“A loro piace stare al sole. E allora noi li coccoliamo e li spostiamo negli angoli più caldi”, racconta Antonio Danise parlando dei limoni. Che lui ha voluto portare dalla Costiera Amalfitana per farli acclimatare in villa. Sì, Villa Necchi alla Portalupa, dove tiene il timone di tutta la proposta ristorativa. A Gambolò, a sette chilometri da Vigevano, in provincia di Pavia, nel cuore della placida Lomellina e pure nel bel mezzo del Parco del Ticino. E di dieci ettari di parco privato.
Un luogo bucolico. Verde che più verde non si può. Del resto, Vittorio Necchi e la consorte Lina Ferrari scelsero la dimora ottocentesca non certo a caso. Appassionato di caccia lui, amante di piante, fiori e orchidee lei, qui trovarono il loro paradiso immerso nella natura. Con tanto di roggia La Castellana, serre e lago dei cigni. Come in una fiaba. “Intorno al laghetto ci vado al mattino, a raccogliere le ortiche”, commenta Antonio. Che passeggiando nel bosco pesca invece i luertis, i germogli del luppolo. In una sorta di foraging casalingo.
“Mi sono ambientato benissimo. Però sono fiero di essere napoletano”, precisa Danise: classe 1984, radici affondate nella città devota a San Gennaro, studi all’istituto alberghiero De’ Medici di Ottaviano e l’illuminazione sulla via del bistellato Quattro Passi di Nerano. Poi? La Svizzera, il ritorno in patria - al Marennà di Sorbo Serpico e al Bikini di Vico Equense - e infine la chiamata in Lombardia, in terra pavese. Per insegnare e, in seguito, per divenire executive chef della signorile residenza di campagna. Ed entrare persino a far parte di una prestigiosa associazione quale Chic - Charming Italian Chef.
In sintesi? Un napoletano trapiantato nel Parco del Ticino. Saggio e orgoglioso nel preparar delizie che rendono onore al qui, non dimenticando il là, il sud e la Campania Felix. Così Danise crea ricette che rileggono la memoria con la lente d’ingrandimento del genius loci. Oppure che al genius loci aggiungono un tocco di Mediterraneo. L’equazione non cambia. Lomellina e ’O sole mio vanno d’accordo, esprimendosi in pietanze perfettamente in equilibrio fra settentrione e meridione. Della serie? “Una parmigiana a 830 km da casa”, preparata secondo la ricetta classica, ma utilizzando la mozzarella di bruna alpina di una fattoria lì vicina (il Tex Ranch di Garlasco).
Mentre il riso carnaroli Riserva San Massimo di Gropello Cairoli incontra il limone e i gamberi rossi di Mazara del Vallo di Paolo Giacalone.
Anche se non manca un chiaro omaggio a nonna Maria: il maxi spaghetto del Pastificio dei Campi (di Gragnano) con vongole veraci e briciole di tarallo napoletano. Sì, quello con pepe e mandorla intera.
Il tutto servito in un ambiente intimo e riservato. Prima deputato a ospitare la sala da gioco della villa. Pochi coperti (20-25 al massimo), parquet, ritratti di storici personaggi alle pareti, libri e bottiglie sugli scaffali e grandi finestre affacciate sul parco. Sulla tovaglia: posate Broggi 1818, piatti classici griffati Villeroy & Boch e più audaci firmati Serax. Nulla è fuori posto.
A tavola, un “parco” giochi
Grissini. Lunghi ed eleganti, vengono stirati a mano e messi in un vaso come fossero fiori. Arricchiti da semi di sesamo e papavero o da una crosta di mais. E con loro? Lingue di suocera al rosmarino. Mentre i panini si scelgono direttamente dal vassoio: al latte e finocchietto, all’aglio e rosmarino, al pomodoro e integrale. Ai quali si aggiunge la focaccina. Preparata con Petra 9, la “tuttograno” dell’estense Molino Quaglia. “Ma uso anche Petra 5, la nuova Bread Petraviva e Bonsemì”, precisa Antonio. Che ha in progetto di portare a tavola pure una bella pagnotta. E che intanto presenta un bis di burro, a seconda della stagione: al limone e alla clorofilla di ortiche (quelle endemiche).
E poi arriva lei. A far da entrée: piccola pizza fritta ai pomodori del Vesuvio e basilico della riviera ligure. Una sorta di montanara, certo. Solo che l’impasto è messo a punto con Petra 9 e farinaccio di riso Riserva San Massimo, azienda agricola e oasi di biodiversità in pieno Parco del Ticino. Ancora una volta, la Campania benvenuta al nord.
