“Bisogna viaggiare per importare ed esportare idee”, Franco Mazzeo insegna. Lui, calabrese di Daffinà, una frazione di Zambrone, in provincia di Vibo Valentia. Lui, che negli anni Novanta, folgorato sulla via di Formentera, ha contagiato Milano con la sostenibile leggerezza del respirare aria vacanza in piena metropoli e senza beach. Come? Semplice: trasferendo into the city le atmosfere chilling & cool dei chiringuitos delle Baleari. Sì, i classici chioschetti pied dans l’eau sulla spiaggia. Quelli tutto legno, paglia e brezza azzurra per capirci. Dove sorseggiare un drink in perfetto relax. Nasce così, da un’idea illuminata e visionaria il Chiringuito Milano. Nel Piazzale dello Sport, fra l’Ippodromo e lo stadio San Siro. Fra le corse dei cavalli e i calci al pallone. In una terra di mezzo, lontana dal chiasso e dal traffico. Complice una mini urban jungle che regala ombra e frescura nella calura estiva.
Uno spazio tropicale e selvaggio, le cui liane sono ora nelle mani dei figli di Franco: Silvia e Luca. Attenti, appassionati e determinati. A portare avanti una tradizione di famiglia: quella di dispensare l’elisir di lunga vita. O meglio, l’emozione del sentirsi In vacanza da una vita (all’Irene Grandi), nonché la vibrazione data dall'immaginare Una vita in vacanza (per dirla con Lo Stato Sociale). “Certo, a Es Pujol aprii un baretto, il Banana”, ricorda fiero Franco. “Ma ho capito subito che quel chiosco, trasportato a Milano, avrebbe potuto allungare il suo periodo stagionale. Molto più che a Formentera”. E il buon Franco aveva ragione. Tant’è che il Chiri - come lo chiamano i suoi proseliti - sta aperto dall’inizio di aprile fino alla metà di ottobre. Tutti i giorni, dalle 17 alle 2 di notte. Proponendo, con voluto understatement, una qualità top. Soprattutto della bottigliera. Che conta oltre cinquecento etichette. Fra distillati, vini e birre. Anzi, sono proprio i mondi vitivinicolo e brassicolo i protagonisti di tasting ad hoc: al mercoledì, grazie all’appuntamento Di Orti e Di Vigne, con tanto di sommelier a spiegare e una serie di assaggi ad accompagnare i nettari; e al giovedì, grazie agli incontri ravvicinati con le belle spumeggianti. Per fare cultura in un’atmosfera rilassante ma anche stimolante.
Non dimenticando la musica. Che lungo la settimana inanella le hit evergreen e l’electro swing, l’hip hop e il reggae, non trascurando l’afrobeat e il modern funk, la deep house e il rhythm and blues. Mentre si sorseggiano i signature cocktail messi a punto da Pietro Yeftemiy. Per l’aperitivo e per il dopocena. Come il “Mary on the Beet”. “Ho fatto un twist sul Bloody Mary”, spiega il giovane Pietro. Traduzione: genepì, limone, shrub alla barbabietola, succo di pomodoro, sale al sedano e Islay single malt schotch whisky Caol Ila. A conferire un tono leggermente affumicato. Mentre il suo colore vira sul viola-fucsia. E il “Pink Velvet”? Mixa tequila, liquore alle ciliegie amare, limone, zucchero, lampone e meringhe shakerate. “Al posto dell’albume”, precisa il bartender.
Decisamente agrumato il “Bergamini Collins”, summa di gin, liquore al bergamotto, spremuta d’arancia bionda, miele e tonica allo yuzu. Per chi ama sorsi dissetanti e solari.
E per i green addicted? Voilà “La salvia che vorrei”: Peychaud’s Bitter, grappa di moscato, liquore ai fiori di sambuco, bitter al sedano, salvia, menta e zucchero.
Intrigante anche il “Chai T Zen”, con liquore al tè, vodka, ginger beer, lime e sciroppo al pepe rosa. Per un liquido ritratto d’Oriente.
Mentre energico e vigoroso si rivela “Quel barbaro del Conte”, sintesi di Campari, gin, vermouth bianco e Rabarbaro Zucca. Per una raffinata rilettura del Negroni.
