Forse, se l’avesse conosciuto, Tito Livio l’avrebbe citato fra un castrum e un bellum. Chissà. E chissà, forse pure Marco Tullio Cicerone l’avrebbe usato come spunto per una delle sue mitiche orazioni. Perché Pizzium è motto, coraggio, audacia, filosofia e incessante agere et movere. Perché Pizzium non è latino, ma somiglia al latino. E conduce a un comune fare e parlare. Riportando a una profonda radice italiana. E veicolando un forte senso d’appartenenza.
“Certo, Pizzium è pizza, ma soprattutto è una famiglia. Alla quale appartengono tutti. Dipendenti e clienti, fornitori ed enti pubblici. Tutti sono portatori di interessi e quindi tutti contribuiscono allo sviluppo del gruppo. Del resto, è grazie all’ascolto e al dialogo che si migliorano il lavoro e l’azienda”, spiega Nico Grammauta, direttore generale di una realtà che in poco più di due anni è andata al galoppo, premendo sull’acceleratore e mettendo a segno un incremento rapido ed esponenziale. Basti osservare che sono già quattordici i locali aperti: cinque a Milano (il primogenito in via Procaccini, l’ultimo in via Vigevano), due a Torino e poi Brescia, Como, Gallarate, Seregno, Serravalle Scrivia, Varese e Roma. E nel futuro prossimo venturo vi è la sesta inaugurazione a Milano (in via Pola, zona Isola), nonché a Busto Arsizio e a Bologna. “Sì, per settembre-ottobre vogliamo raggiungere quota diciassette”, dichiara Nico. “E puntiamo a venti entro la fine dell’anno”, ribatte Nanni Arbellini, attuale socio - insieme a Stefano Saturnino - dell’irrefrenabile Pizzium. Brand che si è portato a casa il premio Foodservice Award 2019 nella categoria Pizza.
“Pensare che siamo partiti da zero. Ma io sono un inguaribile ottimista. E questa è un’azienda meritocratica. Se sei performante lei ti apre le braccia e ti dà il massimo. Pizzium è un progetto in divenire. Pizzium è un messaggio. È la dimostrazione che gli uomini di buona volontà ce la possono fare. Ci sono persone che vogliono venire a lavorare da noi per crescere. Perché Pizzium è una business school, oltreché una pizzeria”, precisa Nico. Un palermitano adottato da Milano. E non certo a caso. “Il mio nome, Nico, non è il diminutivo di Domenico, come verrebbe da immaginare, ma di Menico. Che qui a Milano viene tradotto in meneghino. Guarda il destino. Io amo questa città. Ha ritmo ed energia. È accogliente e generosa con chi è propositivo”, continua Grammauta. Una laurea in Economia e Commercio all’Università Cattolica del Sacro Cuore e poi sotto con l’Executive MBA (Master in Business Administration) in SDA Bocconi. “Lo studio e l’aggiornamento sono fondamentali per migliorare i modelli. Se cambiano le regole del gioco? Devi essere pronto a cambiare con loro. Bisogna essere istruiti, svegli e veloci”.
Ha le idee chiarissime Nico. Così come sa bene dove andare. E dove non andare. “Per esempio non ci spingeremo oltre Roma. Non sposeremo il franchising. E non supereremo i confini italiani. Non ci interessa. Perché andare all’estero quando qua conosciamo benissimo le regole, il diritto e la fiscalità?”, commenta saggiamente il direttore. Che tiene parecchio pure al grado di soddisfazione e di benessere del personale. Perché il successo dipende pure dallo star bene di chi è all’opera. Sulla ribalta o dietro le quinte. Ecco allora la Pizzium Academy, un protocollo di training in itinere. Con due punti di formazione: uno pratico, in via Doria (dove vi è pure uno dei locali) e l’altro, più teorico, in viale Tunisia. “Sì, dove prima avevamo i nostri uffici. Che ora si trasferiranno in uno showroom non lontano da via Anfossi. In viale Tunisia, si insegneranno le tecniche di vendita e d’accoglienza, e si incontreranno vis à vis i fornitori”. Nell’ottica di un confronto costante. A conferma di quel senso di famiglia che sta alla base del concept. “E la nuova Locanda Carmelina ne è l’espressione più esplicita”, aggiunge Nico. Recentemente entrato a far parte - con Stefano, Nanni e Ilaria Puddu (la dea ex machina anche della pizzeria Giolina e della pasticceria Gelsomina per capirci) - del gruppo che guida la trattoria partenopea di via Cadore.
