“La prossima volta ti faccio assaggiare l’arca di Noè”, mi dice sorridendo orgoglioso Matteo Simonato. Con palese riferimento a tutti quei piatti da far salire sulla zattera della salvezza, affinché siano recuperati e riportati in auge. “Certo, preparo le rane, fritte o con il risotto; e poi le lumache, in rosso o à la bourguignonne; e la trippa, in umido o anche fritta, con aglio e rosmarino”, precisa Matteo. Trentadue anni, una formazione al Campus Etoile Academy di Chioggia (oggi traslocata nella viterbese Tuscania), un’occasione colta al volo per lavorare in Australia e poi il ritorno in Italia, al fianco di Misha Sukyas: prima all’Alchimista e poi allo Spice. Insomma, un capitano di lungo corso. Capace di guardare la tradizione con gli occhi della meglio gioventù.
Come fa nella sua nuova casa: l’Osteria Zelata, nell’omonima frazione di Bereguardo, in terra pavese e in pieno Parco del Ticino. Al suo fianco? Un altro giovane chef come Mattia Abussi e una cordata di soci decisi a far di questo ristorante una meta per amanti del buon cibo: Patrizia Scotti, con i figli Ezra e Tiberio, nonché Stefania Carrasso. L’eredità è quella dei conti Caramelli, titolari di una griffe storica (e ormai scomparsa) come l’Omino di Ferro. La mission invece è tutta concentrata nel dare alla tradizione una vigorosa sferzata di energia. Così la cotoletta - rigorosamente con l’osso e cotta nello strutto e nel burro chiarificato - si fa young, indossando chips di patate. Mentre il ganascino di manzo cucinato a bassa temperatura incontra patate ratte al forno e il carnaroli Riserva San Massimo abbraccia il classico ossobuco alla milanese. Come cultura lombarda vuole. Certo. Ma con un piglio dinamico e moderno.
Merito anche dell’ambiente. Dove il legno scuro convive con il senso contemporaneo del minimalismo, regalando uno spazio rassicurante che rimane comunque smart e frizzante. Orchestrato col grazia e garbo da Alessia Buratti, alla gestione di una sala che conta 45 coperti. A cui si aggiungono i 25 del piano superiore, dove non manca un tavolo social.
E poi c’è la cucina. Di Matteo e Mattia. Lombardo-veneta, ma anche vocata ad altre regioni. Solida e al tempo stesso volitiva e scattante. Lo conferma la colorata giardiniera fatta in casa che accompagna le delizie di Varzi del Salumificio Artigianale 1967 Thogan Porri.
Ma lo confermano pure i mondeghili, i supplì di zucchine e salsiccia e i taleggini proposti come sfizioso antipasto fritto. Rileggendo in maniera rock un eclettico formaggio lombardo come il taleggio dop, tutelato e valorizzato dal consorzio.
Non dimenticando l’insalatina di faraona con asparagi verdi, finocchi e arance; la tartare di fassona piemontese con robiola e asparagi marinati; nonché i filetti di trota in saor con cipolle, pinoli e uvetta. Dal timbro agrodolce.
Tono agro che gli chef amano parecchio. E che esprimono a perfezione pure nel luccio in carpione con crema leggera di cavolfiori. Estivo e curioso.
Fra i primi? Tagliatelle homemade con pesto di foglie di ravanello; ravioli ripieni di gallina con ragù d’erbette spontanee; lasagnetta con gamberi di fiume e asparagi verdi: e un superbo risotto green, con grana padano, cipolla, burro, scalogno e asparagi. Piacevolmente all’onda. Come dev’essere.
Per chi ama la carne, invece, vitello tonnato con fondo bruno, capperi e olio al limone; pancia di maiale con puree di cavolfiore, indivia, carote e cipollotto; e petto d’anatra con pere, arance e spinacino. Anche se è sempre meglio chiedere ad Alessia eventuali fuori carta. Vedi gli gnocchi di patate con ortiche, ragù di vitello e pecorino sardo. Sublimi nella loro raffinata ruralità.
I dolci variano spesso. Ma Matteo svela uno dei must del locale: il cannellone ripieno di sbrisolona. Traduzione: un cannellone di pasta fresca, impanato nell’uovo e nello zucchero, fritto e farcito con crema di ricotta e cioccolato bianco e fondente. Un cannolo siciliano che parla lombardo.
E se sulla tavola spiccano pane, focaccia (anche integrale) e grissini serviti nel tovagliolo, nei calici possono finire il Buttafuoco affinato in barrique delle Cantine Cavallotti; l’Inferno, il Sassella, lo Sfursat e il Gumello di Nino Negri; e la Bonarda e la Barbera dell’Oltrepò Pavese di Cabanon. Presente pure con il “King Arthur”, nobile figlio di tre antichi vitigni oltrepadani (barbera, croatina e uva rara), e il “Cuoredivino La Botte n°18”, un grande rosso, nato da uve cabernet sauvignon e bonarda raccolte al momento della massima maturazione.
Il consiglio? Quello di consultare sempre la pagina facebook dell’osteria, per captare le serate degustazione. Fiere di accendere le luci su prodotti e produttori del Bel Paese.