Ritraggono: un Abruzzo vero, autentico, aggrappato alle sue radici. Raccontano: un ristorante capace di continuare su una strada tracciata e mai interrotta. Incorniciano: un territorio virtuoso e generoso come quello teramano. Le pietanze proposte per tutto il mese di maggio a Milano da Eataly Smeraldo - in Aula Valcucine - si fanno portavoci della memoria e del futuro di Borgo Spoltino, dinamica realtà ristorativa di Mosciano Sant’Angelo, fra il mare Adriatico e il Gran Sasso.
Una country house nata grazie all’attento recupero di un casolare contadino di fine Ottocento. Un buon retiro nutrito di pietra e di volte a botte, di silenzio e di natura, di sapori di un tempo e di gustosi agganci al presente. Fu uno chef visionario come Gabriele Marrangoni a volerne la ristrutturazione nel 2001. È il giovane figlio Alessio a portare avanti il credo culinario scandito dal padre, scomparso qualche mese fa. Ma Alessio non è solo. Con lui ci sono il fratello Davide (in sala), la nonna Graziella, il fidato maître Gabriele Ruffini, il sous-chef Stefano Di Giosia e la socia Laura Del Vinaccio. Impegnata nel portare avanti una filosofia fatta di qualità, genuinità e un pizzico di creatività.
Basta assaggiare il carpaccio di baccalà per capire che la tradizione si arricchisce del gene della contemporaneità, complici olio agrumato, asparagi e fragole. Mentre la crema di piselli sposa la polvere di liquirizia di Atri e le mandorle tostate. “Da noi al ristorante la arricchiamo con tre quenelle di caprino della Fattoria Gioia di Cellino Attanasio”, spiega Alessio, riferendosi all’azienda agroecologica di María José e del marito Maurizio Natilii. “Però qui a Milano abbiamo preferito puntare sulla tradizione pura”, precisa il giovane chef.
E le pallotte cacio & ove sono lì, a ricordare le colazioni rurali di un tempo. Traduzione: polpette di pane raffermo (ammollato nel latte), uova e pecorino che vengono prima fritte e poi ripassate in una salsa di pomodoro preparata con cipolle e maggiorana. “Devono essere una spugna”, precisa Alessio. Ma un po’ di sugo resta nel piatto, invitando alla scarpetta.
E per primo? Gnocchi di patate con zucchine, menta e canestrato di Castel del Monte, un pecorino tutelato come Presidio Slow Food. Oppure? Maccheroni alla chitarra con polpettine alla teramana. A base di manzo e maiale. Buone? Basti pensare che nel 2015 mister Marrangoni senior venne insignito della fascia dell’Ordine dei cavalieri dei maccheroni alla chitarra. E Marangoni junior pare aver ben appreso gli insegnamenti.
Poi? La carne. O meglio, gli arrosticini di pecora “uno tira l’altro” (tanto sono otto) con insalata di stagione ed emulsione al mosto cotto. Giusto per un condimento super local. E giusto per un assaggio di un tipico street food.
E per chi ama scoprire le ricette tramandate di generazione in generazione? Voilà il tacchino (anzi, la tacchinella, per via delle carni più tenere e saporite) alla canzanese, con la sua gelatina e le verdurine in agrodolce. Come tradizione docet. Mentre per chi ama il pesce torna il baccalà. Ma in guazzetto con patate, cipollotto fresco e carciofi.
E per finire: mousse di ricotta di pecora al cioccolato, salsa alle fragole e crumble di mandorle.
Oppure crema di yogurt allo zafferano dell’Aquila con lingue di gatto al cacao e pistacchi.
I piatti vanno dai 7 ai 15 euro, ma non manca l’opzione degustazione a 35 euro. E nel calice? Etichette abruzzesi, ovviamente. Selezionate e spiegate da Davide Marrangoni. Due le bollicine: il Pecorino metodo classico “Anna” di Centorame, cantina di Casoli di Atri; e la Cococciola Brut della teatina Cantina Frentana (a Rocca San Giovanni). Per proseguire con una coppia di bianchi: il Trebbiano d’Abruzzo “S. Michele” by Centorame; e il Montonico “Santapupa” by La Quercia (con sede a Morro d’Oro). E terminare con due Montepulciano d’Abruzzo: il “PrimaMadre” sempre targato La Quercia; e il “Pathernus” dell’azienda agricola di Filiberto Cioti, a Paterno di Campli. Non trascurando il Cerasuolo d’Abruzzo “Le Vigne” griffato Faraone, maison di Giulianova; e il moscato passito “Plaisir Bianco” by Zaccagnini, cantina pescarese di Bolognano.
Un ristorante “chiocciolato” della guida Osterie d’Italia di Slow Food Borgo Spoltino. Orgoglioso di tutelare biodiversità e stagionalità nell’ottica della modernità. Un luogo da scoprire. Anche live. Con il suo orto biologico e i suoi ulivi secolari - ve n’è anche uno di 350 anni -, il suo fascino agreste e la sua eleganza essenziale. Senza dimenticare la piazza, con il vecchio torchio del vino e le sue atmosfere fiere di rammentare le gioiose feste di paese. E poi la cantina, che fra travi a vista e pavimenti in legno custodisce gioielli vitivinicoli locali (e non solo). E la chiesa di San Pietro ad Spoltium? Risale al IX secolo, è aperta alla celebrazione di cerimonie religiose ed è corredata di una canonica. Anzi, di una sala ad hoc per conferenze, convegni, meeting ed eventi. In cui si fa sempre sentire il respiro d’Abruzzo.