Il senso del basilico per la pizza
Nanni. All’anagrafe Giovanni Arbellini. Classe 1988, di Acerra. “La città di Pulcinella”, puntualizza subito lui. Pizzaiolo. Con una marcia in più. Unita a grinta, tenacia, passione e ottima comunicazione. Un vero frontman. “Io e Stefano ci completiamo. E comunque senza di lui tutto questo non sarebbe stato possibile”, ammette Nanni. Che fra i primi valori da onorare annovera l’angoscia. “È un valore, eccome se lo è. L’angoscia è un meno per meno che dà più. Come in algebra. L’angoscia ti cambia il modo di vedere e di interpretare le cose. Perché ti costringe a mettere tutto in discussione. Tutti i santi giorni. E quando comprendi e metti a fuoco che il tuo contributo non sta più facendo la differenza, devi avere l’umiltà di indietreggiare. È questione di assunzione di responsabilità. È così che abbiamo creato una realtà capace di aver superato persino le nostre ambizioni. Un’azienda che ha un’anima. E che sta al di sopra delle parti”.
Un progetto semplice e al contempo complesso e non scontato Pizzium. “Che vince perché facciamo un gioco di squadra. Senza mai spremere nessuno. Abbiamo cercato di portare la produzione sotto le cinquanta ore settimanali. Nel rispetto delle risorse umane. Ma sempre mantenendo alta la qualità e soprattuto conservando l’artigianalità. In una parola: sostenibilità. Che coinvolge l’intera e lunga filiera. Inclusi i fornitori e i distributori. Ci vuole sinergia. E ci vuole pure una visione d’insieme. Punto”.
Parole sagge. Che all’atto pratico si concretizzano in una proposta coerente e in un impasto “intelligente”, come lo definisce Arbellini. “Anzitutto una precisazione. Non si tratta della mia pizza, ma di quella di tutti noi artigiani del gruppo. Utilizziamo la Special di Petra - Molino Quaglia. Una farina di grano tenero di tipo 0. Lavorando con un impasto indiretto, figlio dell’autolisi e di 26 ore di lievitazione. Dobbiamo assicurare una pizza corretta, ripetibile e riconoscibile. Sempre”, dichiara Nanni. Che rende omaggio a una versione moderna della pizza napoletana, ma pure al modus operandi six sigma. Metodo di controllo della gestione della qualità che mira alla soddisfazione del consumatore, ma pure alla riduzione di sprechi ed errori. Dunque? “Tutte le sere facciamo un check dei social: facebook, instagram, twitter, ma anche TripAdvisor. E stiliamo la classifica delle pizze. Analizzandone pregi e difetti”, racconta il giovane e illuminato imprenditore. Che ritiene fondamentale persino il posizionare in modo corretto il basilico sopra la pizza. “Così abituo i ragazzi al giudizio del prossimo e all’accettazione della critica. Spronandoli a migliorare”. E si sa, sbagliando s’impara.
Errare humanum est. Migliorare è divino
Ed è proprio da un errore che Pizzium ha messo a punto il suo upgrade. Ecco i fatti. Dopo un incipit d’avventura in cui la carta propone pizze ispirate alla regionalità, si decide di cambiare. Intitolando le pizze ai quartieri più iconici di Napoli. Perfetto. Finché un giorno arriva una sfilza di chiamate, dopo che su Radio Deejay si parla delle pizze eliminate dal menu. “Tutti si lamentavano, reclamavano di nuovo le pizze dedicate alle regioni italiane. Abbiamo commesso un errore. Bene. Ma in quel momento è emersa pure la consapevolezza dell’errore. Il nostro errore migliore. Perché ci ha dato l’opportunità di capire chi eravamo. Ci ha regalato l’occasione per affinare le nostre performance”, spiega Nanni.
E così, a grande richiesta, le pizze regionali son tornate. Anzi, da quindici che erano sono diventate venti. Un grand tour per la Penisola. Isole comprese. Un omaggio alla verace identità italiana. Per pizze che non sono fine a stesse ma sanno farsi ambasciatrici di prodotti, produttori, artigiani, contadini, colture e colture. Dando voce un fervente senso d’appartenenza e di territorialità. “Una dichiarazione d’amore per il nostro Bel Paese”, aggiunge Nico Grammauta.
