavorazione manuale e puntuale (in primis nei vigneti che danno i vini più prestigiosi). Il tutto non dimenticando un microclima unico - in cui le alte temperature vengono mitigate dalle correnti marine - e un mosaico di suoli sui generis. Basti pensare che nei terreni a base argillosa si alternano sabbia e sassi, ciottoli di fiume e lastroni di travertino, friabili pietre grigie e fossili resilienti, risalenti al Pliocene e Pleistocene. A dimostrare e a rammentare l’antichissima presenza del mare. 

    Badia di Morrona produce anche il Felciaio, un assoluto di vermentino, e il Vivaja, figlio rosato del sangiovese

     

    Tre vessilli nel calice

    Ed è prezioso di sabbia, fossili e sassi bianchi (aka le marmettole di Carrara) il vigneto più alto della tenuta, che domina una collina, a 230 metri di altitudine. Da cui il toponimo VignAalta e da cui un vino che porta lo stesso e iconico nome. Figlio del sangiovese, solo del sangiovese. Un cru. Un autorevole Terre di Pisa doc, che fermenta in acciaio, affina per 24 mesi in botti di rovere francese (da 25 ettolitri) e riposa per tre mesi nelle vasche di cemento. Risultato? Un Sangiovese intenso e persistente, eppur fresco e slanciato, fra note di spezie e frutti rossi. Parla invece la lingua di Bordeaux il N’Antia, “come antica in vernacolo toscano”, puntualizza Filippo. Un rosso profondo, ampio e complesso, ottenuto da cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot. Tutti provenienti dalla stessa vigna “vecchia”, con oltre trent’anni di età. Un nettare di carattere, come la sua vigna-madre. Un’etichetta che si fa riconoscere, fra accenni balsamici e fruttati. E poi? C’è lui, il Taneto, un blend di syrah, sangiovese e merlot, figlio delle parcelle più ricche di fossili della maison, come la Vigna Disperato. Un vino glocal, con syrah e merlot che trascorrono un anno in piccoli fusti di rovere francese, mentre il sangiovese se ne sta nelle botti più capienti. Per poi incontrarsi nelle vasche in cemento e restare dieci mesi in bottiglia. Un vino vellutato e suadente, pronto a esprimersi fra nuance di cannella e pepe nero. Un suggerimento: visitare gli ambienti che ospitavano la vecchia cantina (vicino alla badia), per scoprire tre teche speciali, che esibiscono e custodiscono exempla di terreni delle tre vigne: VignAalta, N’Antia e Disperato. Per capire, vedere e toccare con mano la diversità.

    Le etichette più iconiche della tenuta pisana

     

    Autorevolmente pisani

    Sangiovese. Protagonista assoluto (e in assolo) anche di un altro vino-bandiera dell’azienda: I Sodi del Paretaio Riserva. Che sosta per 18 mesi in botti di rovere francese da 44 ettolitri, per poi fare un passaggio in cemento e finire in bottiglia. Mentre suo fratello minore, I Sodi del Paretaio d’annata contempla sangiovese (all’85%) unitamente a cabernet sauvignon, merlot e syrah, conoscendo solo acciaio e cemento. Per un vino piacevole e versatile, dal tannino morbido e dalla verve floreale. In etichetta delle annate 2020 e 2022? Sempre l’emblematico fregio, ma riletto in chiave minimalista e stilizzata. D’altro canto sono i fiori a caratterizzare le etichette dei vini più dinamici della Badia di Morrona. Come il Felciaio, vermentino brillante, solare e scattante; il Vivaja, un delicato e minerale sangiovese rosato; e La Suvera, incontro felice fra chardonnay (che passa sei mesi in barrique) e viogner. Una collezione ampia, trasversale e poliedrica. Perfetta per incontrare carni e pesci, arrosti e selvaggina, salumi e formaggi. Ideali (specialmente se stagionati) anche col Vin Santo, prodotto a partire da uve di trebbiano, malvasia e colombara. Senza dimenticare la grappa (in tiratura limitatissima): ambrata e fragrante voce delle vinacce. Perché si sa, del vino non si butta nulla. Mentre è nel frantoio di proprietà che nasce l’extravergine di famiglia. Anche se il frantoio rimane a disposizione di chi abbia necessità di lavorare le olive.

    In alto, la tenuta e il suo frantoio. In basso, i vigneti, la cantina e le sue vasche in cemento

     

    Vis à vis con la toscana selvaggia

    Visite in cantina, degustazioni, tour in vespa o in e-bike. E ancora, cooking class, momenti di relax a tu per tu con lo yoga, cacce al tartufo e full immersion nella vendemmia. Tante sono le occasioni per conoscere, in maniera lenta e tranquilla, la tenuta e il territorio nel quale è incastonata. Inclusa la possibilità di soggiornare nei casali diffusi, tuffati nei seicento ettari della maison. Dimore e appartamenti a tutto comfort, che spesso prendono il nome dei vini (a loro volta toponimi, a rinsaldare il legame col genius loci). Ma che si chiamano pure Villa La Selvicciola, Villa San Luigi e Villa Sant’Angiola. Dove alcune camere sono battezzate con Francesca, Lorenzo e Niccolò: la new generation dei conti Gaslini Alberti (che, tra l’altro contano un’altra tenuta in Piemonte, ad Isola d’Asti: i Poderi dei Bricchi Astigiani). E non manca certo una locanda: La Fornace, dove assaporare la cucina tipica toscana, fra pasta fatta in casa, crostini, bruschette e bistecche alla fiorentina, cotte sulla brace en plein air. E per entrare in diretto contatto col paesaggio? Grazie alla collaborazione con Yunicube, è possibile vivere un’esperienza unica, etica ed eco, dormendo all’interno di un cubo super funzionale (e iper attrezzato), costruito in materiali naturali. Per sentirsi into the wild.

    T: Cristina Viggè

    19-10-2023

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