Genius loci e globalità. Senso del luogo e internazionalità. Riservatezza e social attitude. Obicà si concentra sul qua ma osserva il là. Va con la lente d’ingrandimento sul dettaglio, ma non manca di rivolgere uno sguardo panoramico sul mondo. Dove si dirama, non dimenticando la sue radici, affondate nel Bel Paese. Visto che tutto è iniziato in Italia, a Roma, nel 2004, grazie a un’idea visionaria di un napoletano doc quale Silvio Ursini.
Ed è proprio in dialetto partenopeo che Obicà vuol dire “eccolo qua!”. A indicare qualcosa di sorprendente e inatteso. Capace di stupire. Come una mozzarella di bufala, candida e freschissima. “Arriva tre o anche quattro volte alla settimana”, spiega la direttrice Daniela Arena, alla regia del mozzarella bar, pizza e cucina di Brera, a Milano. Uno spazio essenziale, lineare, urbano e cosmopolita. Ma al tempo stesso avvolgente e coinvolgente. In cui il nero metallico gioca con i colori solari e mediterranei dei limoni, del basilico e del pomodoro. Giallo, verde, rosso. Mentre il bianco fa da leitmotiv, incarnato nel noto formaggio campano. Vera star del locale.
Anzi, dei locali. Dieci lungo lo Stivale. Ciascuno perfettamente integrato nel tessuto sociale della città in cui abita. Perché se design e cifra stilistica comfort-minimalista fanno da fil rouge, poi è il sense of place a plasmare, forgiare e determinare le caratteristiche e l’offerta delle varie insegne. Più concentrate sulla caffetteria e su una proposta smart se posizionate in una zona ad alto flusso. Come possono essere Obicà Centrale, con vista sui binari della stazione milanese; Obicà Malpensa, al terminal 1 dell’aeroporto; Obicà Serravalle e Obicà Castel Romano, all’interno dei rispettivi designer outlet.
Più eleganti e ricercate, se situate in quartieri metropolitani altamente iconici. Vedi Obicà Brera, nell’oasi milanese degli artisti; Obicà Duomo, al settimo piano della Rinascente e con affaccio diretto sulla cattedrale; Obicà Firenze, nella lussuosa via de’ Tornabuoni, nel centro della città del giglio. E vedi pure Obicà Parlamento (a due passi da Montecitorio) e Obicà Campo dei Fiori, nel cuore della capitale. Non dimenticando Obicà Palermo, anch’essa al quarto piano della Rinascente. Mantra comune? La semplicità nutrita da una forte identità e da una spiccata personalità. Tanto da far divenire ciascun posto, un luogo unico.
Filosofia che permea pure le insegne oltre confine. Quindici in toto: cinque a Londra, cinque negli Stati Uniti (tre a Los Angeles e due a New York) e ben cinque in Giappone. Per una griffe ambasciatrice del made in Italy.
Di bufala e di autentiche golosità
Mozzata a mano e prodotta da caseifici attentamente selezionati e certificati. Tutti appartenenti all’area indicata dal disciplinare del consorzio. Così è la mozzarella di bufala campana dop. Servita nuda e pura, in tre declinazioni: delicata, intensa e affumicata. Per onorare al massimo le differenti lavorazioni e per rispondere al meglio alle diverse esigenze del cliente. Che può preferire un gusto delicato o virare su un tono più deciso e determinato. Ma la figlia prediletta della bufala non è sola. Con lei ci sono la ricotta e la casatica, dalla crosta vellutata e dal sapore fondente. E poi? Non mancano le sorelle di latte… pugliesi. Dalla burrata alla voluttuosa stracciatella. Una famiglia riunita nella “gran degustazione”, che non solo è buona ma fa pure del bene. A ogni ordinazione, infatti, Obicà devolve 2 euro alla Fondazione Francesca Rava - N.P.H. Italia Onlus, impegnata nel virtuoso progetto di Francisville - Città dei Mestieri. La mission? Contribuire alla lotta contro la malnutrizione dei bambini che frequentano le “scuole di strada” di Haiti.
Mozzarella solidale, dunque. Ideale da assaporare da sola, oppure in tandem con un prodotto recentemente introdotto in carta: il tartufo nero estivo sott’olio. Giusto per regalare un tocco noir ai bocconi white. Che possono pure venire accompagnati da un manipolo di contorni: i pomodori datterini col pesto, la caponata alla siciliana, i carciofi arrostiti sott’olio, gli ortaggi di stagione grigliati e al forno, nonché la prelibata Giardiniera di Morgan, firmata da una maison vicentina che lavora sartorialmente le verdure per poi metterle sotto vetro.
Complice del tutto? L’olio extravergine dell’azienda agricola pugliese di Cinzia Ceci Giovinazzi di Ducenta e il cestino del pane. Nel quale si fanno notare i grissini e la focaccia, entrambi preparati con Petra 3, la farina macinata a pietra di Molino Quaglia. Del resto, i locali Obicà sono tutti Petra Selected Partners. E appartengono al network dell’eccellenza del molino estense.
Sharing mood
Condivisione. Questa la parola d’ordine di Obicà. Che pur non trascurando il rispetto per l’intimità dell’ospite, punta dritto sulla convivialità. Coniugata nell’ambiente e nell’ingrediente. Il che significa tavoli social (presenti in quasi tutti i locali), per pranzare o cenare in coppia, in famiglia, con gli amici e, perché no, anche con chi si potrebbe conoscere live. E che vuol dire pure “food to share”. Nel senso che le pietanze sono pensate per essere equamente divise. Oppure? Per essere assaggiate in solitaria, seguendo il diktat della fame, grazie alla loro taglia small e large. Piatti ideati e studiati dal creative chef Alessandro Borghese. Che un po’ di napoletanità nel sangue ce l’ha.
