L’insegna vecchia. L’insegna contemporanea. E una teca con esposto l’herbario: la mappa delle erbe stagionali. Tre gli elementi esterni che rapiscono l’occhio in via Gasparo da Salò. Raccontando tutto (o quasi) del ristorante. Che prima era l’Antica Trattoria alle Rose, che quattro anni fa si è trasformata in Rose Salò e che ora mette in luce la propria filosofia green e wild, accendendo i riflettori su piante aromatiche, fiori, foglie, radici e germogli. In una parola: le botaniche. La grande passione dei due chef patron Andrea De Carli e Marco Cozza.
“Venendo da fuori abbiamo voluto osservare questo territorio da un diverso punto di vista. Vogliamo raccontare il Garda pensando che non ci sia l’acqua nel lago. Ma ben sapendo quanto l’acqua influenzi tutto”, spiegano Andrea e Marco: classe 1991 e origini in provincia di Como. Intorno a un altro lago. Intorno a un’altra storia. Per la precisione, Andrea viene da Bulgarograsso, mentre Marco nasce a Cantù. Poi s’incontrano sui banchi di scuola (quelli dell’Istituto Alberghiero Gianni Brera - Centro Studi Casnati, nell’urbe comasca) e proseguono insieme la corsa. Prima all'Albereta franciacortina (dell’era Gualtiero Marchesi), in seguito al torinese Del Cambio di Matteo Baronetto. Dove Andrea resta (per circa due anni e mezzo), mentre Marco (dopo un anno) vola a Livigno, allo Chalet Mattias. Ma il destino li rimette sulla stessa strada. E insieme iniziano una nuova avventura. Due lariani in terra gardesana.
Ma forse sta proprio lì la loro forza: il non essere ancorati a taluni stereotipi. Il non essere eccessivamente avvinghiati a una tradizione che spesso blocca e ostacola certa fertile creatività. Il non essere trattenuti da regole e schemi. Invece: il sentirsi liberi di guardare il Garda senza notare l’acqua. Senza cadere in tentazione. Evitando di tuffarsi nel comune bacino del già visto, sentito e provato. E concentrando la mente su un ecosistema lacustre capace di eleggere la variegata flora a protagonista. “Andiamo a raccogliere le erbe con Graziano Perugini. In Val Degagna, a settecento metri di altitudine”, precisano i cuochi. Ricordando il prezioso lavoro di Graziano (che collabora anche con la localissima Tassoni), capitano dell’azienda L’erborista selvatico.
Un progetto ambizioso quello dei due giovani chef. Che non trascurano il passato. Anzi, lo ricordano. Con quel “Rose” lasciato nella nuova insegna. Con la nobilitazione di spazi ospitati in un edificio del Settecento. Della serie, la memoria c’è, ma si è evoluta nella modernità di un ambiente bello, giovane e raffinato. In cui il legno dialoga col rosso brillante, il marmo gioca con la graniglia, e le luci soffuse delle lampade (dotate di comode prese per ricaricare lo smartphone) sposano le linee morbide e sinuose degli arredi. Un ambiente arioso e rilassante, che si allarga in una luminosa veranda (chiusa da vetrate) e si allunga (al piano inferiore) in una cantina dai tratti dinamici. Al centro: il conviviale tavolo “Da Vinci”. Un vecchio e massiccio banco da falegname. Un regalo di Michele (papà di Marco), destinato a divenir ribalta di degustazioni ad hoc.
Intorno? I vini. Oltre trecento etichette: del territorio e delle diverse regioni d’Italia. Non dimenticando Slovenia, Francia e Spagna. Facendo focus su etichette naturali, vitigni meno noti e piccoli produttori. Per una massima coerenza col pensiero che permea il locale: indagare terroir e territori senza dar nulla per scontato. Come accade col fresco e floreale spumante rosa (figlio di uve groppello) “Bolle di Micaela” dell’azienda Conti Thun, a Puegnago sul Garda. Perfetto con una serie di appetizer: bruschetta con salsa di pane, pomodorino candito, cipolla in agrodolce e timo serpillo; oliva fake di radici fermentate (pastinaca, prezzemolo e scorzonera); gelatina di aceto d’ananas e polvere di porcini; spugna al basilico, crema di cipolle in saor e fiore di salvia sclarea. Già dall’aperitivo De Carli e Cozza mettono le cose in chiaro.
E proseguendo si capisce ancor meglio lo sguardo dal basso verso l’alto dei temerari millennial. Che nutrono la carta di tanti hashtag. Proponendo due menu degustazione, che vanno sotto il nome di #Herbario, dividendosi in #Percezioni e #Contrasti. Rispettivamente da cinque e da dieci corse. “Il primo è per chi ci vuole scoprire piano piano. In modo graduale. Il secondo è per chi già ci conosce e ama osare”, puntualizza Marco. Mentre ad accompagnare le portate arrivano sottili grissini classici e integrali; pagnottella integrale a base di lievito madre (by Pietro Freddi) ed extravergine di monocultivar casaliva targato Tosoni, azienda agricola di Monica del Garda.
Voilà il piatto icona. Il manifesto. Il vessillo: #senzacqua, giusto a rimarcare l’attenzione su colori, profumi e sapori lacustri. Mettendo le erbe in primo piano e il pesce come sfondo (e come fondo). Dunque: insalate (di 27 varietà differenti) cotte alla griglia e allagate da una bagna cauda autoctona. Sì, le acciughe spariscono e al loro posto appaiono le sarde di lago (messe sotto sale e cotte in olio e aglio fatto bollire nel latte). I sentori tostati rincorrono tonalità acide e amare, narrando l’habitat gardesano. Nel calice? La maître Sandra Sanna propone il “PiettOne” 2018 by Pietta di Muscoline, in Valtènesi. Un rosato frizzante, ottenuto da uve groppello, barbera, marzemino e sangiovese, frutto del metodo ancestrale.
