Una corona a quattro punte. A rimarcare la regalità di un territorio, l’aristocrazia del vino e la nobiltà del quotidiano lavoro dei vignaioli. Una corona semplice e quasi fanciullesca, che trae ispirazione da quella (a tre punte) dell’artista afroamericano Jean-Michel Basquiat. Una corona grafica, che in versione rossa e viola, disegnata dal designer Aldo Segat, suggella in etichetta l’identità dei due vini firmati dal livornese Podere Sapaio: cantina a Donoratico, frazione di Castagneto Carducci; salotto per le degustazioni nella casa padronale, in località Lo Scopaio; e vigneti diffusi per 16 ettari nella doc di Bolgheri e per altri 9 in quel di Bibbona. Un podere nato nel 1999 per volere di un ingegnere di Vittorio Veneto come Massimo Piccin. Che ha lasciato la terra del Prosecco per volare in quella dei supertuscan. Affindadosi a uno stimato enologo come Carlo Ferrini, Accademico della Vite e del Vino.
E Massimo è pienamente soddisfatto della scelta. Tanto da voler portare i suoi nettari in giro per il mondo, grazie al progetto “Podere Sapaio wandering at… ”. Con incipit proprio a Milano. Negli spazi al primo piano di una raffinata boutique come Raw & Co. Cabinet de curiosités - antiche e contemporanee - in corso Magenta 10. Una vera e propria wunderkammer, che, fra preziosi allestimenti natalizi e oggetti ricercatissimi, mette sotto albero anche i due vini del podere toscano: il “Volpolo" e il “Sapaio". Pronti a farsi conoscere, assaggiare al calice e acquistare sino al 24 dicembre, grazie a un elegante temporary shop tutto a loro dedicato.
Due vini rossi. Sì, solo due vini rossi. Born in Bolgheri. Ambasciatori pluripremiati di una landa toscana in cui si concentrano bellezza, brezza marina e macchia mediterranea. Lusso e senso selvaggio. Due etichette portatrici di valori autentici, radicati nel suolo ma capaci di guardare il cielo. Due nettari figli della passione e del coraggio. Di rispettare la natura e di usare con garbo tecnologia e cultura. Pensando in modo eco, praticando l’agricoltura biologica (certificata a partire dall’uscita in commercio della vendemmia 2017) e operando in maniera artigianale. A partire dalla raccolta manuale in vigna. Per poi continuare fra le francesi barrique della cantina.
Vigna. Anzi, vigne. Perché è nella parcellizzazione dei vigneti la forza di questo podere toscano. Che abbandona il concetto di cru per sposare quello di blend. Così da integrare la potenza e la struttura dei terreni di Bibbona - dove l’altitudine è maggiore - con l’eleganza e l’armoniosità di quelli di Bolgheri. L’idea non è infatti quella di costruire un vino iconico e sempre uguale a se stesso. Bensì quella di ascoltare e codificare ogni vendemmia, cercando di esprimerne le peculiarità nel vino. Che muta e si rinnova a ogni annata. Circa 25 infatti i vini lavorati separatamente e poi uniti nella “cuvée” finale. Piena espressione di un millesimo.
Ecco il “Volpolo” 2016: corona viola e nome mutuato da una varietà d’uva autoctona come la volpola. Un Bolgheri doc, summa di cabernet sauvignon per il 70%, merlot per il 15% e petit verdot per il restante 15%. L’affinamento? Prevede 16 mesi in barrique e tonneau e 4 mesi in bottiglia. Una bordolese. Ma dal vetro più leggero. Per una maggiore sostenibilità. E per un vino di razza, scattante e scalpitante.
“Volpolo”, fratello minore del “Sapaio”. Quasi a dire Harry e William, per fare il verso alla corte inglese. “Sapaio” 2015 per la precisione, la vendemmia che sancisce la perdita del “titolo” di doc a favore dell’igt Toscana. Per svincolarsi da una denominazione che impone le sue restrizioni. Dando voce a un vino di tempra e di nerbo: 70% cabernet sauvignon, 10% cabernet franc e 20% petit verdot. Che resta per 16-17 mesi in barrique e 6-8 mesi into the bottle. Corona rossa ben in vista.
Sotto, nella gallery, le foto della serata di inaugurazione del temporary by Carlo Fico