“Less is more” predicava l’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe. Nel segno di un minimalismo concettuale tradotto in una forma razionale, funzionale a un bisogno più complesso da soddisfare. Come a dire, eliminare per arricchire. Semplificare per comunicare in modo totale. Una visionaria voce del Movimento Moderno.
E ancor prima di lui, un altro esponente del Modernismo - questa volta catalano - come Antoni Gaudí tolse qualcosa nella progettazione della Sagrada Família. Sì, fece a meno di archi rampanti e contrafforti esterni, animando gli interni di infinite colonne inclinate, reiterate e ramificate. Al fine di supportare pesi e forze. In un inno alla curva e in uno slancio teso al limite della plasticità della materia.
E nelle musica? Al Festival di Sanremo annata 2013, Elio e le Storie Tese presentarono La canzone mononota. Monovitigno di “do”. Tanto: "Puoi cambiare il ritmo, Puoi cambiare la velocità/Puoi cambiare l’atmosfera/Puoi cambiare gli accordi/La puoi fare maggiore, minore, eccedente, diminuita/Puoi cambiare il cantante/Puoi cambiare l’argomento/Puoi cantarla da solo/Puoi cantarla tutti insieme con il coro […]”.
Morale: levare può voler significare innalzare, elevare, aggiungere e raggiungere un’altra prospettiva. Tanto nell’architettura (e nella musica) quanto in cucina. Certo, anche la “Cucina Totale” del maestro Gualtiero Marchesi è un’esortazione al “meno” piuttosto che al “più”. Un’ode alla purezza e alla completa pienezza dell’essenziale.
Basti pensare anche al “Piccione fondente” di Niko Romito, tristellato chef del Reale di Castel di Sangro. Un piatto iconico, massima espressione della volitività di un volatile. Un piccione cotto nel brodo di un altro piccione. L’iperbole del piccione. Ottenuta per sottrazione… di ciò che non serve.
Poi? C’è chi priva il menu persino di pesce, carne, uova (e in alcuni casi anche di latticini e frumento) senza nulla togliere al buono. Come fa Pietro Leemann nel suo Joia milanese. Alta cucina vegetariana interamente intitolata al benessere e all’eccellenza.
E c’è pure chi mette a punto la pizza senza lievito. Quasi un ossimoro. Massimiliano Prete, nei suoi Gusto Madre di Alba e Torino, ricorre al metodo dell’idrolisi degli amidi - rifacendosi alla tecnica della fermentazione spontanea - per creare una pizza dal “Gusto Autentico”, come lui stesso la definisce. Mentre Petra, la famiglia di farine firmate Molino Quaglia sigla una linea “Zero Glutine”, destinata a pane, pizza, pasta fresca e dolci ad hoc per chi soffre di celiachia. Insomma, “senza” non significa privazione, bensì ricchezza.
Il giornalista Marcello Coronini ha addirittura fondato una manifestazione come Gusto in Scena sui solidi pilastri del “senza”. Anzi, La Cucina del Senza® - grassi, sale e zuccheri aggiunti - è persino tutelata da un brevetto. Ed è pure diventata un libro, edito da Feltrinelli-Gribaudo. “Credo nell’identità di una nuova cultura del cibo, della tavola e di nuovi stili di vita, legati al concetto di salute e di benessere”, spiega Coronini. Della serie, quando “Il Senza è più buono del Con”. A patto che l’ipotetico vuoto venga colmato da altri aromi. Vedi le erbe. Oppure le spezie, protagoniste ufficiali della decima edizione della kermesse. In programma il 25 e il 26 febbraio negli spazi della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista di Venezia. Città lagunare dalla storica anima commerciale. Nutrita proprio dalle spezie. Perfette anche per esaltare e dare un twist alle pietanze contemporanee. E la mente corre ad aromatici mix stellati: “I 7 pepi” di Viviana Varese (del ristorante Alice di Milano), nonché i blend di Francesco Apreda (dell’Imàgo romano). Come lo Spicy Bomba-y, cui concorrono (fra gli altri) peperoncino, paprika, nigella e cardamomo.
E la pasticceria? Non è esente dal “free from”. Per dolci liberi di essere apprezzati anche dal punto di vista nutrizionale. Lo sa bene Luca Montersino, ideatore del brand “Golosi di Salute”. E lo sa perfettamente una maison abruzzese di Giulianova, in provincia di Teramo: Fidani Healty Food. Evoluzione naturale del laboratorio di pasticceria Pan di Zucchero: vent’anni di ricerca e di esperienza e tutto il savoir-faire di Annamaria Fidani e del fratello Flavio ad assicurare un’altissima qualità. Alimentata dalla genuinità delle materie prime, plasmata dalla massima artigianalità - tutti i biscotti sono tagliati a mano - e finalizzata al benessere e allo star bene del consumatore. Non cedendo a compromesso alcuno.
Il che significa una serie di specialità - diciotto per la precisone - che esaltano il valore del senza in tutte le sue forme. In primis, nell’accezione del senza conservanti, emulsionanti, grassi idrogenati, oli di palma e margarine. E poi in quella del senza lattosio (lo sono tutti i prodotti del lab), senza zucchero, uova, nichel e glutine. Complici i profumi della vaniglia e della cannella, del cacao e del caffè, dell’arancia e del limone. Fra la magnifica dozzina dei biscotti? I Fiori di avena e quelli integrali con grano saraceno, il Quadrotto di mandorla e il Cuor di castagna, le Gocciole di farro e i Cuoricini di grano khorasan e mandorle, il Fiore di teff (eragrostis tef, cereale diffuso in Etiopia ed Eritrea) e il Coffee Break. Premiato al Bellavita Expo 2017 di Londra con le “Due stelle”, insieme ai Cookies farro e cocco. Mentre il tipicissimo Bocconotto si è aggiudicato le “Tre Stelle” e la Crostata d’uva il primo premio assoluto per la sezione food.
Una delle più importanti manifestazioni sul Made in Italy il Bellavita Expo. Che, nell'ultima edizione di Amsterdam, ha nuovamente incoronato con l'oro Fidani Healty Food. I cui prodotti si possono acquistare presso la Food Hall della Rinascente romana di via del Tritone, online sul sito ufficiale e sul portale di ventis.it, specializzato in flash sales, ossia in vendite a tempo limitato e a prezzi particolari.
Un successo quello della pasticceria abruzzese che risiede in un “senza” rassicurante e autorevole. Forte del rispondere ad etica ed estetica, ai valori della tradizione e ai ritmi della contemporaneità, alle complesse esigenze attuali nella massima semplicità. Come fece Mies van der Rohe.