Adesso lo svelo. È L’Antica Osteria La Rampina di San Giuliano Milanese il primo ristorante gourmet che ho provato (coscienziosamente) nella vita. Correva l’anno 1990. Dicembre per l’esattezza. Cena di redazione per celebrare il Natale in arrivo. A tavola: aspic di verdure, risotto allo zafferano e cervo con salsa ai mirtilli rossi. Il ricordo rimane indelebile. Venni segnata, anzi battezzata, definitivamente.
Tornai, molti anni dopo, nel bel cascinale cinquecentesco. E ritrovai un’altissima qualità. E sono tornata di recente, con immenso piacere. Tutto come prima, o quasi. All’ingresso il centenario glicine è ancora lì ad accogliere i commensali, così come il vetusto portone (un tempo ingresso per carrozze con cavalli) fa da prologo alla corte fiorita, intima e riservata, come un salotto di velluti, rose e broccati. All’interno: sempre la sala con lo storico camino, la zona più lounge con le vetrate ad arco, la Scuderia per ospitare cerimonie ed eventi speciali. Forse in cucina qualcosa è cambiato. In meglio. Il duetto Lino e Luca Gagliardi, padre e figlio, dà al menu uno swing capace di miscelare sapientemente il senso lento della tradizione al ritmo più veloce della sperimentazione. Senza creare stonatura alcuna. In una coralità fra tipicità e novità. E in un viaggio nell’evoluzione della cucina lombarda e italiana.
Della serie, i capisaldi non mancano. Grazie alla saggia mano di Lino. L’ossobuco c’è – anche perché il ristorante è sede della confraternita che celebra la meneghina preparazione – e ci sono pure il filetto di manzo alla Rossini, l’anatra all’arancia, la costoletta di vitello alla milanese, il paté di fegatini, il marbré di lepre, la scaloppa di foie gras e la terrina di anatra. Così come in carta spicca il bacalà alla vicentina, messo a punto seguendo la ricetta autentica. Del resto, La Rampina è una delle poche insegne “fuori provincia” a rientrare nell’elenco degli eletti dalla venerabile confraternita. E non poteva essere altrimenti per un luogo che la Camera di Commercio di Milano ha definito come il “locale più antico della provincia ancora in attività”.
Intanto, la creatività si fa largo fra i classici. E il bravo Luca ci mette testa e passione. Qualche stagione a Le Buerehiesel di Strasburgo, a L’Albereta di Erbusco e alla country house di famiglia Villa Collepre di Matelica. Poi, il ritorno a casa. Con un bagaglio carico di idee, tradotte in pietanze che fanno d’equilibrio e leggerezza virtù: indivia cruda e cotta con pompelmo rosa e asparagi verdi; soufflé d’ortica con crema di patate e lavanda; crudo di ricciola marinato in ceviche, pomodori confit e sorbetto alla cipolla rossa. E ancora: polipo croccante con crema di piselli e lime candito; capesante scottate con crema di sedano rapa e passion fruit; risotto al salmerino e finger lime. Pietanze aromatiche, che non trascurano gli ortaggi, valorizzati in variegate texture. Capaci di dar voce, non banalmente, alla campagna. Prova ne è il superbo zabaione al peperone rosso sposato con gli asparagi.
A prodotti e a rurali realtà d’eccellenza danno invece voce le serate della rassegna Arte in Tavola. Pronte a proporre un menu ad hoc, giocato su un forte leitmotiv. Come quello floreal-brassicolo che ha animato un’intrigante serata di maggio. Focus sulla canapa annesso. In versione birra, olio e pasta. Per una cena alla scoperta di mondi poco sconosciuti. Ecco allora la birra ai fiori di canapa griffata IBeer: birrificio agricolo marchigiano (di Fabriano) guidato da un mastro birraio come Giovanna Merloni, facente parte dell’associazione Le Donne della Birra. Il nome della bella spumeggiante amabilmente Seventy? St’Orta. Segni particolari? Abitino green, stile blanche, bollicine sottili, sentori d’agrumi e un gusto lievemente acidulo ed erbaceo. Ideale al naturale e se sublimata in salsa, come quella servita in accompagnamento a un setoso rombo al forno. Ma canapa per Marco Cartechini – che nel Maceratese produce extravergine - significa anche semi, olio, farina e fettuccine. “Abbiamo 1.600 piante d’ulivo”, spiega Marco, “ma anche 15 ettari, di cui sette di proprietà, coltivati a canapa sativa. La sua farina è considerata unica al modo, è ricca di fibre, proteine nobili e concorre ad assorbire le tossine”. Un elisir di lunga vita… modernissimo e antichissimo. Voilà dunque le fettuccine con seppioline, mentuccia, semi di canapa (a dar croccantezza) e olio di canapa. Che, insieme a quelli di lino, di sesamo e di girasole, costituiscono il resto della produzione Cartechini. Sotto il segno sincero del made in Italy. Pardon, Made in Natura.