Ed è prezioso di sabbia, fossili e sassi bianchi (aka le marmettole di Carrara) il vigneto più alto della tenuta, che domina una collina, a 230 metri di altitudine. Da cui il toponimo VignAalta e da cui un vino che porta lo stesso e iconico nome. Figlio del sangiovese, solo del sangiovese. Un cru. Un autorevole Terre di Pisa doc, che fermenta in acciaio, affina per 24 mesi in botti di rovere francese (da 25 ettolitri) e riposa per tre mesi nelle vasche di cemento. Risultato? Un Sangiovese intenso e persistente, eppur fresco e slanciato, fra note di spezie e frutti rossi. Parla invece la lingua di Bordeaux il N’Antia, “come antica in vernacolo toscano”, puntualizza Filippo. Un rosso profondo, ampio e complesso, ottenuto da cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot. Tutti provenienti dalla stessa vigna “vecchia”, con oltre trent’anni di età. Un nettare di carattere, come la sua vigna-madre. Un’etichetta che si fa riconoscere, fra accenni balsamici e fruttati. E poi? C’è lui, il Taneto, un blend di syrah, sangiovese e merlot, figlio delle parcelle più ricche di fossili della maison, come la Vigna Disperato. Un vino glocal, con syrah e merlot che trascorrono un anno in piccoli fusti di rovere francese, mentre il sangiovese se ne sta nelle botti più capienti. Per poi incontrarsi nelle vasche in cemento e restare dieci mesi in bottiglia. Un vino vellutato e suadente, pronto a esprimersi fra nuance di cannella e pepe nero. Un suggerimento: visitare gli ambienti che ospitavano la vecchia cantina (vicino alla badia), per scoprire tre teche speciali, che esibiscono e custodiscono exempla di terreni delle tre vigne: VignAalta, N’Antia e Disperato. Per capire, vedere e toccare con mano la diversità.