Martina. Che annusa i capperi, che coglie i pomodorini, che assaggia una fetta di limone, che sbuccia un’arancia, che apre le braccia alla sua terra marina: l’isola di Salina. Di cui lei è la regina. Martina: una pioggia di riccioli neri e un sorriso caldo come il sole. Martina: pensierosa, sognante, radiosa. Il fotografo Lido Vannucchi la vede così. E così scatta le foto che la ritraggono per l’Atelier des Grandes Dames, il volitivo network griffato Veuve Clicquot e pensato per valorizzare il talento femminile nell’alta ristorazione. Traendo ispirazione dalla figura visionaria e rivoluzionaria di Barbe-Nicole Ponsardin. Per tutti madame Cliquot: colei che nel 1818 creò il primo Champagne Rosé per assemblaggio delle storia. Una grande signora. Coraggiosa, tenace e appassionata. Come Martina.
Martina Caruso. Trent’anni. No, non ancora. Li compirà il prossimo 22 dicembre. C’è ancora tempo per raggiungere i thirty. Intanto lei fa parte dei Jeunes Restaurateurs e raggiunge un ambizioso riconoscimento: il Premio Michelin Chef Donna 2019. Succedendo a Caterina Ceraudo (incoronata nel 2017) del Dattilo di Strongoli e a Fabrizia Meroi (eletta nel 2018) del Laite di Sappada. Della serie, Calabria, Friuli Venezia Giulia e Sicilia. Anzi, le messinesi Isole Eolie, delle quali fa parte la selvaggia Salina. Dove Martina vive e lavora, nel suo Signum, nutrendolo di idee vigorose. “La mia vita è fatta di pescatori che mi raccontano le storie del mare e dei suoi tesori, di donne che raccolgono i capperi e che se ne prendono cura per conservarli, degli orti e dei frutteti curati da mio papà, della montagna con le sue erbe spontanee, i funghi, le castagne e le radici. La mia femminilità in cucina è espressione della mia terra”.
Pensare che papà Michele, cuoco autodidatta, voleva dissuaderla dall'intraprendere la professione di chef. Eppure lei, cocciuta e testarda come non mai, prosegue sulla stessa strada. “A 14 anni mi sono fissata di fare questo mestiere. Era il mio obiettivo. Su questo sono sempre stata determinata. Così ho frequentato l’alberghiero di Cefalù, ho viaggiato. Sono andata lontano ma sono tornata. Perché bisogna tornare, resistere ed essere forti”, dice Martina. “E la sua terra la sta ripagando”, ribadisce Vannucchi. Che di Martina ha saputo immortalare pelle e cuore, dolcezza e caparbietà, levità e profondità. In immagini sfiorate dal vento e dense di magnetismo. “Dedico questa vittoria a mia mamma Clara”, dichiara la giovane Caruso. Affiancata, in sala, dal fratello Luca. Insomma, una famiglia che sta decisamente lasciando un segno.
A festeggiarla, negli spazi cool del The Yard di Milano, altre giovani donne talentuose e intraprendenti. Anch’esse facenti parte di un Atelier che riunisce grandi professioniste, accendo i riflettori su un saper fare che non significa solo cucinare, ma anche organizzare e guardare un po’ più in là. Per essere cuoca e madre, moglie e imprenditrice, riflessiva e creativa. In un’esaltazione della femminilità non certo vista come differenza di genere, ma come virtù legata alle emozioni e alle relazioni. “Anche perché io non sarei in grado di distinguere a priori se un piatto è preparato da un uomo o da una donna. Una donna potrebbe essere più mascolina nelle sue creazioni in cucina e un uomo più femminile. La cucina è un grande luogo di libertà, in cui le persone hanno la possibilità di esprimersi al di là di quello che è il loro aspetto, di quello che è il loro apparire. Penso invece che uomini e donne abbiano modalità diverse di comunicare e relazionarsi con le persone con cui lavorano”, spiega Antonia Klugmann, patronne stellata dell’Argine a Vencò, a Dolegna del Collio, in provincia di Gorizia.
