“La grande bellezza? È la dimensione dell’armonia piena”, esclama Rudi Reni. Discendente di quel Guido che nel Seicento contribuì alla magnificenza della pittura classica italiana. Così come classica è la preparazione di Rudi: emiliano di nascita, milanese d’adozione e avvocato - dello star system televisivo - di professione. Ama parlare - pure in latino - Rudi. Ma ama anche star a sentire gli altri. “Certo, perché l'ascolto arricchisce, mentre l’autoreferenzialità limita”. E lui ha saputo ascoltare il richiamo di Grintorto, trecentesco borgo del micro comune di Agazzano, fra le ariose campagne piacentine. “Siamo tra la Val Tidone e la Val Luretta”, precisa. “In un borgo del 1250 che, ancor prima, fu una rocca romana, distrutta dal Barbavara, generale del Barbarossa”.
Un luogo saturo di storia, ruvido e setoso, sublimato in un locus amoenus. Grazie alle cure di Rudi e della moglie Paola Pacinotti: fino a qualche anno fa titolare di un’agenzia milanese di comunicazione ed eventi e ora raffinatissima padrona di casa. Due moderni mecenati, fautori della rinascita di Grintorto e della sua trasformazione in un ristorante di haute cuisine: OR - Cucina d’Arte, ospitato negli edifici del castello, in un continuum di scaloni, statue, colonne, candelabri, trompe l’œil, affreschi e grottesche. Tre infatti le sale dai pavimenti originari: la sala blu, quella della caccia e quella del camino. Per un totale di una cinquantina di coperti. Reiterati (d’estate) nella vasta terrazza, alla quale si accede attraverso un “cannocchiale”, ossia un corridoio lungo e stretto, capace di stringere la prospettiva per poi allargarla sul mondo. Quasi a ricordare l’apertura mentale che si ebbe a partire dal Medioevo. Quando, da fossati e torrazzi, si passò ai terrazzi.
E quello di OR è decisamente un balcone grande. Affacciato su un giardino nutrito di ghiaia e sculture femminili, in vertiginoso bilico lungo le balaustre. Mentre fiori e fontane segnano la trama e i cipressi tessono l’ordito. “Perché l’eleganza dei cipressi non ha pari”, puntualizza monsieur Reni. E nel bel mezzo? Uno splendido giardino d’inverno. Una serra-salotto in ferro e vetro, che lascia intravvedere seducenti sedute in velluto verde, lasciando entrare un mare di luce. Accanto, l’ORangerie. “Non volevo realizzare un luogo di stampo scozzese”, svela Rudi. E allora? Ecco uno spazio dallo stile country colto. Basti pensare che lungo il bancone in legno corre una cantoria, scandita da lire, bombarde e violini. Che si ripetono lungo soffitti e pareti. Mentre la bottigliera è incorniciata, come un quadro.
“Al restauro ho voluto pensare personalmente. Perché se sbaglio voglio sbagliare da solo. Lo so, non sono un portatore di certezze, ma sulle mie gambe cerco di trasferire la dimensione umana”, ammette il gentleman Rudi. Che con Paola sta valorizzando il territorio. Puntando su un turismo d’alto profilo. E partendo proprio dalla cucina. Che, guarda caso, se ne sta sotto le volte affrescate, con tanto di camino. Una scenografica kitchen che elegge due giovanissimi protagonisti under trenta: Mauro Brina e Davide Modesti, insieme nella vita e nel lavoro. Classe 1990 e bergamasco di Romano di Lombardia Mauro; classe 1993 e bresciano di Esine (in Val Camonica) Davide. “Sono così responsabili. Fanno tutto come se fosse il loro ristorante”, afferma madame Pacinotti. “E poi sono diversi, si compensano e si completano. E quando sono insieme danno il cento per cento”.
In effetti, sono differenti Davide e Mauro. Che preferisce lavorare il pesce, mentre il collega-compagno predilige trattare la carne. Dopotutto un passaggio in Toscana - al Relais & Châteaux Il Falconiere - fu galeotto. Così come lo furono L’Albereta di Erbusco e il Laurin di Salò. Invece Mauro si è fatto le ossa all’Alma di Colorno, per poi far tappa Da Vittorio a Brusaporto e Da Nadia a Erbusco. Giovani ma non certo inesperti il duo Brina-Modesti, che non promette di far cucina piacentina ma di esaltare al massimo la materia prima. Sia quella locale sia quella che vien da lontano. “Utilizziamo le mele a chilometro zero ma pure il tartufo piemontese, le patate molisane e il pescato italiano”, spiegano gli chef. Attenti al minimo spreco.