Ma le stories continuano. Indagando la zona bassa del lago e correndo verso la pianura bresciana. Dunque: #story.1. Traduzione: storione (by Penseri Caviar). Crudo. O meglio, fatto frollare (al pari della carne) e impreziosito da caviale (Royal Food Caviar di Calvisano) e funghi autunnali. Complici l'erba castalda e un estratto vegetale. Praticamente un fondo umami (simile al fondo bruno), ottenuto facendo bollire per tre volte la catalogna e addensando il tutto con la complicità degli anacardi. In tandem: il Chiaretto (in magnum) 2018 della cantina Cantrina di Bedizzole. Purissimo groppello per un rosato dalle nuance elegantissime. “Un libero esercizio di stile”, come direbbe la titolare Cristina Inganni. Che ha disegnato personalmente l’etichetta.
L’entroterra attira Andrea e Marco. Che vanno in #campagna. Omaggiando per un attimo anche quella della Sardegna (regione natale di Sandra). Lumache griffate Limus (azienda di Gavardo), pane zichi cotto nel brodo di pecora (secondo una ricetta di Bonorva, Sassari) e bagnetto rosso (a rammentare il Piemonte delle esperienze). A completare il tutto: pomodori canditi, cipolla, fiori e foglie di finocchietto. Il Garda che abbraccia il Mediterraneo. E incontra volentieri il rosato Nepente di Oliena “Juntos” 2018 (da uve cannonau) della cantina Nois.
Ricorda la zuppa di cipolle ma zuppa non è. Visto che di riso si tratta. Anzi, di #ris.00: vialone nano della Riseria Ferron di Isola della Scala, brodo di cipolla, polvere di cipolla, midollo di bue, semi di aneto e cialda di parmigiano. Il risotto naturalmente è mantecato con il burro acido, alla marchesiana maniera. In pairing: il “Clay” 2016 di Cascina Maddalena, a Lugana di Sirmione. Un turbiana acido, scattante e minerale, lasciato fermentare sui lieviti indigeni.
E post riso? Uno strappo alla regola del non considerare l’acqua del lago. Per concedersi a un luccio alla gardesana che si spoglia di ogni preconcetto. E brilla per bontà. Pardon #lucci.ca: cotto com’è in un brodo-dashi (cui concorre il katsuobushi) e unito a una maionese egg free, nata dalla riduzione del dashi stesso. Salsa a base di prezzemolo, pomodori, cipolle e capperi a suggellare la preparazione. Ideale in concomitanza con il “Corteccio” 2017, pinot nero di gran carattere (e dalla bella etichetta) di casa Cantrina.
E la carne? Eccola. Perché vanno bene le erbe, vanno bene i pesci, ma ci vuole anche il #manz.01. Un filetto con 55 giorni di frollatura (della macelleria bresciana mastra Alebardi) cucinato al vapore, senza alcun “grasso” di cottura. Con lui: un soffritto di verdure fermentate ed erbe; una melanzana cotta alla griglia e glassata alla cacciatora (con funghi, pomodoro, origano e aglio); un sapido rognoncino di coniglio; e una salsa barbecue rigorosamente homemade. Together? Il “Vista Lago” 2016 by Tenute del Garda, di Calvagese della Riviera. Grappoli di groppello che meditano davanti al lago e che appassiscono in piccole casette per regalare un nettare fatto di potenza ed eleganza.
Dessert. E qui entra in gioco il pastry chef Francesco Di Maggio. Con #asinas: ananas caramellato nel succo di peperone, gelato al latte di asina (by AppenaMunto, a Coccaglio) e levistico. Ovvero: la dolcezza e la balsamica piccantezza in un dolce che coniuga infanzia e maturità. Ottimo in abbinata con il “Sottosopra” 2017, sempre delle Tenute del Garda. Un’interpretazione folle ed emozionante del groppello, vinificato in bianco. Un metodo classico in perenne evoluzione, che mantiene i lieviti nella seconda fermentazione. Un vino turbolento. Da sorseggiare torbido, oppure limpido.
E per concludere: #oliosumela, dipinto in 3D che ritrae in modo inedito il frutto del peccato originale. Mela di montagna cotta in crosta di sale grosso; extravergine d’oliva casaliva; riso soffiato al cioccolato per riprodurre i semi; ruta fresca e gelato alla ruta. Un dessert semplice, che fa della bistrattata “mela cotta” un dessert di razza. Basti pensare che ha portato Elisa Zanelli (oggi chef de partie agli antipasti) a vincere il premio di Pastry Chef Emergente. In compagnia della mela, il vermouth Lacerba: a base di moscato giallo (proveniente da vitigni posizionati intorno a Riva del Garda); Garda doc (con la garganega a far da portavoce); vino Custoza; estratto d’erbe, spezie e scorze; infusione di olive casaliva in grappa e zucchero; e qualche goccia di mosto cotto. A fissare il giallo oro di uno spirit che concentra il Garda.
Ma D’Annunzio? C’è pure lui. Incarnato in un menu degustazione che affianca i due dell’Herbario. I piatti? Sono liberamente ispirati alle lettere autografe che il Vate quotidianamente scriveva alla sua cuoca Albina Becevello. Per gli addicted del memento audere semper.