Voilà la pizza “Piemonte”, con fiordilatte Fior d’Agerola dei fratelli Fusco, salsiccia di fassona, olio al tartufo, pepe nero e cornicione ripieno di ricotta di bufala del casertano Caseificio Franzese. Cornicione farcito che torna nella “Campania”, insieme a bocconcini di mozzarella vaccina e pomodoro della cooperativa agricola Agrigenus. “Il nostro non è un proprio San Marzano, che si sviluppa molto in verticale e necessita di una coltivazione complessa e puntuale. Per noi la cooperativa ha studiato un pomodoro pelato che cresce a mezza altezza e che viene raccolto a mano. Ne siamo orgogliosi”, svela Arbellini. Fiero anche dell’extravergine fruttato griffato Olio Guglielmi, frantoio di Andria.
Ed è proprio la burrata a nutrire la “Puglia”, cui concorrono pure datterini gialli e capocollo di maialino del prosciuttificio irpino Ciarcia. Mentre la “Basilicata” elegge patate al forno e peperoni cruschi; la “Sicilia” abbraccia datterini rossi, olive nocellara del Belice e filetti di tonno dell’azienda cetarese Delfino; e la “Abruzzo” emula un’amatriciana, inanellando pomodoro, guanciale, pepe nero e pecorino romano by La Rinascita, cooperativa nuorese. Pecorino e guanciale che finiscono pure sulla “Lazio”, complici tuorlo e pepe. In memoria della carbonara.
Sì, perché il bello di Pizzium è la sua capacità di evocare le regioni grazie a un accenno, a un’atmosfera, a un filo di pesto pronto a rammentare la “Liguria” e a qualche fetta di bresaola a ricordar d’essere in “Lombardia”. Sono sufficienti uno o due ingredienti. Selezionati attentamente. Gli altri elementi possono pure arrivare da altre parti. Poco importa. Quel che interessa è che mangiando la “Veneto” - anche se ci sono le noci di Sorrento - si fa un tuffo nella crema di radicchio rosso. E ordinando la “Emilia Romagna” si scopre la bontà della mortadella del salumificio modenese Villani, seppur accanto a lei ci stia (benissimo) la stracciatella pugliese. La regionalità è rispettata, ma in una geniale prospettiva interregionale. Un pensiero local-global a corto-lungo raggio italiano.
E italiano è anche il senso del luogo di ogni locale. “Dove possiamo cerchiamo di valorizzare il genius loci. Per esempio a Torino siamo in un palazzo del Quattrocento. In molti spazi evidenziamo i mattoni a vista. Ma in quello di Serravalle, all’interno di un outlet, il mattone non avrebbe senso. In via Vigevano, invece, c’è un murale dedicato a Maradona. Un cult per Napoli”, puntualizza Grammauta. Nel segno di un savoir-faire artigiano che permea persino le ceramiche che accolgono le pizze: rigorosamente dipinte a mano.
Artigianalità che alimenta le altre proposte in carta. Dalle trecce dei Monti Lattari alle bruschette con la ’nduja di Spilinga, dai fusilli all’amalfitana ai paccheri Antiche Tradizioni di Gragnano nel coccio alla sorrentina, passando per il panuozzum. Una sorta di panino aperto, realizzato con lo stesso impasto della pizza. Un vero must, farcito con mozzarella di bufala e prosciutto di San Daniele di 16 mesi; con ricotta di bufala, speck e datterini rossi; oppure con polpette di manzo e maiale in sugo di pomodoro, basilico e grana padano. Un’eccellenza. “Non avrei potuto non proporlo. Mia mamma Carmelina mi ripete sempre: ricorda che s’i figlio d’u' purpettaro. Visto che mio padre è un mangiatore seriale di polpette”, racconta ironico Nanni.
Una mania per il dettaglio che contamina i dolci. Preparati ad hoc per la pizzeria nel laboratorio della pasticceria “di famiglia” Gelsomina (in via Carlo Tenca). Babà napoletano e cannolo siciliano, cheesecake al pistacchio e maritozzo con gelato. Non da ultimo il tiramisù, vaporosa specialità della casa.
E da bere? Uno “Spritzium”, con Aperol, Prosecco e soda. Poi, focus su qualche vino (per nulla banale), come il solare e minerale Vermentino sardo by Audarya (azienda cagliaritana di Serdiana), o il fondente Susumaniello salentino “Imprint” targato A Mano (maison barese di Noci). Non dimenticando la birra. O meglio, la “Birrium”, una bionda ad alta fermentazione, non filtrata e non pastorizzata, prodotta in tandem col birrificio ossolano Balabiòtt. Che significa “danza nudo”. Perché la birra, come la pizza, è una cosa seria. Ma anche una cosa semplice.
I locali di Pizzium sono aperti tutti i giorni. Tutto l’anno. Qui, nel dettaglio, gli orari di ciascuna insegna.