“Non è una guida. Ma una rassegna di soci”, precisa Claudio Sadler riferendosi all’edizione 2018 del bel volume - targato Mediavalue - che ritrae in trecento pagine le 94 colonne de Le Soste. Collezione nata nel 1982 da un’intuizione: quella di un gruppo di ristoratori che, in occasione di una cena da Gualtiero Marchesi, in via Bonvesin de la Riva, ebbero l’idea di creare un gruppo capace di valorizzare la grande cultura gastronomica italiana. Sull’esempio di associazioni francesi quali “Traditions et Qualité" e “Relais Gourmands”.
Detto. Fatto. Nel 1994 quegli amici visionari costituirono - con tanto di atto notarile - l’associazione Le Soste. Sinonimo di sodalizio, rifugio, immancabile tappa all’insegna del sapere e del sapore. Tant’è che il logo - griffato dal pittore e scrittore milanese Emilio Tadini - rappresenta una freccia-forchetta stilizzata a forma di “S”. Elegante ed essenziale, pronta a ricordare l’insegna delle antiche stazioni di posta. Anche se lo sguardo punta dritto al futuro.
Mission? Promuovere e comunicare i profondi valori della qualità. Il che significa eccellenza delle materie prime, sostenibilità, biodiversià, accoglienza, bellezza, bontà, arte e artigianalità. Perché in un piatto si deve concentrare tutto: ingrediente e immaginazione, pensiero e gesto, tecnica e passione, identità e condivisione. Affinché l’assaggio si trasformi in viaggio esperienziale.
Un percorso che va dal Trentino Alto Adige alla Sicilia, non dimenticando sette sconfinamenti in Lussemburgo, Principato di Monaco, Svizzera, Slovenia e Russia. “Senza alcuna differenza fra chi ha tre stelle e chi non ne ha. Per noi i soci sono tutti uguali”, tiene a puntualizzare Sadler. Che è pure presidente dell’associazione. Mentre Ezio Santin è presidente onorario; Antonio Santini e Massimo Bottura sono i vicepresidenti; e il consiglio direttivo elegge Moreno Cedroni, Francesco Cerea, Gennaro Esposito, Angelo Valazza, Viviana Varese e Giancarlo Morelli. Con Martin Dalsass a rappresentare l’estero.
Un gruppo coeso, che quest’anno vanta ben dieci nuovi soci. Il cui ingresso è stato ufficializzato in occasione dell’annuale assemblea, seguita da una cena di gala all’Excelsior Hotel Gallia di Milano. “Far parte de Le Soste è un riconoscimento importante per la brigata della mia cucina e uno stimolo a continuare l’impegno che da anni portiamo avanti nella valorizzazione della cucina italiana e toscana”, dichiara Silvia Baracchi, chef - e new entry - de Il Falconiere. Un ristorante stellato, ma pure un wine resort immerso in ventidue ettari di vigneti e oliveti nella campagna cortonese.
Risalendo la Penisola, due le insegne nella generosa Emilia Romagna. Lungo il Porto Canale di Cesenatico ecco allora La Buca: patron Stefano Bartolini, affiancato dal figlio Andrea. Traduzione: “il signore del pesce” e “l’architetto del gusto”. Per un binomio dalla fortissima personalità. In grado di esprimersi in una cucina ambasciatrice dei tesori dell’Adriatico. In equilibrio fra sabbia e mare, crudo e cotto. Sempre nel massimo rispetto dell’ingrediente. Grazie anche alla sapienza dell’executive chef Gregorio Grippo e dello chef Matteo Tonin.
Uno dei loro piatti-icona? Proprio quello presentato per il galà de Le Soste: un carpaccio di ricciola con salsa tonnata alla mandorla, artemisia e riso nero Venere croccante. Il segreto? Sta nella leggera marinatura della ricciola: nel sale dolce di Cervia, con la complicità di melissa, aneto, cerfoglio, alloro e qualche chicco di pepe nero. “Il pesce crudo diretto. Deciso”, Andrea docet. Perfetto in abbinamento con lo Champagne Pommery Vintage Grand Cru 2006.
Si trova invece a Bologna, all’interno di Fico Eataly Word, il Cinque - Enrico Bartolini & Le Soste. Una ribalta d’eccezione anche per gli chef dell’associazione, che Enrico e il resident chef Salvatore Amato ospiteranno a rotazione. Dando voce alla tradizione contemporanea italiana.