Del resto, si chiama o non si chiama OR - Cucina d’Arte? OR come “oro” verrebbe da pensare. Certo, è più che logico. Ma anche OR come “oppure”, all’inglese. Una valida alternativa alla cucina tradizionale piacentina che allaga queste campagne. E che non avrebbe senso replicare qua. Dove invece ci si concentra su pochi elementi del piatto, giocando con le acidità e con le consistenze. “Quello che facciamo è frutto della nostra esperienza e dell’immaginario che suggerisce la materia”, dicono. E Paola li aiuta, battezzando le pietanze in maniera geniale ed evocativa. Come accade per “Altamarea”: tagliolini al nero di seppia mantecati ai gamberi gobbetti e scorza di limone. Complici una vela di seppia, l’avgotàraco (bottarga di muggine griffata Eccellenze Elleniche) e una salsa di pomodoro marinda (dell’azienda siracusana PachinEat), preziosa di olio, aglio e peperoncino.
Ma come succede pure per il “Total Black” della collezione autunnale, che va a sostituire i piselli con i fagiolini novelli al burro di Normandia. Arricchendo il tutto con una crema al profumo di menta e tenendo ben saldo il black cod nel suo ruolo da star: scottato sulla piastra e affumicato al legno di quercia e whiskey Jack Daniel’s.
E la cacio e pepe? Anzitutto si chiama “Non di solo cacio” e mette nel piatto gli spaghetti Monograno Felicetti, conditi con caciocavallo stagionato e pecorino. A far da sfondo: gamberi rossi marinati al lime e pepe di Sichuan.
Mentre sotto l’insegna “Fondente”, finiscono i bottoni di patate rosse ripieni di zabaione al parmigiano reggiano di 30 mesi, acqua di pomodoro e caviale di aringa affumicato.
Il manzo all’olio è invece un tributo a Rovato, ma riletto in “Velluto”: un cappello del prete cotto in forno con polenta di Storo fritta, clorofilla di prezzemolo, quenelle di purea di carote caramellate e spuma di acciughe, fondo di cottura (della carne), grana, pangrattato e polvere di capperi.
Ma c’è anche il maiale. Anzi, “Il Signor Maiale”: pancia di maialino da latte croccante (cotto a bassa temperatura e poi scottato in padella dalla parte della pelle), costine di maiale iberico marinate nelle spezie e glassate con salsa di soia, millefoglie di patate fondenti e senape à l’ancienne, e ketchup di pere e rafano. Servito in sala, su una mini griglia, con corredo di infusione al tè, rosmarino e pepe di Sichuan.
E la lingua? “Parliamone”: losanghe di lingua di vitello cotta a bassa temperatura nel tè nero affumicato (con legno di quercia e Jack Daniel’s), cipollotto alla cenere e riduzione di sherry Pedro Ximénez. Un piatto sensuale, lieve eppur virile.
Una lingua in grado di far sentire la propria voce. Anche in un menu a sei mani che ha visto il duetto Brina-Modesti divenir terzetto. Grazie a uno special guest quale il coetaneo (classe 1991) Paolo Griffa, giunto direttamente dal Petit Royal di Courmayeur, l'oasi gourmand del Grand Hotel Royal e Golf.
Una cena che ha annunciato esser la “prima” di altre cene, prossimamente in calendario per rendere onore all’arte culinaria. All’ouverture? Una serie di amuse bouche a più mani: tuile alle mandorle, salmone marinato al wasabi, crème fraîche all'erba cipollina e semi di papavero; panino fritto al vapore, acciuga affumicata, salsa all’arancia e cerfoglio; pera in osmosi con caviale; costine di coniglio fritte; e cialde di topinambur. Accompagnati da un calice di Ferrari Perlé, iconico figlio dello chardonnay di montagna. Per poi proseguire con la creazione di Griffa: trota fario marinata, salsa di mele e idromele, zucchine in scapece alla menta e perle di tapioca all’olio di basilico. Il rosa e il verde, la delicatezza e il vigore in magistrale equilibrio. Ideale con il Bernkasteler Badstube Riesling Spätlese Feinherb, un’intensa e aurea vendemmia tardiva della Mosella firmata Cardinal Cusanus Stiftswein. Un nettare di razza, proposto dal sommelier Giorgio Cortucci.
A seguire? Un altro piatto-firma dei resident chef: il “Travolgente” riso Acquerello alla bisque di crostacei aromatizzata alla cannella e vaniglia, gamberi rossi leggermente scottati, limone salato e menta. Sposato a meraviglia con i sorsi freschi e minerali del Collio Friulano doc by Simon Komjanc.
Un friulano autentico, che ben ha accompagnato anche lo storione di Griffa: farcito con capesante e limone e completato da una riduzione realizzata con fumetto di pesce, pane, vino bianco e resina di pino. “E per contrastare la dolcezza? Caviale!”, aggiunge il talentuoso Paolo. Che dà allo storione la forma di una girella, creando un vortice fra ludus e lusso.
Una cena che ha decisamente preso il “Volo”. Complice il piccione di Brina-Modesti. Un volatile - “della vercellese Moncucco”, precisa Davide - dal timbro rosato (cotto a bassa e poi scottato in padella) con purea di mele e cerfoglio, e mela verde in osmosi con lo zucchero moscovado. Mele localissime, coltivate nell’azienda agricola gestita dal figlio di Rudi: Oleg Reni. Un piccione suadente, perfettamente abbinato al pinot noir Côteaux Bourguignons Les Fourneaux del Domaine Mouton.
