Le bottiglie di Krug occhieggiano dal soppalco. Sono tutte lì, in fila, allineate. Disciplinate allieve di un bere da dieci e lode. Sotto, il vuoto. Anzi no. Il pieno. Fatto di altre bottiglie, pronte a colmare gli scaffali orizzontali (a più piani) che corrono lungo le pareti. "Ciascuna esibisce un cartellino con il prezzo. Che va scontato del 20% nel caso in cui il vino venga acquistato e portato a casa", spiega Marco Mazzilli, direttore e socio di un locale che, SottoSotto, ha molto da raccontare. Posizionato in fondo a via Paolo Sarpi, in una milanesissima e vivacissima Chinatown. Ma che con la Cina non ha nulla a che fare. Anche se la brezza d'Oriente arriva.
Un'insegna volitiva e vivace. Non una cantina con cucina, bensì una cucina in cantina. Come recita il claim. A ribadire l’importanza del cibo, oltre che del vino. "Abbiamo cinquecento etichette. Tutti vini italiani e Champagne. Basta. Una cantina completa e poliedrica, ma nella quale non ti puoi perdere", spiega Mazzilli. Amante dei rossi piemontesi. Mentre la owner Morena Cannone è appassionata di supertuscan e il marito di lei, Matteo Mariotte, propende per le preziose bollicine d'Oltralpe. Che qui sono rappresentate da circa 150 etichette. Da Boizel a Bruno Paillard, da Dom Pérignon a Laurent-Perrier, fino a Egly-Ouriet, a Éliane Delalot e a Marie-Noëlle-Ledru. Maison note e meno note.
Perché è la ricerca, attenta e costante, la vera forza di SottoSotto. Insieme a quello di essere un locale di carattere. Verticale. Vertiginoso. "I soffitti sono alti 5,80 metri", precisa Marco, guardando all'insù. Verso il soppalco. Dove si può mangiare. E dove si svela la cave. "Qui conserviamo i vini a 17-18°C. Così i rossi sono pronti da bere. Mentre i bianchi li raffreddiamo un po' al momento della comanda", spiega Mazzilli, alla regia della sala. Sempre con le antenne alzate. Pronto ad ascoltare le esigenze del cliente. “E se ho qualche dubbio? Non ho timore a chiedere ai miei tanti amici maître e sommelier”, confida serenamente.
Alla cucina sta invece Angelo Pavone: under trenta, radici tarantine in quel di Castellaneta e parecchi anni al Nobu di Milano e Londra. Si sente e si vede. Nei suoi piatti l’energica luce di Puglia c'è. Ma ci sono anche tiepidi raggi di Sol Levante. Che arriva a donare eleganza alle pietanze, senza distogliere l'attenzione da un fulgido spirito mediterraneo. Alimentato anche dalla tempra pugliese di Marco, originario di Bisceglie e impegnato pure nella supervisione di due locali in Abruzzo - Oishi, a Teramo e Pescara - e di un'insegna a Trani: LaBò. A sintetizzare il concetto di laboratorio, bottiglieria e bollicine.
Bollicine piemontesi dunque. Quelle della “Riserva Elena” 2013 (chardonnay e pinot nero): un metodo classico della linea Valentino di Rocche dei Manzoni. Anche by the glass, certo. Per dare avvio alla cena, per fare un aperitivo, o per accompagnare uno spuntino del pomeriggio. Tanto da SottoSotto la cucina è sempre in attività, dalle 12 alle 23. Orario continuato. Perché qui tutto è fluido, semplice e possibile. Come chiedere al calice un Krug Grand Cuvée 166ème édition, un “Marghe” 2016 (nebbiolo) by Damilano, oppure un “Lucente” 2015 (sangiovese e merlot) di Luce della Vite. In abbinamento a qualche crostino: con polvere di alga nori, burro di Normandia e acciuga del Cantabrico; con cozza tarantina, stracciatella di burrata e coulis di datterino rosso; con quenelle di battuta di vitella, wakame croccante e maionese dello chef; e con salsa di cime di rapa, ricotta al basilico e datterino rosso. “Le cime di rapa spesso me le manda papà da giù”, svela Marco. Mentre sulla tavola in legno scuro compaiono pure taralli e cracker di grano arso. “Questi invece me li spedisce mio cugino Giovanni Di Pilato, titolare del panificio Bufis, a Bisceglie”, racconta Marco.