Antonia. Timida ed estroversa, materna e autoritaria, semplice e complessa. “A volte è mediatica, altre è esattamente l’opposto. Ma sa perfettamente ascoltare il silenzio e sa educare con grazia e gentilezza”, dice la fotografa Francesca Brambilla. Che, insieme a Serena Serrani, l’ha ritratta nella sua essenziale spontaneità. Catturandone espressioni, attimi e sguardi.
“Certo, perché a volte uno sguardo rimprovera più di parole urlate ad alta voce e altre volte consola e dirige più di una parola dolce”, commenta Solaika Marrocco: classe 1995, capelli lunghi e nerissimi, all’opera al Primo Restaurant di Lecce. “In sala i miei occhi sono quelli di Silvia, la maître del ristorante. Che arrivano là, dove i miei non possono arrivare”, prosegue Solaika. Fiera di essere una donna forte e sensibile, capace di piangere e di ridere.
Gli scatti di Marco Varoli, danno sostanza alle verba. E si concentrano sul viso: “Solaika ha espresso a modo suo la femminilità in cucina, con un punto in comune, leggibile dai suoi occhi: la determinazione nel fare quotidianamente con passione un lavoro spesso duro e competitivo”.
Per Katia Maccari, stella de I Salotti del Patriarca di Chiusi, nel Senese, invece la parola d’ordine è organizzazione. “Alla base di tutto non deve mai mancare l’organizzazione. La mattina quando mi sveglio io ho già pianificato tutta la giornata”, racconta la bionda Katia, che vanta una brigata all’80% in declinazione femminile. Una Katia manager che non dimentica mai il suo ruolo di madre. Una Katia privata che non tradisce mai il suo essere pubblicamente cuoca.
Il fotografo Andrea Moretti in lei vede grinta e vigore, ma anche tenerezza e calore. “Lei è la regina del castello”. Anche perché la villa ottocentesca che ospita l’insegna poggia su un’antica costruzione di epoca etrusca.
Nell’Atelier, insieme a Martina, Caterina, Fabrizia, Antonia, Solaika e Katia, altre dieci grande dames: Mara Zanetti del Ristorante-Osteria da Fiore di Venezia; Anna Tuti del Castello di Trussio dell’Aquila d’Oro a Dolegna del Collio (Gorizia); Giuliana Germiniasi del Capriccio di Manerba del Garda (Brescia); Aurora Mazzucchelli del Ristorante Marconi di Sasso Marconi (Bologna); Isa Mazzocchi de La Palta di Borgonovo Val Tidone (Piacenza); Tina Cosenza del ristorante Teresa di Genova Pegli; Iside De Cesare de La Parolina di Trevinano (Viterbo); Maria Cicorella del Pasha di Conversano (Bari); Michelina Fischetti dell’Oasis Sapori Antichi di Vallesaccarda (Avellino); Marianna Vitale del Sud di Quarto (Napoli).
A cucinare per la soirée: madame Meroi. Impegnata a portare una brezza d’autorevolezza in piatti di assoluta leggerezza: trota, pomodoro verde, crauti, cardamomo e yogurt; gambero, melagrana, nocciola, topinambur e segale; sedano rapa, cavolo cappuccio, maionese all’arancia e tartufo e fonduta di Piave stravecchio. E ancora, tortelli di rapa sappadina ed erba ruta; nonché un’elegantissima tartare di capra con agretti, uovo di quaglia e brodo di sambuco.
In abbinata? L’affascinante Veuve Clicquot “La Grande Dame” 2006, uno degli Champagne simbolo della maison di Reims. Compendio di ben otto grand cru: Aÿ, Bouzy, Ambonnay, Verzy e Verzenay per il pinot nero (al 53%); Avize, Oger e Le Mesnil-sur-Oger per lo chardonnay (al 47%). Mentre il bartender Franco “Tucci” Ponti dedicava alla premiata il cocktail "Martina’s", summa floreale e fruttata di Veuve Clicquot Rich, arancia siciliana, gocce di rosa e garnish di arancia disidratata e petali di rosa. La finezza e l’energia.
Foto Martina Caruso by Lido Vannucchi
Foto Antonia Klugmann by Brambilla-Serrani
Foto Solaika Marrocco by Marco Varoli
Foto Katia Maccari by Andrea Moretti