Prima di conquistare l’Europa approdarono qui. Nelle Canarie. Specialmente a Tenerife, che delle isole è la più grande (e anche la più alta). Si chiamano infatti papas antiguas de Canarias, in virtù della loro origine remota, affondata nell’americano continente precolombiano. Patate piccole e saporite, tutelate dalla dop e valorizzate dall’Asociación la Papa Bonita. Se ne contano 29 varietà differenti fra blanca e negra, roja e ojo de perdiz, colorata de braga e terrenta. Si consumano preferibilmente arrugadas, lessate in acqua con sale in abbondanza, sino a render la loro buccia rugosa. Quasi a evocar la loro venerabile età.
Patate antiche e tenerissime, che a Tenerife trovarono e trovano ancora il loro habitat ideale. Distinguendosi per un gusto unico, dovuto alla natura vulcanica del terreno. Certo. Perché questa è un’isla dallo spirito wild, che ha la lava nelle vene ed esibisce al sole una pelle dorata. Un’isola selvaggia, esuberante, dirompente. Tuffata nell’Oceano Atlantico, in quella “terra” di mezzo che se ne sta tra Africa, America ed Europa. Un luogo dalla sorprendente biodiversità e dall’inarrestabile energia.
Basti pensare che quasi il 50% del suolo vanta spazi naturali protetti, caratterizzati da differenti microclimi e specie endemiche. Basti pensare alle spiagge di sabbia nera (vedi quella di Playa Jardín); alla rigogliosa foresta laurisilva, vegetale eredità dell’Era Terziaria, da scoprire all’interno del Parco Rurale Anaga, oggi Riserva della Biosfera; alla scogliera di Los Gigantes, una parete rocciosa che s’innalza dal mare sino a 600 metri di altezza; e alla Cueva del viento, labirintico e millenario tunnel vulcanico lungo 17 chilometri. Basti pensare ai due siti patrimonio dell’umanità Unesco: la città di San Cristóbal de La Laguna e il Parco Nazionale del Teide, che, con i suoi 3.718 metri, incarna la vetta più alta di Spagna. Basti pensare che Charles Darwin passò volentieri da qui. E forse assaggiò le patate.
Patate. Minuscole e resilienti. Da sposare a los mojos, le tipiche salse della vivace gastronomia di Tenerife. Quasi emblema della dinamica ed esplosiva anima dell’isola. Salsa mojo rossa: piccante sintesi di aglio, olio di girasole, cumino in grani, paprika e peperoncino di La Palma secco. Mojo verde: più erbacea a pungente per via del pepe verde. Come quelle messe a punto da Javier Mora, chef del Vincci Selección la Plantación del Sur, cinque stelle lusso dallo stile coloniale in Costa Adeje. Affiancato da Juan Miguel Cabrera, executive del Bahía del Doque, in una serata organizzata a Milano dell’Ente Spagnolo del Turismo. Quando? Il terzo giovedì di giugno, il giorno della Giornata Mondiale delle Tapas.
Javier e Juan Miguel: due esempi della vibrante cultura culinaria di Tenerife. Che abbraccia l’oceano e la campagna, la carne e il pesce. Anzi, i pesci, come la vieja (il pesce pappagallo), la sardina, il pagello, lo sgombro, la cernia e il polpo. I cui tentacoli arrostiti ben si prestano a incontrare avocado, patate dolci, brodo di carne, salsa mojo rossa, riduzione di aceto macho e semi di zucca fritti. Mentre il brodo di pesce viene utilizzato nella preparazione dell’escaldón, complice il gofio, una tradizionale farina di cereali tostati.
Ma non mancano le carni: il coniglio (spesso in salmorejo), la capra e il maiale nero canario. Le cui costine possono sublimare in una portata prelibata, come quella firmata da chef Mora, insieme a papa azucena negra, mini pannocchie di granturco, miglio tostato e liofilizzato, cipolla rossa in salamoia, coriandolo e mojo verde. Non dimenticando il puchero, un bollito di carne, verdure e legumi.
E poi? Ci sono i formaggi. In genere figli del latte di capra. Formaggi freschi o più stagionati. Ideali al naturale, in abbinata al miele (e qui non manca quello di ginestra del Teide). Oppure passati alla griglia e trasformati in crema. Ottimi quelli targati Montesdeoca, quesería artigianale di Tijoco Bajo, nel sud di Tenerife. Per non parlare della frutta, altro orgoglio dell’isola. E pure di Javier, che fa un dolce eleggendo papaya di Tejina, ananas di Buenavista del Norte, banana di Guía de Isora, mango di Arona, gofio di Icod de los Vinos, panna cotta, mentastro verde e gel di Malvasia.
Malvasia, citata anche da William Shakespeare. Che qui raggiunge un peculiare grado aromatico. Ma sull’isola vengono prodotti molti altri vini e coltivate molte viti autoctone, in genere prefilosseriche. Fra le uve bianche: listán bianco, gual, albillo criollo, vijariego, moscatel, marmajuelo e verdello. Fra quelle rosse: listán nero, negramoll e tintilla. Il tutto ben suddiviso in cinque denominazioni di origine: Tacoronte-Acentejo, Ycoden-Daute-Isora, Valle de Güíma, Abona e Valle de la Orotava. Da dove giungono i nettari “Vidonia” e "7 Fuentes” griffati Suertes del Marqués. Il consiglio? Di visitare la Casa del Vino de Tenerife, a El Sauzal. Fra museo, ristorante, giardini e sala degustazione.
Un’enogastronomia vivida e volitiva quella di Tenerife. Che conta alberghi di classe, ristoranti stellati ma pure innumerevoli guachinches: locali rustici e famigliari, dove provare la cucina indigena. E sentire il battito dell’isla bonita.
Foto della foresta laurisilva by Katerina Marsalkova