Insomma, il filo diretto col tacco d’Italia è sempre ben presente. Unitamente a scorci di Giappone. Che si fanno panorami nel sashimi di ricciola con emulsione di soia, agrumi e jalapeño. Da prendere con le bacchette. Che se ne stanno al fianco delle posate Broggi. Così si può decidere come pescare al meglio anche il tonno tataki. Mediterraneo e nipponico, rigoroso ed esilarante nel suo corredo di salsa jalapeño, lime, coriandolo e sale, friggitelli, scalogno e pomodoro arrostito. Traduzione: un tonno che indossa il kimono ma sa ballare la pizzica.
Ma per chi ama la carne c’è pure la tartare di fassona con maionese al wasabi. Velatamente piccante. La carne? È quella della salumeria Chiapella di Clavesana, in terra cuneese. Vicino a Carrù, dove ogni anno si tiene la Fiera del Bue Grasso.
E per primo? Spaghettone Monograno Felicetti alla carbonara con guanciale di Amatrice, pacòte con cozze e fagioli, ma anche linguine Verrigni con scampo di Mazara del Vallo e zafferano. “Al commensale chiedo sempre a quale grado di cottura desideri la pasta”, puntualizza Angelo. Che serve le sue portate in piatti neri, lucidi e profondi. Griffati Revol.
Piatti solari quelli di Pavone. Che oltre a non pavoneggiarsi affatto, sta molto concentrato sulle cotture. “La pancia di maialino non conosce la padella. La cuocio nella teglia in forno per tutta la notte. Per nove ore a 120°C. Coprendola di Susumaniello”, racconta il giovane Angelo. Voilà, una pancetta suggellata da katshuobushi e pepe di cayenna, con corredo di dripping al parmigiano e pecorino e al cardamomo. Una pietanza tenerissima e croccantissima, dove ogni boccone diviene esperienza.
E la cotoletta? Non manca. Ma la sua milanesità viene completata dalla pugliesità dello chef. Come? Mixando tecnica e memoria. E così se la nonna di Angelo usava la fettina di cavallo, impanandola tre volte, aggiungendo tarallo sbriciolato e cuocendola in olio e burro, lo chef non cambia strategia, virando sul vitello. Ne risulta una cotoletta alta e fragrante, dorata fuori e rosata all’interno, accompagnata da patate al forno.
Poi, prima del dessert arriva lui, il lampone solitario. Ma è come un’onda che resetta il palato, grazie alla freschezza della crema di limone candito.
I dessert sono invece firmati dalla pasticceria meneghina Di Viole di Liquirizia. Ma seguendo precise indicazioni. Nasce così il tiramisù con cioccolato fondente servito a lato e caffè napoletano Kenon da versare live. “In questo modo il commensale sceglie quanto aggiungerne”, dice Mazzilli. Che intanto porta i taralli dolci con il “Kaloro”, moscato di Trani by Tormaresca. Mentre suo fratello Simone - che se ne sta dietro al bancone, sgattaiolando spesso in sala - prepara i digestivi. A base di amaro: Montenegro e Bràulio. Il primo impreziosito da Talisker Skye single malt scotch whisky. Il secondo dall’Islay single malt scotch whisky Laphroaig quarter cask. Complici i cubetti di ghiaccio puro a scioglimento graduale by Hoshizaky.
Ghiaccio perfetto pure per i cocktail. Che se qui non sono il must, sono comunque da provare. Messi a punto da Mazzilli junior e da Marco Scaramuzzino. Ecco allora un twist sul "Tommy’s Margarita": gin, sciroppo d’agave, liquore d’arancia rossa - coltivata alla pendici dell’Etna - Amara, angostura e lime. Ma ecco pure una delicatissima variazione sul Martini: Gin Mare, lime, rosmarino affumicato e basilico. Il Mediterraneo in una coppetta.
SottoSotto è aperto tutti i giorni (eccetto il martedì) dalle 12 alle 2 di notte.