Riso carnaroli. Che torna. Facendosi crema e sporcandosi un po’ d’olio al nero di seppia e briciole di miccone pavese. In un ricordo, evoluto e maturo, del riso e latte dell’infanzia.
Quaglie in fuga e altre divagazioni
Una la carta. Due i menu degustazione: “Sapori di Primavera” (a 50 euro) e “La Fuga” a (65 euro). Entrambi pronti a esordire con il crudo di fassona. Sì, ma allevata e macellata a Gambolò (dalla macelleria Da.Ma, di Davide e Marco) e poi affumicata con legno di rovere e quercia. A completare: salsa di mozzarella di bruna alpina. Anch’essa super local. Così la tartare sposa il territorio, accogliendo finocchi croccanti e pane carasau al grano saraceno. Il tutto impreziosito da un filo d’extravergine “Fumo” (di monocultivar peranzana) by Antico Frantoio Muraglia di Andria.
Ma Danise non può dimenticare il mare. Voilà “Seppie & Piselli”: seppie tiepide (a far da sfondo), piselli (al naturale, in crema e in cialda-carta), maionese al nero di seppia, polvere di lattuga di mare, nonché schiuma di acqua di mare e aceto di miele di Luigi Barresi. Sempre nel Parco del Ticino.
E per primo? Una paella in Lomellina: carnaroli integrale al salto, brunoise di verdurine primaverili, punte di asparagi violetti di Cilavegna, gamberi di fiume e il loro fondo ristretto.
Storione, invece, per secondo. A fornirlo è la maison Pisani Dossi, che se ne sta a Cisliano (in provincia di Milano), in un’area ricca di pure risorgive. A interpretarlo sempre Antonio: cucinato prima al barbecue e poi passato in forno. A corredo? Fave - in flan, in crema e al naturale - e pancetta di maialino nero casertano. “È per ricordare lo spuntino prediletto da mio padre Pasquale: pane cafone, fave e pancetta”, spiega Antonio.
Per chi ama la carne il consiglio è di provare la “Quaglia in fuga”: petto cotto a bassa temperatura e scottato in padella con le erbe delle serre; coscia sublimata in polpetta; panure di riso verde vietnamita fritto; e poi crocché di patate, salsa yakitory e crema al blu di bufala siglato Casa Vaghi, casearia realtà di San Genesio ed Uniti.
Ma chef Danise è pure attento all’ambiente, alla sostenibilità, al senso green e all’arte del non spreco e del riciclo. E non trascura di mettere in carta un piatto fiero di rispondere ai diktat del “Chic Respect”, targato Charming Italian Chef. Ecco dunque la “Pa-ta-ta”. Sillabata, quasi a sottolineare il senso eco e slow del piatto. Patate del Brallo, cucinate a bassa temperatura in un’infusione di stimmi di zafferano della Mancha, salvia e rosmarino; salsa demi-glace di verdure, crema di asparagi e zabaione di zafferano. A finire il tutto? Camouflage di alghe dulse e nori, nonché consommé di croste di Lodigiano grigliate.
Non da ultimo il dessert. Incarnato in una pastiera partenopea-pavese, messa a punto con il riso rosa Marchetti di Riserva San Massimo e accompagnata da una salsa e da un gelato allo Strega, il celeberrimo liquore di Benevento, prezioso della menta del Sannio.
Un dolce delicato e raffinato. Cui fa seguito il saluto dello chef. Un arrivederci in perfetto stile napoletano: la graffa con zucchero e cannella. Soffice e calda. “Somiglia a quella che preparavano all’Edenlandia quando ero piccolo”, puntualizza Danise, pescando dai suoi ricordi di bambino. E proponendo una golosità attuale più che mai. Visto che il parco divertimenti di Fuorigrotta, nato nel 1965 e poi chiuso qualche anno fa, è fresco fresco di riapertura.
E con la graffa? Arriva il caffè Musetti e un intero luna park per il palato: grissini salati al cioccolato fondente, ai pistacchi di Bronte e alle nocciole del Piemonte.
E ancora: baci di dama black & white, frollini agli agrumi, diamantini al cacao, pasta di mandorle all’arancia candita di Agrimontana e biscottini all’amarena. Perfetti anche con il liquore all’alloro homemade.
Una giostra ghiotta quella che apre e chiude il pasto, alla quale dà ampio contributo la giovanissima pastry chef Michela Repossi. Che Antonio ha conosciuto (e notato per bravura) sui banchi di scuola: l’istituto alberghiero Ciro Pollini di Mortara. Dove ancor oggi insegna.
