Se ne sta lì. Placida e pianeggiante. Nella terra di mezzo fra Brescia e Cremona. Vicinissima al sinuoso corso del fiume Oglio e non così lontana dalla più esuberante Franciacorta. Se ne sta lì. Calma e silenziosa Verolanuova. In epoca rinascimentale e barocca, reame economico, culturale ed artistico di una potente famiglia di feudatari quali i Gambara. Oggi, portavoce della bellezza antica e di una bontà decisamente millennial. Una cittadina che ha molto da raccontare. Anche in brumose giornate novembrine. Così come ha parecchio da dire Barbariga. Dove addirittura regnano due Papa.
Le antiche tele del maestro
“Misura diecimila metri quadrati. Più di Piazza del Campo a Siena”, precisa l’ex sindaco di Verolanuova Maria Carlotta Bragadina, osservando fiera Piazza Libertà. Chiusa su tre lati, mentre il quarto si affaccia sul Palazzo Comunale, un tempo di proprietà dei conti Gambara. Intorno? Portici, a far da cornice a un’agorà che un tempo faceva parte del giardino privato della nobile residenza, con la peculiare foggia ad anello, tipica dei maneggi dell’epoca. Poco oltre? Castel Merlino, la più antica residenza dei Gambara, l’adiacente Parco Nocivelli (dove tornano i Mercatini di Natale, dall’1 dicembre al 6 gennaio) e la splendida Basilica romana minore, votata a San Lorenzo Martire. I cui lavori di costruzione iniziarono nel 1633 - poco dopo la pestilenza del 1630 - per concludersi nel 1674.
Una basilica a navata unica e a croce latina. Ma soprattutto un vero e proprio compendio della pittura veneta fra Seicento e Settecento. Una pinacoteca opima, lungo la quale spalancare lo sguardo per allagare il cuore di emozione. Inanellando con gli occhi L’angelo custode del vicentino Francesco Maffei; La caduta dei progenitori di Pietro Ricchi, detto il Lucchese; La Madonna del Rosario di Giovan Battista Trotti, detto il Malosso; e il Martirio di San Lorenzo di Andrea Celesti, sopra l’altare Maggiore. Mentre La crocifissione di Ludovico Gallina impera nella controfacciata, sopra il portale maggiore. Risultando la più grande tela della chiesa.
Tanto poi lo sguardo corre là. Verso il fondo. Per incontrare la drammaticità di quel Giuda che volta la schiena a Gesù, nell’atto di cogliere un’anfora, nell’Ultima Cena del Maffei. Un dipinto maestoso, posizionato nella Cappella del Santissimo Sacramento, fra due opere sublimi, griffate Giambattista Tiepolo. A sinistra, Il sacrificio di Melchisedech. A destra, La caduta della manna, con Mosè che, stringendo una verga, alza le mani al cielo. Un trionfo di gialli, di rossi e di verdi, impressi su due tele in taglia maxi: 10 x 5,5 metri. “Da Venezia vennero arrotolate e trasportate su un barcone lungo il Po e lungo l’Oglio”, spiega Bragadina. “Sono tele che hanno sofferto. E che durante i due conflitti mondali vennero pure rimosse e invertite. Ora, sono dichiarate inamovibili”. Non resta che ammirarle, per inebriarsi della loro grande bellezza.
La pasticceria Mille(nnial)
Basta invece percorrere i portici di Piazza Libertà per passare da vestigia antiche a lavori di bottega moderni. L’insegna dal mood millennial recita infatti Mille. “Volevamo sottolineare il nostro incessante fare e ricercare. Fra mille idee, mille pensieri, mille stili, mille forme e mille sapori”, precisa Gabriele Pè, che con il socio Ivan Gorlani condivide la regia di questa gelateria-pasticceria nel cuore di Verolanuova (e pure l’avventura di Era Pizza a Monza). Fra colori accesi, spirito dinamico e voglia di creare. Rispettando con felicità l’artigianalità.