A questo punto, la versione Brina-Modesti del Mojito. Un pre dessert fucsia, fra gel al moscovado e granita di lamponi.
Lampone, in forma di biscotto, pronto a finire pure nel dessert di Paolo: “Flower Power”, scenografico compendio di cheesecake alla vaniglia, pan de mej ai fiori di sambuco, cremoso al cioccolato bianco, yuzu e frutti gialli (ananas, pesca, albicocca, mango e passion fruit), polline, petali, frutti rossi e infuso ai fiori di camomilla.
Mentre un cult dei giovani chef di OR è “Esperienza”. Un dolce condiviso, allestito live on the table, in pieno stile Alinea, il ristorante di Chicago che ha saputo trasformare il menu in spettacolo. Voilà un pollockiano dessert che contempla una sfera di cioccolato Guanaja di Valrhona, pronta a celare un cremoso al cioccolato Ivoire (sempre di Valrhona), passion fruit e crumble alle mandorle. Intorno, salse: al lampone e al frutto della passione. E ancora, zuppetta al cioccolato bianco e yogurt greco; caramelle al mango e passion fruit; spugna alle nocciole, spuma di yogurt e terra di cioccolato.
Dolci che portano la firma di Stefano Quaroni. Vedi il “Prestigio” versione personalissima del tiramisù. Che, nella piccola pasticceria si trasforma in bignè. Insieme a sablé al cocco, rocher alla nocciola, mini Monte Bianco, marshmallow allo yogurt e lampone e cremini-frollini al caramello salato e pistacchi. Perché da OR tutto è fatto in casa. Anche il pane sfogliato al burro, i grissini salati e i cracker al finocchietto.
E per chi non volesse ordinare à la carte? Vi sono tre menu degustazione: “OR… bene”, “OR… sù” e “D’Or”, rispettivamente a 62, 66 e 80 euro. Il ristorante è aperto a cena, dal mercoledì alla domenica, dalle 20 alle 22.30; a pranzo, il sabato e la domenica, dalle 12.30 alle 15.
Tutt’intorno a OR
Ma il ristorante gourmand non è solo. Acanto a lui vive un altro mondo. Più rustico e rurale. Capitanato da Oleg Reni, il quarantenne figlio di Rudi. Che guida una vera e propria azienda agricola (di circa settanta ettari) e che ha sposato Gaia Bucciarelli, capitana della cantina Santa Giustina. Sempre lì, in terra piacentina, fra i colli che coronano Pianello Val Tidone.
Un universo agreste che presto sarà completato da un resort. Il cui progetto è stato seguito per filo e per segno da Oleg: il Sant’Uberto di Grintorto resort & spa. Che in realtà riapre, dopo una breve parentesi nel 2016. Anzi, rinasce, ancor più bello e confortevole. Cinto interamente da mura e a pochi passi da OR. Quasi fosse naturale appendice della creatura di Paola e Rudi.
Insomma, la coerenza vince sempre. E qui Oleg sta facendo un gran lavoro. Dodici camere (di cui due suite), anzitutto. In un dialogo fatto di glicini e tralci d’uva decorati a mano lungo le pareti, pavimenti in larice altoatesino, soffitti in abete e bagni dagli arredi in olmo. Legno dunque, tanto legno. Ma anche un impianto domotico di ultima generazione. Con tanto di scelta musicale che va dal jazz al sound classico, dalle note contemporanee alle canzoni per bambini. Ai quali è destinata un’intera area giochi super attrezzata. E poi? Non mancano sale e salotti e persino un ristorante. “Qui faremo una cucina mediterranea attenta alla tradizione ma anche al benessere”, spiega Oleg. Che per il bancone della reception ha utilizzato una porta del seicento, in pioppo.
È invece una porta settecentesca in noce antico a formare il banco del bistrot. Che se ne sta un po’ più in là rispetto alle room. “Sarà aperto il venerdì sera, il sabato e la domenica. E proporremo piatti semplici, riassunti in quattro menu degustazione, capaci di valorizzare i prodotti della tenuta agricola e i vini di Santa Giustina”, prosegue Oleg. Che ha decisamente le idee chiare. Anche sulla spa, che occuperà 1.500 metri quadrati al piano inferiore del resort. Con tanto di piscina esterna, piscina indoor (con camino), aree social (con sauna, bagno turco, docce emozionali e percorso Kneipp) e una decina di private spa. Per vivere il wellness in totale riservatezza. Fra giochi di caldo e freddo, sale, sabbia e fanghi rigeneranti. E tutto intorno? Un parco di otto ettari, animato da lecci, querce, frassini e percorsi da fare a piedi o in bicicletta. I lavori sono in itinere. Stay tuned.