La grandezza di un vino? Sta nel far vibrare la propria voce senza mai urlare. Senza mai ostentare. Senza mai prevaricare. Senza mai abusare del proprio potere ebbro d’aromi. Sì, la vera forza di un vino sta nell’umiltà di accompagnare e non di dominare le pietanze. Sta nell’amare se stesso, rispettando il resto. Nell’onorare il cibo, non tradendo l’equilibrio.
Così fanno i vini dell’azienda agricola Ricchi. A Monzambano, in provincia di Mantova. Su quei Colli Morenici che stanno a pochi chilometri dal Lago di Garda. Per goderne la brezza mediterranea, non dimenticando di inchinarsi a boschi e casali di campagna. Una storica tenuta di famiglia quella dei fratelli Claudio e Gian Carlo Stefanoni. Quarantacinque ettari di proprietà (più cinque in affitto) coltivati con passione e dedizione. Per crear nettari che stupiscono per la loro autenticità. Per il loro saper valorizzare il territorio. Per il loro essere se stessi. Ma pure per la loro capacità di adattarsi a situazioni diverse. E a cucine differenti. Per dimostrarlo? Si sono messi alla prova. Grazie a un “circuito” organizzato da Susanna Amerigo. Che pur seguendo il motto del “Non so cucinare…”, riesce sempre a dar forma a eventi moderni e dinamici.
Così, quattro iconiche etichette Ricchi, facenti parte della linea “I cru Stefanoni”, hanno fatto tappa in cinque ristoranti di Milano. Per avvicinarsi con garbo al mare e alla campagna, ai sapori delicati e a quelli più determinati. Dimostrando con fierezza le loro spiccate identità. All’Osteria Brunello e da Ciz Cantina e Cucina, al Sophia’s Restaurant dell’Enterprise Hotel e al Rosée - Wine & Coffee Room, sino a entrare in punta di piedi da Esco bistrò mediterraneo, guidato con vivacità dallo chef di origini piemontesi Francesco Passalacqua.
Un ristorante-casa Esco, in piena movida milanese eppur lontano dalle rotte chiassose. Un luogo soft, nutrito di legno, di luce, di bianco e di colore. Di una cucina a vista e di angoli riservati. Di vuoti rilassanti e di oggetti che colmano la memoria, come i libri, i vasi, le zuppiere in porcellana e le vecchie fotografie. Un ambiente calmo, perfetto per accogliere i nettari carismatici della cantina Ricchi. Serviti da Marius Mirea, alla regia della sala.
“Ha una buona sapidità e un’ottima mineralità”, spiega Chiara Tuliozi - moglie di Claudio - raccontando l’elegante Lugana. “Usiamo solo uve turbiana raccolte a mano e provenienti dai cinque ettari dell’unico vigneto che abbiamo in affitto”. Ma poi, gli Stefanoni bros ci mettono il cuore. E il risultato si fa sentire: sorso pieno e piacevole, leggere nuance fruttate che non trascurano le erbe aromatiche. E poi una freschezza infinita. Un respiro profumato di sole e di vento. Ideale per avvolgere l’uovo bio fondente - da galline livornesi - con asparagi verdi, prosciutto di Parma e fonduta di parmigiano. La ruralità sublimata in raffinatezza. Da pescare col cucchiaio o facendo la scarpetta. Con il pane messo a punto con Petra 9, la farina “tuttograno” di Molino Quaglia.
Lugana perfetto anche per valorizzare la crema di pomodoro, basilico e stracciatella, nonché la focaccia. Preparata con Petra 1, e arricchita da crema di melanzane, mozzarella di bufala e olive di Gaeta. Per un tocco lievemente salmastro.
E poi? Arriva lui, il “Meridiano”, uno chardonnay gardesano caldo, radioso, intenso e persistente. Un outsider. Un’eccezione che conferma la regola dell’altissima qualità. “Come per il Lugana, adottiamo la tecnica della criomacerazione. In modo da estrarre al massimo tutti gli aromi”, puntualizza Chiara, descrivendo questo vino decisamente corposo e vigoroso, le cui uve vengono lasciate appassire in piccole cassette per una ventina di giorni, affinché gli zuccheri si concentrino. Segni particolari? Il passaggio per circa sei mesi in tonneau di rovere francese o ungherese. “Lo abbiamo voluto intitolare alla nostra meridiana, ristrutturata ben dieci volte. Un segno storico dell'azienda”, continua con fierezza madame Tuliozi.
E Francesco allinea sul Meridiano i suoi tortelli. Farciti di pescato stufato ai capperi e impreziositi da fondente di cipollotto e limone. Una pasta fresca dal carattere schietto e deciso. Che molto somiglia all’etichetta nel calice.
Intanto, “Ribò" cavalca. Con galoppo granato e speziato. Cabernet franc al 75% e cabernet sauvignon al 25%. A donare tannicità il primo, a conferire gentilezza il secondo. “Fa qualche mese in botte grande per poi finire la sua maturazione in tonneau. Non vogliamo che il legno prevalga”, prosegue Chiara. E il trotto non conosce intralci. Energia e al contempo charme. Merito anche dell’appassimento di una parte delle uve.
Indubbiamente un rosso di razza. Ma non indomito e selvaggio, bensì da corsa. Pronto a filar liscio sulla corsia del sottofiletto di fassone piemontese, corredato di un fagottino di fagiolini al bacon e di una purea di patate viola al bergamotto.
Infine, cambio di scenario. Garganega e moscato giallo. Acidità e dolcezza. Sentori di confettura e di fichi secchi. I grappoli vengono lasciati alla mercé del tempo (per una novantina di giorni). Poi il miracolo del passito “Le Cime”. “Ma se notiamo che le uve non tengono bene l’appassimento il vino non lo facciamo”, puntualizza Chiara.
Mentre Francesco presenta la crostatina di mele, cacao e mandorle; nonché il morbido al cioccolato con salsa al caffè. Passalacqua che, insieme ad Alberto Masseroni, titolare dell’omonima macelleria di via Corsico, propone il format estivo “Delizie da passeggio”: sfiziosità gourmet da assaporare on the go. Ma anche stando seduti ai tavolini.
“Invece noi il prossimo anno apriremo il wine relais La Casina. A Cavriana, vicino ai nostri ulivi e a cinque chilometri dalla cantina”, anticipa la signora Stefanoni. “Avremo una dozzina di camere, un ristorante da quaranta coperti, una spa e una piscina interna”. Nel frattempo la maison mantovana si è già distinta per la sua anima a impatto zero. Grazie all’energia pulita, prodotta da una caldaia alimentata a cippato, ricavato dai tralci delle potature invernali. A cui si aggiunge un impianto fotovoltaico. Per una visione total green.