Servo devoto e fedele, onesto e laborioso, cortese e caritatevole, docile e generoso, Meneghino è una maschera popolare, portata alla notorietà dalle commedie di Carlo Maria Maggi. Ma non solo. Meneghino è sostantivo e aggettivo. Personaggio e paesaggio. Dialetto e sentimento patriottico.
Un appellativo denso di significato, sublimato persino in una linea di birre artigianali e in un locale. Defilato dal centro. In quella via Pietro da Cortona che si affaccia su piazza Guardi. Un’insegna che a dire il vero già c’era (col nome di BU/GU), ma che ora ha fatto il suo upgrade. Grazie all’illuminata visione di Marco Bergamaschi (il creatore delle birre) e Luca Pirola (alla regia dell’insegna). Uno spazio rassicurante. Un po’ casa e un po’ vecchia bottega. Un po’ tinello e un po’ bar di quartiere. Un po’ birreria e un po’ latteria. Un posto pop, ma ricercato. Aperto da colazione a cena.
Un luogo coerente col suo logo. I cui colori si ispirano a quelli dello stemma del capoluogo lombardo e il cui lettering, nei caratteri e nello stile grafico, riprende quello della calzoleria di nonno Remo Bergamaschi: classe 1907, nato in via Pattari e battezzato in Duomo. Mentre i nomi delle birre - tutti rigorosamente con l’articolo davanti - traggono spunto dalla vita cittadina e le etichette portano impressi alcuni celebri angoli di Milano. Un branding modernamente rétro, messo a punto da ByVolume, agenzia di comunicazione italiana di stanza a Londra.
Meneghino. Sinonimo familiare e affettuoso di milanese. Vernacolo che qui allaga persino il menu. Dove, fra i piatti, compaiono pure alcuni “detti”. Per una full immersion nel mood ambrosiano. A partire dalle pietanze, per l’appunto. Sempre corredate da un suggerimento per il perfetto pairing. Con le birre - messe punto su ricette originali in un impianto appena fuori Milano e proposte sia alla spina sia in bottiglia - o con i beer cocktail. Drink dallo spirito brassicolo, intitolati ai quartieri della metropoli.
Ecco allora che “La banda de l’Urtiga”, ardimentosa insalata di nervetti e fagioli, sposa “La Lippa”, intensamente amara, piacevolmente aromatica ma assolutamente beverina. Mentre “La Scapigliata”, summa di misticanza, ravanelli, carote, pomodori, filetto di trota al vapore e caprino fresco, può incontrare persino il drink “Isola”, cui concorrono gin, limone fresco, zucchero liquido, spremuta d’arancia, estratto di cardamomo e “Lamerica”, american pale ale dalle note erbacee e agrumate.
“Lamerica”. Sì, senza apostrofo. Ideale anche con i raw mondeghili, chiamati “Belloveso”. Come il principe gallo, citato da Tito Livio, quale leggendario fondatore di Milano. Mondeghili in versione cruda, preparati con tartare di manzo, scorza di limone, prezzemolo e mortadella. Complici scaglie di grana e briciole di pane. Ottimi anche con il “Brera”, cocktail brassicolo che elegge vodka, limone, spremuta di pompelmo, estratto di zenzero e “La Lippa”.
“La Micca”, lager chiara dal tono dorato e dalla schiuma persistente, fa invece volentieri compagnia al super vintage viteltonné “Merini”, palese omaggio alla poetessa Alda. Mentre “Samarcanda”, la tartare di cavallo con senape in grani, miele, birra e insalatina di cavolo cappuccio, va assaporata con “L’Atm”, session ipa leggerissima, caratterizzata da profumi di pesca e uva bianca; e gli spaghetti vegetali con crema di gorgonzola, pomodorini freschi, origano e mandorle, vanno d’accordo con “La Calibro 9”, intrigante dark wheat beer. Praticamente un’esuberante weizen che fa il verso al mondo noir delle stout.
E “La Dü”? Val bene una michetta. Certo. La sua anima ambrata e i suoi sentori tostati accolgono volentieri la tipica pagnottella meneghina. Farcita con mortadella, crema di gorgonzola e noci e battezzata come “Porta Ticinese”. Anche se in carta non mancano “Porta Venezia”, con salame, burro al prezzemolo e limone; “Porta Vittoria” con prosciutto crudo, carciofini e crescenza; e “Porta Romana”, con bresaola, funghi sott’olio e crema di grana.
Ma oltre le michette, griffate dal Panificio Grazioli di Legnano (“Tre Pani” nella guida Pane & Panettieri d’Italia del Gambero Rosso), compaiono pure le slèppe de pàn, ossia i sandwich. Come il “Porta Giovia”, un pane al farro con l’aringa affumicata (il cosiddetto pulàster de baril), burro al prezzemolo e limone. Mentre il “Porta Comasina” chiama all’appello taleggio, noci, rapanelli e zucchine alla menta. Per un giro in città a ritmo di bontà.
Anche perché tutte le pietanze sono state studiate, pensate e realizzate grazie alla consulenza della cuoca (per vocazione) Federica Solera. Libri alla mano: da Vecchia Milano in cucina di Ottorina Perna Bozzi a La cucina rustica regionale di Luigi Veronelli - Luigi Carnacina, sino ad arrivare a Il talismano della felicità di Ada Boni. Per una rilettura consapevole della tradizione. Pure per quanto riguarda i dolci. Che inanellano “La Gallina”, una russumada (uovo sbattuto con lo zucchero) cui viene aggiunta “La Dü”; il “Signor G” (come Giorgio Gaber), una millefoglie morbida di mandorle e cannella con mousse al cioccolato; e il “Ciàpel Sòtt”, un tiramisù prezioso della “La Calibro 9”. Ma da mangiare in tandem con il beer cocktail “Qt8”, mix di whisky Canadian Club, limone, zucchero liquido e “La Dü”. Mentre il precedente ciculatt cont la cannella strizza l’occhio anche al drink “Ortica”, compendio di Laprhoaig Islay single malt scotch whisky, amarena e “La Calibro 9”.
Porte, quartieri, costumi e usanze. Ma i Navigli? Eccoli, sotto forma di taglieri: da “La Martesana” a “Il Pavese”, da “La Darsena” a “Il Grande”. Gustose tavolozze, in taglia small o large, fatte su misura per conoscere taleggio, salva cremasco, grana padano e Carboncino d’Alta Langa, formaggio a pasta molle (e a tre latti: vaccino, ovino e caprino) avvolto in una crosta al carbone vegetale. Giusto a ricordare l’antica usanza di conservare il formaggio nella cenere. E ancora, salame Milano, bresaola e la celebre pancetta Collinetta (cotta, arrotolata e leggermente affumicata), firmata dal prosciuttificio lecchese Marco d’Oggiono.
E per l’aperitivo? Dalle 18 alle 20, si po’ ordinare, “Un cicinin de Milàn”: piccoli assaggi modello tapas, ma in versione genius loci. Mentre per quelli della serie “E mì la dòna biunda la vœri no” ecco bibite, vini e qualche drink beer free. Come il “Mediterraneo”: tonica Fever-Tree Mediterranean, ginepro, mela e gin Giass. Meneghino nello spirito e nella bottiglia: serigrafata e orgogliosa di rammentare le iconiche geometrie della Galleria Vittorio Emanuele II. Con tanto di drago verde della vedovella (l’autoctona fontanella) per logo.