“Lei è fatta un po’ come me. Dice quello che pensa. Solo che lo fa con maggiore discrezione”, dichiara con immenso affetto e un pizzico d’ironia Gaetano Simonato. Che recentemente ha traslocato. Spostando la sua storica insegna stellata in via Petrarca 4. Sempre a Milano. E sempre col nome di Tano passami l’olio, giusto per non tradire la sua attrazione fatale per l’extravergine. “Io invece continuo a utilizzare il burro. Perché per me un risotto senza burro… ”, precisa simpaticamente Sara Preceruti. Che di Tano ha preso il posto. In quella via Villoresi 16 quasi sfiorata dal Naviglio Grande. Anche lei senza mutare il nome del ristorante aperto nel 2016 sul Lago di Lugano ma in provincia di Como, a Porlezza: Acquada. Come acquazzone in dialetto lombardo.
“Sara ha rapito il mio cuore. E pure la mia bocca, culinariamente parlando”, continua Tano. “Lei ha già dimostrato di essere brava. Prima alla Locanda del Notaio di Pellio Intelvi e poi a Porlezza. Ha tecnica. Sì, ho riconosciuto in lei alcune tecniche particolari. E soprattutto ha anima e un modo di fare che rapisce. Per questo si merita una piazza più grande. Un pubblico più vasto. Che la conosca e che ne riconosca il talento. Per questo la sto sostenendo e la sto proteggendo. Tenendola sotto la mia ala. Anche se in cucina non ho messo becco. Infatti lei continua a usare il burro”, spiega Simonato. Che di Sara è il coach, il tutor, il socio, il mentore.
“Tano mi ha dato l’opportunità di ricominciare. Ha creduto in me. Mi ha concesso la possibilità di lavorare nella sua cucina per tre mesi, dopo la chiusura di Porlezza. Ora ho resettato tutto. E ricomincio da zero”, racconta Sara: classe 1983, origini novaresi, occhi profondi. Color ghiaccio. Anche se lei preferisce l’acqua. Perché come si legge sul sito dell’Acquada: “L’acquazzone è un punto di partenza, distoglie dal passato e permette la nascita di qualcosa di nuovo”.
Acqua come fonte di rinascita. Ed è proprio nell’acqua delle pozzanghere - dopo un temporale - che si riflette Milano. Grazie a una serie di scatti in bianco e nero firmati da Massimo Picchieri ed esposti in formato maxi sulle pareti del ristorante. Fotografie raffinate e profonde. Pronte a ritrarre una metropoli capovolta, catturandone i profili di monumenti e luoghi iconici, quali il Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele, il Teatro alla Scala. “E quasi come se Sara volesse dire: adesso mi metto a testa in giù”, commenta Tano.
Indubbiamente la dolce e grintosa Sara guarda e guarderà Milano dalla sua personalissima prospettiva. Dando voce a una cucina nutrita dalla tecnica e dalla passione. E proposta in uno spazio dinamico e moderno, inondato dalla luce della serenità e dell’ottimismo. Anche perché lei non è sola. Tutt’altro. Al suo fianco vi è anzitutto Lorenzo Cantoni: classe 1987, umbro di Umbertide. “Appoggio in pieno il progetto Acquada. Del resto, ho rinunciato al mio lavoro, distante solo tre chilometri da casa”, dice Lorenzo. Fino a poco tempo fa di stanza a Borgo Pulciano, nel comune perugino di Montone (ma nei progetti della squadra il borgo tornerà a far parlare di sé). “Tutti i ragazzi che scelgo hanno testa e cuore. Poi se sono anche bravi è meglio”, puntualizza Tano. Che non solo ha tifato per Lorenzo, ma ha anche condotto a Milano un altro giovane: Riccardo Arrigoni, millesimo 1996. “Ha lavorato un anno a Doha. E mi ha supportato in un grande evento. È proprio grazie a lui che in certi momenti potevo permettermi di fumare il sigaro”, ribadisce chef Simonato.
Intanto, Sara, Lorenzo e Riccardo cucinano. E danno forma ai loro sogni. Non dimenticando un piacevole tributo al loro pigmalione. Come accade nelle alici al lemongrass su crema di zucca, daikon croccante, salsa di limone e gelato all’olio extravergine. L’elemento distintivo di mister Tano. Ma fra gli antipasti spiccano pure i bocconcini di rognone in tempura con patata schiacciata, sorbetto all’uva rossa e salsa al caffè; e il sushi di coniglio con alghe, "Blu di Bagnoli" (erborinato di capra, affinato in Porto Tawny e ciliegie essiccate, prodotto dal caseificio Lavialattea di Brignano Gera d’Adda), mandorle, cipolle all’agro, riso soffiato e crema di carote e peperoncino. In una raffinata crasi nipponico-lombarda. Mentre la tartare di salmone (marinato e affumicato) incontra bufala, marron glacé salati, salsa e cialda all’arancia; e l’uovo è cotto a 62°C in polvere di barbabietola, per poi sposare crema di broccoli, paglia di porri, gelatina di acqua di pomodoro e aria di barbabietola.
Legge in maniera libera la terra e il mare Sara. Ballando sulle regioni e sul mondo. E indagando il freddo e il caldo, il crudo e il cotto, il liquido e il croccante, l’acido e l’amaro, il dolce e il salato. Senza creare limiti e barriere. E senza trascurare una brezza piccante e intrigante. Così i tortellini accolgono un ripieno di pico de chevre, con corredo di perle di aceto balsamico, sedano rapa, tartare di puledro e brodo di mele. Gli spaghetti alla chitarra abbracciano nero di seppia, gamberi marinati in acqua di barbabietola, seppie, crema di spinaci e briciole di pane al pepe di timut. E il riso Riserva San Massimo cuoce in acqua di salvia, per poi conoscere cavolini di Bruxelles, sfere di pera e gocce di yogurt.
Intanto l’Oriente torna, con i dumpling mediterranean style: al vapore, farciti con polpo e ricotta al profumo di pompelmo, crema di finocchi e cialde di pomodoro. Ma arriva pure la Romagna, nobilitata dai passatelli al ginepro con ragù di fagiano, il suo fondo e i carciofi croccanti.
Carciofi (all’agro) che arricchiscono anche il piccione con gelato al Sauternes. Invece è una gelatina allo Sforzato a rinvigorire la sella di capriolo con mais, cardi e salsa ai frutti di bosco. Mentre i mandarini regalano una nuance agrumata alle capesante scottate, completate da zabaione di parmigiano, radicchio e scaglie al nero di seppia. E le zeste di pompelmo glassate impreziosiscono la cassoeula... di mare. Complici i moscardini. Che approdano su un crostone di polenta bianca.
Ortaggi e frutti di stagione. Agrumi in primis. Che conquistano pure i dolci. È infatti un caramello agli agrumi a dar una virata acidula alla sfera di cioccolato bianco con cannella e streusel. Ed è una zuppetta alla arance ad allagare una crème brûlée alla barbabietola con salsa di cacao amaro all’acqua. E il gianduia? Veste rosso. In un’inedita liaison col peperone. “Perché la bravura di uno chef non è scegliere un ingrediente di nicchia, ma prendere una zucchina e farla diventare il tuo pensiero”, Tano dixit. E Sara vincit.
Foto in gallery: alcuni piatti cult di Sara Preceruti by Marco Varoli