I cactus ci sono. In versione small e in taglia large. Ma in sala non si avvistano né mariachi né iridescenti sombrero. Nulla di folcloristico, nulla di stereotipato entra dall’ingresso del Bésame Mucho, gustosa ambasciata messicana in piena Porta Nuova, a Milano. Uno spazio elegante, sofisticato e dal piglio cosmopolita, retaggio della riuscita esperienza ristorativa all’interno del padiglione di Expo 2015. Un ambiente sospeso fra l’Oltreoceano e l’avveniristico skyline meneghino. Senza mai perdere le radici e la memoria.
Dentro, un centinaio di coperti. Fuori, un dehors, proiettato verso i vertiginosi grattacieli di uno dei quartieri più cool del capoluogo lombardo. Un luogo avvolgente, nutrito di dettagli soft e di colori tenui, di deschi social e di tavoli più riservati, di linee arrotondate e di arredi essenziali. Mentre la cucina occupa la posizione centrale: interamente a vista e suddivisa in zona fredda, area calda e angolo dedicato ai fritti. Poi, basta alzare lo sguardo per ammirare la tentacolare selva di lampadari che allaga il soffitto. Lampadari? In realtà si tratta delle Acapulco Chairs - vere icone del design messicano anni Cinquanta - capovolte e trasformate in punti luce. Un azzurro tocco vintage, tuffato in un ristorante contemporaneo, progettato dal designer - di Città del Messico - Ricardo Casas.
E anche il menu - studiato dall’executive chef Mario Espinosa - è autentico e autoctono. Il che significa niente nachos e niente burritos, che invece appartengono più alla cultura tex-mex, per privilegiare preparazioni filologicamente messicane. Provenienti dalle tradizioni dei differenti stati (32 per l’esattezza) che compongono la repubblica federale. Tant’è che in carta, accanto a ogni portata (o quasi), è indicata la sua geolocalizzazione. Per meglio orientare il commensale. Per onorare una cucina proclamata dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità. E per proporre un viaggio esperienziale che va dalle montagne al mare, dal Golfo del Messico all’Oceano Pacifico, dalle spiagge alle terre abitate dalle precolombiane civiltà maya e azteca.
“Ho solo preferito non eccedere con il piccante, tipico di molti nostri piatti. Per venire incontro a un gusto più italiano ed europeo”, precisa il resident chef Chris Gaona, originario di San Luis Potosí, nell’omonimo stato del México. “E comunque non tutte le pietanze messicane sono piccanti”, puntualizza Francisco Ramírez, perfetto cerimoniere di sala. Giusto per fugare certi inutili cliché legati alla cultura gastronomica del suo Paese. Dove l’acqua, soprattutto a pranzo, viene aromatizzata con la frutta: limone, guava, mango e ibisco. Per una piacevole abitudine che contagia, naturalmente, anche il Bésame Mucho.
Fiori di hibiscus che, insieme a mezcal, vermouth bianco e lime vanno a creare il “Blanquita”, uno dei signature cocktail dall’anima messicana messi a punto dal bartender Adim. Mezcal - mexacalli in lingua nahuatl - ottenuto da un lungo processo di cottura, fermentazione e distillazione del cuore dell’agave. E ancora, l’arcinota “Margarita”, tequila reposado addicted. Proposta anche nella declinazione col coriandolo, complici tequila lasciata in infusione con lo jalapeño, lime e sale di sedano. E poi, il “Sayulita”, con mezcal, tequila, lime, zenzero e miele di agave; “El Guapo”, con tequila bianco, lime, Licor 43 e sciroppo di agave con peperoncino; nonché il “Vicente Negroni”, rilettura mexicana di un grande classico, compendio di mezcal, Campari, vermouth e arancia. Perfetto in tandem con l’aperitivo: totopos di mais fritti, accompagnati da crema di fagioli con formaggio fresco e guacamole con pico de gallo, a base di cipolla, pomodori e peperoncino verde. A rammentare i colori della bandiera messicana. Che è bianca, rossa e verde. Ma con un’aquila reale al centro.