“Qui si può venire tanto per fare uno spuntino e un aperitivo quanto per pranzare e cenare. Oppure per una merenda, un dopo cinema, un dopo teatro”, racconta Daniela Arena riferendosi allo spazio in Brera, aperto sette giorni su sette, dalla tarda mattinata alla notte inoltrata. E la lista delle vivande conferma il mood dinamico e flessibile del brand, suddivisa com’è in portate che lasciano assoluta libertà di scelta. Senza l’obbligo di seguire il canonico rituale che va dall’antipasto al dessert. E mangiando su tovagliette eco, realizzate con gli scarti della lavorazione di agrumi, mais, kiwi, caffè, olive, mandorle e nocciole.
Ecco allora le sfiziosità calde e fritte… molto bene: dai supplì al telefono (così chiamati perché filano) alle crocchette di patate, prugne e pancetta.
Mentre il polpetta burger elegge a protagonisti panino al latte, polpetta di razza piemontese e salsiccia, spinacino, mozzarella di bufala affumicata e salsa allo yogurt di bufala e senape.
Anche se da provare sono pure i nodini di fiordilatte e arance (con sedano, spinacino, mandorle tostate e olive), e la mozzarella di bufala con le zucchine alla scapece o con la polpa di granchio. Un binomio insolito, ma accattivante.
E poi? Ci sono i salumi, orgogliosi di rendere onore alla tradizione delle varie parti d’Italia: dallo speck altoatesino al prosciutto di Parma, dalla bresaola della Valtellina alla ’nduja di Spilinga, dal salame di Felino alla mortadella di Prato, un presidio Slow Food. Come lo è del resto il sale marino di Trapani che, con l’origano, va a condire la focaccia messa a punto con Petra 3 o con Petra 9, l’integrale “tuttograno” della famiglia Molino Quaglia. Farine utilizzate anche nella preparazione delle pizze, lasciate lievitare lentamente e lungamente e poi cotte su pietra refrattaria. Da sperimentare? Quella con pesto e stracciatella e quella con il prosciutto cotto al tartufo nero estivo. Complici stracchino e mozzarella di bufala, of course.
E nel calice? “Le bollicine sposano a meraviglia la mozzarella”, precisa madame Arena. E le bollicine nella wine list non mancano: Maximum Brut e Rosé, i due Trentodoc by Ferrari; nonché “Prior”, il Valdobbiadene Prosecco Superiore di Bortolomiol. Così come non mancano i bianchi e i rossi: “Molin”, il luminoso e aromatico Lugana di Cà Maiol; e “Radici”, il prestigioso Taurasi Riserva di Mastroberardino. Per un viaggio fra i vitigni in purezza… di chardonnay, pinot nero, glera, trebbiano di lugana e aglianico. In alternativa: birre, bibite Galvanina e cocktail. Come il Villa Massa & Tonic, che mette nel bicchiere il celebre liquore di limoni di Sorrento igp, acqua tonica e basilico fresco. Giusto per onorate la terra campana.
Burrata & Fragole
Intriganti e inedite le insalate. Da ordinare in versione piccola o grande. Dalla burrata e fragole (con rucola, fagiolini, pinoli e basilico) al farro con verdure e salsa allo yogurt di bufala. Che va pure a impreziosire una nostrana Caesar salad. E per chi desiderasse la classica pastasciutta? Voilà un tour panoramico che immortala alcuni must: trofie al pesto, tortelli, spaghetti cacio e pepe, lasagnetta, tagliolini al tartufo nero estivo sott’olio e schiaffoni (del pastificio Gentile di Gragnano) con pomodoro bio La Motticella (di Paolo Petrilli) e mozzarella di bufala. Che torna nell’hamburger. O meglio nell’O’Burger di razza piemontese, con pomodoro, spinacino, pesto di basilico e olive taggiasche.
Mentre per dessert il consiglio è di fare tris: con tiramisù, millefoglie (alla crema soffice di mascarpone e frutti di bosco) e torta di ricotta di bufala e cioccolato fondente. Intanto, col caffè arriva una chicca: il bocconcino Dai Dai alla panna. Per finire col latte in bocca.
Ritmo rock
Ha un’anima dinamica Obicà. Aperta a tutte le novità. Tant’è che ogni mese manda in onda uno speciale. In genere, tre piatti limited edition dedicati a un ingrediente - come potrebbe essere il riso, il carciofo, il pistacchio di Bronte o il salmone selvaggio - oppure a un tema, a un concetto. Così il mese di maggio suona il rock, con un terzetto di delizie pensate da Borghese. E dallo spirito decisamente hard. Della serie, le zeppole rock, con prosciutto cotto alla brace, mozzarella di bufala affumicata e peperoni; il rock burger, ossia focaccia con costine di maiale marinate, mozzarella di bufala affumicata e zucchine grigliate, con corredo di patate arrosto; e la pizza rock, con soppressata di Calabria, mozzarella di bufala, cheddar, funghi, peperoni e zucchine.
Da assaggiare anche in occasione del party del 9 maggio, dalle 20 alle 22 (prezzo d’ingresso 30 euro, prenotazioni a eventimilano@obica.com). Complici lo showcooking di Alessandro e i remix di dj Michael Adam. Per rivivere le atmosfere anni Settanta dei Doors, di Jimi Hendrix, dei Pink Floyd e dei Led Zeppelin. E il 23 maggio si bissa. Da Obicà Firenze.
Foto location by Alberto Blasetti
Foto piatti by Tim Atkins