Sì, un luogo gioioso Mille. Che mette di buonumore per i suoi toni vivaci. E per la proposta giovane e colta. Il gelato conferma. “Al momento abbiamo circa 24 gusti, ma possiamo arrivare sino a trenta”, puntualizza Gabriele. Fiero di un gelato che dà lustro alla terra. Valorizzando produttori e produzioni agricole autoctone, ma anche più distanti. Ecco allora quello alla mela e zenzero e alla pera biologica di Cadignano (frazione di Verolanuova) by Il Frutteto dello Strone (il fiume locale) di Andrea Alessandrini; quello alla zucca e amaretti e alla melagrana dell’azienda agricola di Annalisa Filippini, a Bassano Bresciano; quello al fior di latte dell’agricola Agrogi, a Cascina Malgherosse, frazione di Verolavecchia; e quello al fior di miele (di tiglio) dell’Apicoltura Mombelli Facchinetti, guidata da Edoardo Mombelli a Quinzano d’Oglio. E ancora quelli alla menta di Pancalieri e al pistacchio di Bronte; quello alla pasta di meliga, tributo al biscotto monregalese (con farina di mais) tutelato come Presidio Slow Food; e quello con zabaione e sbrisolona, messa a punto con le farine frolla e Petra 3 di Molino Quaglia.
Certo. Spesso il gelato può anche incontrare un pan di spagna, oppure una parte crunchy. Vista l’abile ars di Ivan nel lavorare gli impasti. Una liaison che sublima addirittura nel sablé con gelato al pistacchio, cremino e copertura al pistacchio; nel sablé con gelato al fior di latte, mou (ricetta della casa) e copertura al cioccolato al latte; e nel biscotto gelato “Bacio di Dama”, con nocciole piemontesi. Baci di dama proposti anche in versione classica, affiancati da una variegata collection di biscotteria dolce e salata. Vedi il frollino al parmigiano con burro francese, sale e pepe. Per un aperitivo alternativo.
Ma non mancano alcuni déjà-vu. Ossia grandi classici reloaded in chiave contemporanea. Così in vetrina compaiono seducenti zuccotti dall’aria smart ed esuberante. Come quelli con semifreddo alla crema, cremino alle arachidi e lamponi. E poi il “Lingotto” allo spumone bresciano e sbrisolona al cacao; e la new “Delizia al limone”, con gelato al limone, lemon curd, pan di spagna e meringa all’italiana. Non trascurando i lievitati, dal bauletto all’albicocca al panettone, passando per la torta di rose, realizzata con le farine Nova e sfoglia di Petra. “Ora stiamo lanciando anche un nuovo progetto che mette al centro il foraging”, spiega Ivan, parlando della linea “Fattore Naturale”, che rende onore al lato wild della pasticceria. Ne sono esempio la torta “Camomilla”, preziosa di gelato alla crema con camomilla essiccata e ridotta in polvere, sbrisolona e cioccolato Ivoire di Valrhona; e la torta “Viola” con gelato al fior di latte all’estratto di viole e cioccolato Caramélia. “Nella preparazione della frolla ho eliminato una parte di zucchero. E poi utilizzo un burro vegetale fatto con olio, fibre di patata e acqua”, prosegue Ivan. Che ha già in mente la “Rosa”.
Alla corte dei Papa
E dopo le tele del Tiepolo e una pausa deliziosa, la new direction è Barbariga. A circa 15 minuti di auto da Verolanuova. Una sosta che vale il viaggio, per un pranzo e una cena da imprimere nella memoria. La zona è periferica, ma l’elegante salotto cattura a tal punto l’attenzione da far dimenticare il resto. Il nome del ristorante? Gaudio, sicuro presagio di un gaudente desinare. Fra pennellate ottanio, parquet lucido e scuro, tappeti, geometriche tappezzerie che paiono tele contemporanee e tavole candide ed essenziali. Animate dai vivacissimi ed eccentrici animali della collezione Tom’s Drag. Figure veraci, talvolta audaci. Di certo, portatrici di energia.
Come piena di energia è la cucina di Diego Papa: classe 1982, una formazione all’alberghiero Andrea Mantegna di Brescia, un corso in Scienze e Tecnologie Alimentari a Piacenza e un approccio da autodidatta ai fornelli. Di cui tiene saldamente le redini. Mentre il fratello maggiore Giambattista (proprio come il Tiepolo, ma annata 1969) è il gran cerimoniere di sala. Due titani. Ciascuno concentratissimo sul proprio compito. Il che si traduce in pietanze esuberanti, spontanee, scattanti e fuori da ogni schema, nonché in una sala elegante ma mai ingessata. Anzi, Papa senior danza fra i tavoli con gesto discreto e raffinato ma non affettato. Raccontando storie di vitigni e di vini. “La nostra cantina conta circa novecento etichette. Io le conosco tutte. Perché le ho assaggiate e selezionate. E molte hanno pure una certa profondità”, dichiara Giambattista, fiero delle sue verticali.