Insomma, frutta, spezie, erbe e distillati premium. E per chi non ama l’alcol? In carta vi sono i soft drink. Vedi “Il Tonificante”, con centrifugato di zenzero, aloe vera, sciroppo al rosmarino e succo di pompelmo. Nonché i welcome drink, offerti come benvenuto. Si tratta infatti di acque aromatizzate dallo spirito naturale, servite da una grande brocca in vetro. Della quale Luca va orgoglioso.
Una green attitude che nutre anche il fratello più gourmand del Chiri di San Siro: l’Ortobello - Hamburger & Joy. Guidato sempre dai Mazzeo brothers, in particolare da Silvia. “L’orto è un po’ il simbolo dell’italianità. Così abbiamo pensato a un’oasi ristorativa col suo orticello a fianco. Dove coltiviamo erbe aromatiche, lattuga, pomodori e tante verdure”, racconta lei. Mentre si aggira fra il patio e il salottino di un ristorantino che non tradisce l’idea del chiosco, ma ne incarna l’evoluzione. Sempre sotto il segno della leggerezza e dell’informalità. Il che significa un ambiente smart, in cui le panche in legno dialogano con tavolini e tavoli più social. Rispettando quel senso di libertà e condivisione che permea il tutto.
Uno spazio aperto, ma un po’ più coperto l’Ortobello. Attivo dall’1 marzo al 30 novembre. Tutti i giorni, dalle 9 alle 2 di notte. Perfetto per colazione, pranzo, merenda, aperitivo e cena. Anche a tarda sera. “La cucina la teniamo in funzione fino alla 1.30”, puntualizza Silvia. Un luogo fluido, dinamico, volitivo. Che propone anche il brunch à la carte. E non solo il sabato e la domenica, bensì tutti i giorni della settimana. Soprattutto ora che è nata la collaborazione con la pasticceria milanese Quattro Quarti Torte, pronta a realizzare dessert ad hoc. Come la cheesecake all’albicocca e amaretti; la torta all’arancia e fiori d’arancio; e quella alle mele, limone e crumble al timo. Utilizzando preferibilmente ingredienti biologici e materie prime di piccoli produttori. Che è poi la stessa filosofia che alimenta il locale dei fratelli Mazzeo. Visto che le carni sono della macelleria Agazzone di Bogogno, nel Novarese; la mozzarella di bufala è dell’azienda agricola Facchi di Oleggio; e l’olio extravergine è firmato Riccardo Prudenzi, frantoio di Monteleone d’Orvieto, nel Ternano. Un palese omaggio a mamma Ivana, umbra di Città della Pieve.
La carta? Volutamente easy. Ma accurata e coerente. “In inverno cerchiamo i produttori e andiamo a trovarli. Per intercettare coloro che meglio si possano adattare alle nostre esigenze”, precisa Silvia. Consapevole degli spazi ristretti di preparazione e conservazione della location. Quindi? Tartare di manzo fai da te, servita con l’uovo (ma anche senza) e corredo di senape in grani, acciughe, pomodorini, cipolla rossa, cucunci e pâté di olive. Per poter dosare gli elementi a piacimento. E poi gli hamburger. Come il “New York”, con fassona piemontese, bacon croccante, cheddar, insalata, pomodori, salsa bbq e confettura di cipolle rosse homemade. Oppure il “Fish”, con filetto di salmone scottato, guacamole, pomodori cuore di bue, aneto, maionese fatta in casa al rafano e senape in grani. E ancora, il fish & chips, nonché i nachos, anche col pollo alla piastra. Per una proposta cosmopolita ma dal tono mediterraneo.
“Se potessi lo trasformerei in enoteca”, svela Silvia. Facendo emergere l’aura da sommelier che alberga in lei. Alla quale è affidata la lista dei vini, mentre a Luca, appassionato di birra, tocca la selezione luppolata. Dove spicca anche la Birra Plurale. Realtà piccola, indipendente e artigianale. Con tanta voglia di fare e di innovare, senza pastorizzare e senza filtrare. Nell’Alta Valle Scrivia, a Montoggio, in terra di Genova. Mentre nella glacette può finire il fresco e minerale rosato da uve sangiovese (del vigneto più vecchio dell’azienda) targato Dianella, maison di Vinci, in provincia di Firenze. Il suo nome? “All’Aria Aperta”, quasi un gioioso cantico a Ortobello.