“Non fidarti della Croce del Sud” cantava il Banco del Mutuo Soccorso, esortando Moby Dick, la balena bianca ritratta da Herman Melville nel suo romanzo capolavoro, a seguire solo i sogni. Per capire l’anima concreta della cucina sudamericana è bene invece affidarsi alla saggezza di tre chef che osservano la Cruz del Sur (la più piccola delle 88 costellazioni) dai loro Paesi di origine: il Perù, l’Argentina e il Brasile. E noi, come naviganti alla ricerca dell’essenza della gastronomia delle Ande, delle pampas e del Pan di Zucchero, ci siamo lasciati guidare da loro: Rafael Rodriguez, al timone del ristorante peruviano gourmet Quechua; Rodrigo Rivarola, capitano dell’argentino Don Juan; e Susan Storck, modella-pasticcera approdata a Milano. A pari modo degli altri due colleghi, veri punti di riferimento del soul latino-americano in Italia. Il tutto organizzato da FeelingFood Milano, spazio polivalente nato da un’idea di MGM Alimentari, realtà specializzata nella commercializzazione di prodotti di alta qualità.
Come quelli usati la cena, anticipata da un aperitivo. Ritmato da solterito andino a tutta quinoa, gamberi e verdure, nonché da empanadita de carne, come cultura argentina insegna. Corredati di tre cocktail-bandiera delle tre nazioni guest star: Caipirinha de maracujà, Vermouth & Coca-Cola e vino bianco e frutta (pesche). Ma non un bianco qualsiasi, bensì il Bianco Santa Maria Isola dei Nuraghi igt 2016, griffato Tenute di Santa Maria. Un blend (di uve autoctone), ma soprattutto un progetto voluto e realizzato da un gruppo di imprenditori sardi innamorati della loro isola. In etichetta? Il Mare, quello azzurro e cristallino dell’Arcipelago de La Maddalena. E, sotto il mare, profumi fragranti e inebrianti, minerali e sensuali. Che catturano il sole per consegnarlo al calice. Un nettare vibrante d’energia, protagonista (in purezza) anche in abbinata alle pietanze. Insieme a un’altra etichetta: il Nero San Pietro, Monferrato Rosso doc della Tenuta San Pietro, con sede nell’alessandrina Tassarolo. Un rosso rubino intenso, armonioso ed equilibrato, figlio dei vitigni albarossa, barbera e cabernet sauvignon, coltivati seguendo i diktat del metodo biologico-biodinamico.
Ceviche ad aprir le danze della degustazione. “Di ricciola, perché è il pesce che meglio si esprime in Italia”, spiega Rafael. Che marina il fish in lime e aromi, per dargli grinta, acidità, freschezza e un pizzico di piccantezza. Mentre mais bollito e fritto non annoiano il palato, e la nevicata di camote fa da delicato topping. Più deciso invece il chorizo, proposto alla griglia con tanto di pão de queijo a latere. Per una versione argentina di pane e salame. A seguire? “Un piatto tipico dello street food peruviano”, commenta mister Rodriguez. “Solo che noi di solito usiamo il cuore di manzo”. Ma anche se qui c’è il polpo al posto del corazon, la sua consistenza “tenace” non tradisce la tradizione. Che reclama pure una salsa violacea, preparata con peperoncino essiccato e reidratato con brodo. Mentre accanto spicca la manioca, completata da ovetto sodo di quaglia e crema di ocopa (tipica di Arequipa), messa a punto con l’erba huacatay. A Rivarola poi l’arduo compito della carne: bife de chorizo (controfiletto di manzo) con salsa criolla (a base di peperoni, basilico e cipolla), chimichurry e patata ripiena di formaggio gorgonzola. Tenerezza e ardore allo stato puro. E per dessert? Churros con dulce de leche e quindim di cocco. Leggero e raffinato come la sua autrice: la bella Susan. Un flan etereo, dalle origini portoghesi ma ormai d’adozione carioca. “Un tempo lo facevano con i tuorli, perché gli albumi venivano usati dalle suore per tener bianche le tuniche”, commenta la pasticcera. “Ma noi usiamo anche il bianco dell’uovo, per creare una meringa al lime”. Sopra? Cioccolato e argento. “Un tocco glitterato ci vuole sempre”, docet la Storck. E se lo dice lei…
Foto by Viaggiatore Gourmet