Un guacamole rustico, in cui l’avocado viene sminuzzato al mortaio. Tanto da apparire ancora grezzo nella sua texture. Preparato “alla moda” del mercato di Pátzcuaro, cittadina che se ne sta ridosso del lago da cui mutua il nome, nell’estado de Michoacán. Un mercato pittoresco, al quale si rifanno pure le charales dell’antipasto: acciughe fritte - in modo superlativo - con pico de gallo (che torna spesso) e maionese al peperoncino. Mentre la tartare di cecina Yecapixtla viene dallo stato del Morelos e il tamalito yucateco - sorta di involtino ripieno - pesca i natali nello Yucatán. Nel calice, questa volta, meglio lo Chardonnay della cantina L.A. Cetto, nella Valle de Guadalupe, in Baja California. Fondata dal trentino Angelo Cetto e oggi portata avanti da Luis Alberto, terza generazione della maison.
Per continuare con una tostada di gamberi alla diabla, tipica di Nayarit, stato affacciato sul Pacifico. Traduzione: una tortilla di mais fritta (e piacevolmente crunch) con gamberi marinati in peperoncino guajillo, aglio e limone, maionese al chipotle e ravanelli. In pairing? Un drink a base di mango, tequila e peperoncino, in armonioso equilibrio fra dolce e piccante. Senza dimenticare la serie dei ceviche: di ricciola, direttamente della costa Mazatlán, nello stato di Sinaloa; di capesante e cannolicchi, in stile Cozumel, isola del Mar dei Caraibi, nell’estado de Quintana Roo; e di frutti di mare in salsa verde ed erbe aromatiche, griffata dallo chef Federico López, capitano del Taller Gourmet di Cancún.
E per chi ama i tacos? Voilà quelli al pastor, un must a Città del Messico. Capaci di eleggere a protagonista la carne di maiale: lasciata marinare in achiote - spezia di colore rosso-arancio che si ottiene dall’arbusto che porta lo stesso nome (bixa orellana, in lessico scientifico) -, peperoncini secchi, cipolla e arachidi; cucinata su uno spiedo verticale; e servita con ananas, cipolla e coriandolo tritati. E ancora, quelli delicatissimi di branzino in tempura, con insalata di cavolo rosso e pico de gallo. Da rendere più infuocati aggiungendo poche gocce di salsa all’habanero e lime. E ottimi se accompagnati con una birra: l’amber ale Dia de Los Muertos della cervecería Mexicana. Non trascurando i tacos (anche di mais blu) con pollo pibil. “Inizialmente li preparavamo con la cochinita, il maialino, ma ora preferiamo proporli con il pollo”, spiega Francisco. Chicken che viene sfilacciato e marinato nell’achiote. A completare i tacos? Cipolla in escabeche e fagioli bolliti, schiacciati e fritti. Nel bicchiere: è suggerito lo Zinfandel by L.A. Cetto.
Tacos da mangiare rigorosamente con le mani. Mentre altri piatti suggeriscono le posate, che qui sono personalizzate e targate Mepra, luxury brand bresciano. Dunque? Filetto di manzo al mole negro. Il principe dei sette mole di Oaxaca. “La sua ricetta è complessa e prevede oltre quaranta ingredienti, fra cui la polvere di peperoncini arrostiti al forno”, spiega Francisco. Un mole scuro, abissale, dalle nuance di cacao. Da sposare al Cabernet Sauvignon sempre di L.A. Cetto. Mentre è il verde, più lieve e vegetale, ad accompagnare il branzino, complice l’hoja santa, un’erba spesso utilizzata nella cocina mexicana. Branzino proposto anche in versione tikin xic, tradizionale dello Yucatán: cotto al cartoccio in foglie di banano con salsa achiote. E l’orata chiodata a la talla? Viene cucinata alla griglia con salsa verde e nera, come nella terra di Guerrero.
Infine, i dessert. Golosi e curiosi. Dal platano fritto con gelato e panna montata alla torta di limone fatta in casa; dai churros alle fragole con crema. Ma non fragole qualsiasi, bensì quelle by Las Fresas del Km 23 e ½, nel quartiere Contadero, a Cuajimalpa de Morelos, una delle 16 delegazioni in cui è suddivisa Città del Messico. Ancho Reyes Verde in abbinata: un menjurje - ossia un liquore artigianale - a base di chile poblano. Un distillato fresco, brillante e gradevolmente piccante.
Se poi si dovessero avere ancora dubbi? Basterebbe sfogliare la carta e la drink list per consultare il glossario e i diversi approfondimenti sul tema México. Il locale è sempre aperto a pranzo (eccetto il primo lunedì del mese) e a cena.
Foto di Elisa Zucca