Visionari. Precursori di un nuovo modo d’intendere e volere il Franciacorta. Non solo spumante della festa, del Natale e delle occasioni speciali, bensì un metodo classico degno di entrar nel novero dei vini a tutto pasto. “La genesi dello Sparkling Menù risale al 1999. L’dea era quella di mettere a segno un concorso in cui le nostre etichette millesimate fossero abbinate ai diversi piatti dei ristoranti partecipanti. Decretando il miglior abbinamento vino-cibo. Un’intuizione vincente. E avvincente. Iniziammo nel 2002, e sino al 2009 la manifestazione ebbe cadenza annuale. Per poi divenire biennale e attuare pure qualche miglioria nella formula”, racconta Paolo Pizziol, che con la moglie Roberta Bianchi e il suocero Alessandro tiene le redini della maison Villa Franciacorta, a Monticelli Brusati. Anzi, in un borgo medievale - ai piedi del Colle Madonna della Rosa - trasformato in una dinamica e vivace realtà vitivinicola. Che conta su 37 ettari vitati; su una cantina dalle oscure, silenziose e suggestive gallerie; e su un agriresort dall’allure country chic. Sì, il Villa Gradoni. Pronto a mutuare il nome da un vino, le cui uve vengono coltivate sul pendio a terrazzamenti che fa da sentinella alla maison.
Coerenza, dunque. E molta lungimiranza. Confermata dai dati, che negli anni hanno visto la produzione annuale dei Franciacorta (dell’intero territorio) passare dai tre ai diciassette milioni di bottiglie. “Un’evoluzione che ha contagiato persino il pairing fra wine e food. Sempre più attento e puntuale. Siamo fieri di averci visto giusto”, continua mister Pizziol. “Dopotutto, se ci pensiamo bene, il lavoro dello chef de cave è molto simile a quello del cuoco. L’uno realizza delle cuvée. L’altro degli accostamenti fra ingredienti. In entrambi i casi si vanno a creare dei blend”, precisa madame Bianchi.
Così, upgrade dopo upgrade, lo Sparkling Menù è giunto alla sua tredicesima edizione. Biennio 2018-2019. Che ha visto salire sul gradino più alto del podio, ex aequo, ben due ristoranti: il Villa Goetzen della veneziana Dolo, lungo la Riviera del Brenta, guidato da Cristian (in sala) e Massimiliano (in cucina) Minchio; e il Bora da Besa, griffato da Daniela e Gagan Nirh, che in quel di Gentilino (vicino a Lugano) propone raffinate pietanze sudamericane, grazie all’attento lavoro di Mauricio Acosta, originario dell’Uruguay. Due insegne vincitrici a pari merito. Il premio? Esperienziale. Traduzione: l’opportunità di cucinare vis à vis con due guest star del calibro di Maurizio Elli, capitano de Il Cantuccio di Albavilla, in provincia di Como; e di Enrico Bartolini, deus ex machina del salotto gourmet che porta il suo nome e il suo cognome all’interno del Mudec di Milano. “Ho vinto anch’io uno Sparkling Menù. Era il 2013. La decima edizione. Devo ammettere che mi portò fortuna, visto che da lì a poco conquistai le due stelle Michelin”, ricorda Enrico.
Una serata speciale, anticipata da una bottiglia da “Emozione”, annata 2015. Elegante e intrigante summa di chardonnay (per la maggior parte), pinot nero e pinot bianco. “Abbiamo voluto cambiare etichetta. Portandola da scura a chiara. Per meglio rimarcare la freschezza di questo Franciacorta. La riga azzurra va infatti a ricordare l’origine marina dei nostri terreni. Mentre il bianco racchiude simbolicamente tutta la biodiversità dei nostri vini base. Così come nello spettro elettromagnetico il bianco contiene tutti i colori”, puntualizza Roberta Bianchi.
Poi? Via con l’uovo di selva impanato e fritto su salsa di acciughe by chef Elli. Una portata delicata e rock. Perfetta in abbinata con il “Mon Satèn” 2015. Chardonay in purezza dalle note seriche ma persistenti. Per continuare con una delizia green, sempre proposta da Mauro: la patata americana cremosa e croccante con verdure all’agro e lime. “Un piatto che porta con sé un chiaro messaggio. È lì a comunicare che le cose migliori sono anche le più semplici”, dichiara lo chef. Che fa essiccare la buccia della patata, per poi soffiarla. Rendendola gradevolissima. Incoronata da un giardino di ortaggi, impreziositi dal tartufo nero. La terra, nella sua più nobile espressione. Nel calice: “Extra Blu” 2013: chardonnay per il 90% e pinot entro per il restante 10%. Un Franciacorta eclettico, volitivo e di gran carattere.
A seguire, la creazione dei fratelli Minchio: la zuppa di pesce del "paron" Paolo. Ossia la zuppa cult di papà Paolo, il founder di Villa Goetzen. “Questa zuppa è difficile da modificare. E noi siamo i primi a non volerla assolutamente cambiare”, replicano fieri i bros. Che scelgono in tandem il “Diamant” 2013. Un cavallo di razza, figlio dello chardonnay (per l’85%) e del pinot neo (per il 15%).
Il toscano Enrico Bartolini pesca invece dalla memoria il riso e latte. “Io non l’ho mai mangiato. Se non quand’ero malato. Poi ho superato il Po. E ho imparato a vederlo in un altro modo”, dice lo chef. Che rafforza la candida preparazione con un civet di lepre dalle abissali nuance umami. “Per dare la ferrosità però non uso il sangue, bensì il cacao”, precisa Enrico. Che completa il riso white in campo black con qualche goccia di rabarbaro. In pairing: un Franciacorta a lui caro: il “Bokè”, millesimo 2014. Un rosé brut (pinot nero per il 70% e chardonnay per il 30%) di classe, dagli accenni di frutti rossi e agrumi.
Mauricio Acosta serve invece il suo asado de ternera. Una pancia di vitello cotta a perfezione, suggellata da un verde chimichurri dalle sfumature aromatiche, e corredato di una terrina di manioca. “Si tratta di una pietanza spartana. Ma completa e appetitosa”, dichiara Mauricio. Che chiama all’appello il “Cuvette” 2012: luminoso e gioioso compendio di chardonnay (per l’85%) e pinot nero (per il 15%). La morbidezza, orgogliosa di sposare la tenerezza.
A chiosa, i mignon. Targati Giovanni Cavalleri, titolare della Pasticceria Roberto di Erbusco. In ideale feeling con il rosé demi-sec “Briolette”. Chardonnay e pinot nero in egual tenzone.
Foto di Cintia Soto