E per la cena delle Soste? Chef Amato ha preparato un panino al vapore con pâté di fegato, insalata di carciofi, menta e foglia d’oro. Ideale in tandem con il cocktail “Nonino Tonic Amazzonico” firmato da P(our): sintesi di pour come “versare”, our come “nostro” e pure come “puro”. Una community di bartender, ma soprattutto un progetto collettivo: quello di salvare l’ajé negro, una salsa fermentata a base di manioca amara, preparata artigianalmente dalle tribù indigene della Foresta Amazzonica. Della serie: l’impegno solidale dietro un drink.
In Veneto brilla poi l’Oseleta, l’oasi gourmet di Villa Cordevigo, wine relais di Cavaion Veronese guidato dalle famiglie Delibori e Cristoforetti. A tavola, la cifra partenopea di Giuseppe D’Aquino, che comunica il suo animo mediterraneo nel cuore del Bardolino. E in un salotto dalle soffici atmosfere.
Spicca invece a Madonna di Campiglio, in Trentino, il Dolomieu: sette tavoli all’interno del boutique hotel DV Chalet. Al timone: il riminese Enrico Croatti. Che mescola mare, montagna e viaggi oltralpe e oltreoceano. Sua, per la cena di gala, la parmentier di calamari. Servita con il Franciacorta Berlucchi ’61 Nature 2010.
Il Franciacorta "Annamaria Clementi" 2008 by Ca’ del Bosco ha invece accompagnato un altro amuse bouche: il lotregan salso e saòr con botaniche e sapori marittimi targato Alberto Tonizzo de Al Ferarùt di Rivignano, in quel Friuli non lontano dalla Laguna di Marano.
Ad arricchire il gala dinner? Pure il sardone affumicato con crema di caponata e gel alla mentuccia di Claudio Sadler, in abbinata al Ferrari “Riserva Lunelli” 2008. E ancora, il grana padano riserva di 24 mesi; e lo jamón de bellota 100% ibérico di pura razza lampiño, griffato Juan Pedro Domecq, stagionato 65 mesi e selezionato da La Fenice. Nel segno dell’esclusività. Mentre i calici accoglievano pure la Birra Moretti Grand Cru, l'acqua naturale Natìa, l'acqua Ferrarelle Maxima e la Tea Collection BioPlose.
Primo piatto, invece, a firma di una new entry lombarda: Il Saraceno di Cavernago, in terra bergamasca. Anche se lui, lo chef Roberto Proto, vien dalla campania. E le sue origine amalfitane non le rinnega certo. Voilà: il casoncello di mare farcito con baccalà gadus morhua mantecato e guazzetto d’impepata di cozze. Il sole del sud ad allagare una pasta ripiena tipica del nord. Nel calice: il Russiz Superiore Collio Bianco “Col Disôre” 2015 by Marco Felluga.
E per secondo? Agnello allo zafferano e cardamomo con crema di cipollotto al nero, preparato dal nuovo socio Antonio Guida, capitano del Seta. Ristorante avvolgente e seducente come il nome che porta… all’interno del Mandarin Oriental milanese.
Un agnello regale quello proposto a cena. In felice matrimonio con il Barbaresco “Martinenga" 2014 by Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy.
Un autorevole nettare del Piemonte. Regione che conta due nuove insegne sotto l’egida de Le Soste. Anzitutto, il Dolce Stil Novo alla Reggia (di Venaria), all’ultimo piano della settecentesca Torre del Belvedere. Dove Alfredo Russo trasforma la materia in elegante poesia.
E poi Massimiliano Musso del Ca’ Vittoria, in quel di Tigliole d’Asti. Suo il dessert del gala dinner, raffinato e brillante connubio di lampone ed eucalipto. Mentre la piccola pasticceria era targata dalla pastry chef di Sadler Benedetta Bigoni. In abbinamento: il passito veneto “I Capitelli” 2015 di Anselmi, garganega in purezza.
Brindisi finale con la Gran Cuvée Ferrari 2010, in formato jéroboam. E a seguire, Grappa Nonino AnticaCuvée Riserva 5 years: un blend di vinacce - fra cui cabernet, merlot e schioppettino - invecchiate da cinque a vent’anni in barrique e piccole botti. Un inchino al tempo. Della memoria e del domani.
Foto di Silvia Baracchi by Laura Adani / Steve Duschesne
Foto di patron La Buca by Simone Manzo; foto piatto by Andrea Bartolini
Foto di Enrico Bartolini by Paolo Chiodini
Foto di Giuseppe D'Aquino by Colin Dutton / Mauro Magagna
Foto di Enrico Croatti by Marco Vannini
Foto di Roberto Proto by Paolo Chiodini / Phototecnica
Foto di Antonio Guida by Mandarin Oriental, Milan
Foto di Alfredo Russo by Phototecnica / Paolo Chiodini
Foto di Massimiliano Musso by Marco Ferrero
Foto della cena di gala by Enrico Guidicianni