Intanto, sotto il nome dell’insegna tre parole saltano all’occhio: Territorio, Ricerca, Evoluzione. Giusto a ricordare i tre tasting menu, ma soprattutto a condensare tutta la filosofia del locale. Che, seppur legato al genius loci, si volge con costante tensione verso un oltre propulsore. “Lavoro con il territorio italiano. Ma non nego qualche influenza francese nelle ricette”, precisa Diego. Che ha una propria visione ideale della degustazione, libera dalla stereotipata suddivisione in antipasti, primi e secondi. Per seguire più una consecutio temporum gustativa. Piatti in crescendo, dunque, che si avvicendano per intensità, alternando grassezza, acidità e amarezza e raggiungendo un apice conclusivo. “Il carboidrato, per esempio, spesso lo servo quasi in conclusione del pasto. Perché sazia”, Papa junior docet.
Già l’incipit è una giostra. Nel calice: il Franciacorta “Boschedòr”, l’extra brut by Bosio annata 2011. In tandem: acciuga, formaggio fresco e salsa ai frutti rossi. “L’aperitivo è sempre offerto”, tiene a puntualizzare Giambattista. Mentre un circo di delizie giunge à la table: vaporoso burro di Normandia montato con olio del Garda e fiocchi di sale; grissini stirati a mano e pane homemade; e cialdine di polenta fritte in olio di arachidi. A ricordo della croccante crosticina che rimaneva sul fondo del paiolo contadino.
A seguire? L’umami in tazza. Ovvero un brodo ai porcini, con pesci bianchi e olio extravergine al cedro targato Tosoni, maison di Monica del Garda. “È nostra abitudine iniziare sempre con un brodo. Caldo o freddo che sia”, spiega lo chef. Che prosegue con gamberi viola, porcini, tartufo e salsa olandese. Perché? “Perché qui siamo a Barbariga, fra le campagne della Bassa Bresciana. E il pesce va sempre contestualizzato. Con la stagione e con il territorio”, prosegue Diego. Che in carta propone anemoni di mare, ceci e zenzero; orata cruda, maionese alla melagrana e verza fermentata; scampi siciliani, cavolfiore al rabarbaro e caviale; e dentice al miele, barbabietola e agrumi. Ma un piatto resta memorabile: la cernia di fondale. O meglio, gola, tempie e guance del pesce con corredo di zucca, rafano, ketchup al vermouth Riserva Carlo Alberto e pane speziato. Una pietanza magistrale, ideale in abbinata con un vino oceanico, salino, sapido, teso e minerale quale l’Albariño 2017 della Bodegas Albamar, cantina galiziana che vanta vigneti affondati in suoli sabbiosi.
E con gli spaghettoni alle ostriche, porri e anice verde? Meglio il “Praelatenberg” 2015, un Riesling d’Alsace Grand Cru siglato dal domaine Allimant-Laugner. Ma da provare sono pure la zuppa d’astice, fagioli e castagne con tubicini di semola di grano duro; il risotto carnaroli alla zucca e mostarda di mela cotogna con culatello croccante; e i pennoni di Gragnano ai fegatini di pollo con curcuma e carote. Intanto Diego non perde il filo del discorso e sorprende con un divertissement: finocchio, tartufo e robiola di capra. Accompagnata dall’Aperitivo Essenziale “BBB” by DiBaldo. Un bitter brillante, a base di pecorino e passerina.
Tartufo che torna. Nelle animelle di vitello al vermouth bianco con i porri. “Ma in questo periodo propongo anche molta selvaggina. Cervo, alzavole, tartare di daino”, racconta Papa. Che, in chiosa, fa uscire allo scoperto i casoncelli con fonduta di grana, burro di Bagolino e salvia fritta. Non sono in menu. Ma lui si inchina a Barbariga, dove il casoncello porta alto il vessillo della De.Co. (la denominazione comunale). Casoncello chiuso rigorosamente a mano. Mentre Giambattista versa il “Colle degli Ulivi”, Botticino doc firmato dai bioviticoltori Noventa. Summa dotta di barbera, sangiovese, marzemino e schiava gentile.
Felliniano il finale. Fra baci di dama, macaron alla vaniglia, paste di mandorla e marasche ai pistacchi. Una piccola pasticceria dallo spirito circense, presentata (anzi, incastonata) nella grande sfera in vetro borosilicato disegnata da Gennaro Esposito. Un ennesimo tocco d’artista.