E la wine list? Spazia su tutta Italia, facendo focus sulle zone di origine e di adozione dello chef. Fra i bianchi: il “Vigna Martina”, aromatico Riesling dell’Oltrepò Pavese di Isimbarda; oppure il floreale e minerale Fiano di Avellino “Pietracalda” dei Feudi di San Gregorio. Fra i rossi: il “Noir” della Tenuta Mazzolino, pinot nero dell’Oltrepò pieno e complesso; oppure il “Lysios”, Aglianico del Taburno Riserva delle Cantine Tora. Un autentico sannita.
Camere vista green
A Villa Necchi alla Portalupa però si può cenare (il venerdì e il sabato), pranzare (la domenica) e pure dormire. Sempre. In ventun camere di vero fascino. Nutrite di arredi preziosi, seriche lenzuola, terrazzi, panorami che si allungano sul parco e una linea cortesia al thé targata Habits Culti. “Teniamo molto ai dettagli”, dice Antonella Alfonso, responsabile della struttura insieme a Cristiano Ferrario. E al mattino? Breakfast nella luminosissima veranda. Sorvegliata da una copia dell’opera di Giuseppe Palanti, che ritrae una Lina Ferrari immersa nel paesaggio ameno e rigoglioso della tenuta. Lei, i cani, le piante, i cigni del laghetto… e le leccornie della colazione. Fra le quali spiccano le confetture - alla pesca, al fico, ai fiori di glicine e ai petali di rosa - de I Dossi, azienda agricola di Remondò. Ideali col pane o con i croissant.
Ma se la villa padronale scandisce i suoi spazi fra ristorante gourmet, divani, salotti e Sala Bamboo (pronta a ospitare fino a 120 coperti), oltre il parco appare Il Borgo, con cinque appartamenti in stile country-chic e una Club House destinata a congressi, cerimonie, eventi e banchetti.
Nella terra di mezzo? Il parco. Con la sua roggia e i suoi fiori, il vecchio abbeveratoio trasformato in fontana e le serre. In cui crescono finocchietto e lattughino, menta e rosmarino, pomodori e melanzane. “Qui tutto è come natura crea”, aggiunge Antonio. Orgoglioso dei suoi limoni e delle sue erbe aromatiche. Mentre un po’ più il là appaiono i daini, le galline ovaiole, gli asini, i pony e una serra-wellness con tanto di vasca idromassaggio. E per un afternoon tea? Ci sono graziosi spazi al coperto, ricavati dagli antichi “ricoveri” in muratura che abitano il parco e che vantano pavimenti in cotto originari.
Le déjeuner sur l’herbe (e non solo)
Parco. Da osservare ma anche da vivere. Passeggiando e sperimentando un domenicale picnic. Con corredo di tovaglia a quadretti bianchi e rossi e cestino preparato dallo chef. La prossime date da segnare in agenda: 27 maggio, 24 giugno e 16 settembre. Mentre il 10 giugno l’appuntamento è con l’esperienza bbq, il 13 luglio con la Festa delle Feste Summer Edition (siglata Viaggiatore Gourmet) e il 14 luglio con lo street food in villa.
Il picnic nel parco ha un costo di 70 euro a coppia (inclusi acqua e una bottiglia di vino), mentre i bimbi (dai 3 agli 8 anni) pagano 10 euro. Per l’ultima domenica di maggio, la food list prevede: rose di culatello di Zibello, toma piemontese stagionata nel fieno e maggengo e focaccia integrale con farina Petra 9; orzo, legumi di primavera e pollo alle erbe di Lina Ferrari; controfiletto di fassona piemontese cotto all’inglese con misticanza di verdure e maionese agli agrumi; apple pie e tagliata di fragole Candonga, lucane top quality.
Fragole e torta di mele presenti pure nel menu veg, insieme a verdure al barbecue, mozzarella di bufala campana dop e focaccia integrale con farina Petra 9; orzo, legumi di primavera e tofu marinato alla salsa yakitori; e frittata al forno, zucchine e basilico, misticanza di verdure e maionese agli agrumi. Mentre i più piccini assaggiano scaglie di grana padano dop, nugget di pollo e focaccia integrale con farina Petra 9; hamburger di razza chianina in pan brioche a lunga lievitazione; fragole e torta di mele. Infine: angolo dedicato ai gelati artigianali, naturalmente.
Foto by Altissimoceto.it