“Ci piaceva l’idea di richiamare la parte vegetale della natura. E poi è un nome breve, semplice e facile da ricordare”, spiega il giovane Riccardo Escalante, chef e patron (in tandem con l’ancor più giovane fratello Gabriele) del Flora Ristorante di Busto Arsizio. Sì, ma non nel centro cittadino. In una via (intitolata a Gioacchino Rossini) un po’ più defilata. Quasi a voler rimarcare l’anima outsider dell’insegna. “Io sogno di portare la mia cucina in un casolare di campagna”, rimarca Riccardo. Che intanto concentra qui la sua energia. Dopo aver raccolto i frutti di semi esperienziali sparsi in Italia - all’Acquerello di Fagnano Olona - e all’estero - in Australia, Argentina e negli Stati Uniti. “Girare il mondo mi ha regalato un importante metro di paragone. E mi ha fatto capire che anche qui c’è un valore”, precisa lo chef classe ’86. Mentre Gabriele, timoniere della sala, è nato nel ’94 e ha già inanellato esperienze a Villa Crespi, da Antonino Cannavacciuolo, e al Seta del Mandarin Oriental Milan, da Antonio Guida.
Flower & Freedom
Determinati e audaci gli Escalante brothers. Che fanno un po’ loro l’adagio pirandelliano del “Così è se vi pare”, per tradurlo in una carta in perenne movimento ed evoluzione. Capace di cambiare tutti i giorni (o quasi), seguendo stagionalità, mercato e savoir-faire dello chef. “Non è una cucina sofisticata la mia. Piuttosto una cucina che punta sull’integrità della materia prima. Per valorizzarla in pietanze essenziali, costruite su pochi elementi”, puntualizza Riccardo. Ingredienti che al palato giungono netti, diretti e puliti. Senza compromessi. “Ci tengo che la gente venga nel mio ristorante per comprendere e apprezzare la mia filosofia”. Che indubbiamente segue il credo del “less is more”. Per concretizzarsi in piatti fatti di grazia e potenza. Fieri di privilegiare la flora, senza rinnegare la fauna. Di inchinarsi al green, senza farne una religione. Della serie, via libera a frutta e verdura (dell’azienda agricola Pratinfiore di Cassano Magnago), non dimenticando formaggi, pesci e carni: manzi, maiali e agnelli dell’agriturismo Belsit di Tradate; pollo di Corrado Riccato di Busto Arsizio. In una visione empatica col territorio. Che entra con garbo in uno spazio minimale, nutrito di bianco, di legno e di un’intera parete tappezzata di fiori. Pronti a sbocciare sulla carta da parati firmata Wall & Decò. Mentre sui tavoli nudi, compaiono loro come sottopiatti: i centrini di zia Barbara. Un tocco di classe vintage.
La sostenibile leggerezza del menu
Insomma, una cucina libera da convenzioni, schemi, stereotipi e cliché. “L’unica regola tocca al cliente: quella di poter scegliere solo fra due menu, il vegetale e l’onnivoro”, continua Escalante senior. Con la certezza dell’assoluta freschezza. Incarnata in una triglia superba, che non teme di presentarsi quasi spoglia: delicatamente vestita di pangrattato e burro pomata, avvolta dai sapori tipici della bruschetta (complici salsa di pomodoro e pomodoro verde crudo) e suggellata dalla scorza di un limone messo sotto sale. Meravigliosa nella sua assoluta limpidezza. Mentre i ravioli di zucca virano leggermente verso la piccantezza, incontrando noci, olio al rosmarino e una gelée d’amaretto. Una gelatina ribelle: posizionata fuori, non dentro il ripieno. E la sottofesa di maiale? È arrostita e accostata a sedano rapa, uvetta in agrodolce e pera (cruda e cotta, sublimata in crema). “Io la cottura sottovuoto non la voglio fare. Preferisco usare la mascella”, dichiara Riccardo, con piglio sicuro. E prepara un raffinato sorbetto ai frutti rossi con dacquoise di farina di mandorle e granella di pistacchi. Per poi proporre col caffè sensuali cioccolatini alla cannella e grano saraceno.
L’attimo fuggente
Una carta “carpe diem”. Che oggi è così e domani chissà. Per il commensale uno stimolo a tornare. Per i due bros un modo per ribadire il loro non essere mai uguali a se stessi. Il loro costruire sempre qualcosa di nuovo, nel solco di un costante fluire e mutare. E il vino non tradisce certo questo pensiero. Con il risultato di una wine list in continuo aggiornamento. Unica certezza? Quella di privilegiare etichette biologiche, biodinamiche e natural style. Selezionate grazie alla partnership con That’s Wine, azienda guidata da Andrea Sala e specializzata proprio in nettari-ritratti di un’artigianalità dinamica e in vivace divenire. Qualche saggio di assaggio? “L’Ancestrale Nativo” e il “Sanrosè Zero” dell’emiliana maison Terraquilia. Pignoletto e trebbiano il primo, sangiovese il secondo. Frizzante secco l’uno, frizzante semisecco l’altro. Entrambi portatori sani della sboccatura à la volée (per eliminare i sedimenti) ed entrambi proseliti del metodo ancestrale, ossia di una rifermentazione naturale in bottiglia. Per dire tutta la verità. Nient’altro che la verità.