“Quando nacque, nel 2002, fece proprio da spartiacque. Fra i Lambruschi di prima, unicamente secchi o dolci, e quelli di nuova generazione come lui. Che sembra dolce, e invece non lo è”, racconta con fierezza Luciano Bulgarelli, presidente della Cantina Sociale di Quistello, facendo riferimento al “GranRosso del Vicariato”. Una delle etichette cult della cave cooperativa. Fondata nel 1928 e tutt’oggi attiva e volitiva più che mai. Anche grazie a questo GranRosso profondo, esuberante, tendente al violaceo. Figlio di due vitigni a bacca nera come l’ancellotta e il più selvatico grappello Ruberti. Che è diverso dal lambrusco viadanese. E che mutua il nome dal suo essere un grappolo piccolo, mentre il cognome lo prende in prestito dal suo talent scout: il professor Ugo Ruberti, l’economo che ebbe l’oculatezza di individuarlo. “Sì perché lui è il padre di tutti i lambruschi. Concentrando in sé i geni degli altri vitigni della famiglia. Pensare che siamo riusciti a recuperarlo partendo da sole cinque viti. E ora ne abbiamo circa trenta ettari a disposizione”, precisa Bulgarelli.
Un vitigno primordiale, capostipite. Un autoctono mantovano, che vanta pure la benedizione del professor Attilio Scienza, luminare del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università Statale di Milano. Francesco Tamani - per tutti Carlo -, mitico maître dell’Ambasciata di Quistello, quando lo versa lo annuncia così: “Lo Château Rouge de Quistellò”. Ed è subito poesia al calice.
“Noi non abbiamo né colline né montagne. Anzi, le abbiamo. Ma al contrario: gli argini del Po. Certo, siamo l’altro Oltrepò lombardo. Quello mantovano, che se ne sta all’intersezione fra il Grande Fiume e il Secchia”, continua il presidente. Orgoglioso di tenere le redini di una cantina che conta 150 soci, per un totale di 350 ettari di superficie vitata, di 50mila quintali di uva conferita e di un milione di bottiglie commercializzate in un anno. Destinate in primis ai ristoranti, alle enoteche e alla piccola distribuzione. Sia in Italia che all’estero. Una cantina crossover fra Veneto (con le province di Rovigo e Verona) ed Emilia Romagna (con Ferrara, Modena e Reggio Emilia), in grado di farsi notare per etichette eleganti e lungimiranti. Anche un po' controcorrente. Suggellate dall’iconico logo della Vendemmiatrice, creata dall’artista quistellese Giuseppe Gorni.
Etichette visionarie, come lo spumante “1.6 Armonia”: 1 perché è stato il primo metodo classico a essere prodotto in Oltrepò Mantovano; 6 per il residuo zuccherino. “E perché abbiamo impiegato sei anni per trovare l’armonia fra un vitigno internazionale come lo chardonnay, qui presente al 70%, e l’indigeno grappello Ruberti, che entra al 30%, dando la spalla perfetta”, puntualizza Bulgarelli. Un’etichetta entusiasmante e affascinante, protagonista (in qualità di apripista) di una capsule collection di dinner tasting griffata da Susanna Amerigo - alias “Non so cucinare ma…” -, dea ex machina di eventi sartoriali, capaci di valorizzare vitivinicole realtà inusuali e decisamente anticonvenzionali. Come la cantina quistellese. Che a Milano ha fatto tappa a Non solo Lesso, alla Taverna Visconti dal 1994 e al ristorante Controvento, guidato dal patron Giuseppe Lamantea. Sempre alla ricerca di prodotti d’eccellenza e in controtendenza.
Ecco allora una salamella morbida e delicatamente speziata. Servita nuda e cruda, nella sua essenziale tenerezza, su una bruschetta tiepida. Alla maniera toscana, ma in tandem con l’armonioso metodo classico quistellese.
È invece il brillante e piacevolmente pétillant “80 Vendemmie Rosato” a sposare un vitello tonnato che rende onore ai toni del rosa. Sottili fettine di vitello fuori. Tartare di tonno marinato dentro. Una sorta di scrigno in cui la carne avvolge il pesce, in un magistrale equilibrio di sapori. Mentre nel calice si esprime l’anima pink delle uve lambrusco grappello Ruberti, le cui bucce rimangono a contatto col mosto per un paio d’ore. Regalando un nettare floreale e fruttato: completo nella sua capacità d’incontrare sia la terra che il mare; resiliente nel suo scalfire il tempo, mantenendo uno charme assoluto.
Un rosato che vanta una declinazione in red. Nata proprio in occasione della celebrazione dei primi ottant’anni della cantina. Da cui quel numero ben evidente in etichetta: “80 Vendemmie Rosso”. Sempre ottenuto dal grappello Ruberti. “Ma questa volta si tratta di un vino figlio di una decina di giorni di macerazione”, spiega il presidente Bulgarelli. Per un nettare rubino intenso, ampio e strutturato, dai sentori di mora e prugna rossa, con accenni di viola. Una piena espressione del ritrovato vitigno mantovano. Ideale in abbinata con un risotto al Lambrusco (lo stesso) e salsiccia, nonché con l’interpretazione “ripiena” della carbonara: un raviolo dal cuore di tuorlo liquido con guanciale croccante e salsa di parmigiano.
“GranRosso del Vicariato di Quistello” poi per la cinta senese con riduzione di Lambrusco, morbida purea di patate e spinacino. Un piatto in cui dolcezza e tannicità abbracciano quel regale rosso della cave che ha cambiato i sorsi in tavola, grazie al suo essere secco ma lievemente abboccato.
E col dessert? Il “Dolce del Vicariato di Quistello”, dalle nuance di frutta secca e albicocca. Ottenuto da uve moscato del territorio. “Quelle che già i Gonzaga venivano a prendere”, ricorda il presidente. Un nettare frizzante e fragrante, ottimo con la sbrisolona, ma pure con il cannolo colmo di una mousse al cioccolato bianco. Tuffato in una zuppetta di amarene.
Infine, il cameo della cantina quistellese: il Vin Cot, ennesima espressione del lambrusco grappello Ruberti, ma in versione mosto cotto. Per impreziosire carni e insalate, gelati e pasticceria secca. “Abbiamo fatto anche un panettone, utilizzandolo al posto del miele”, commenta Luciano Bulgarelli. Confermando la poliedricità, la potenzialità e la longevità del Lambrusco Mantovano.