Oro, oro, oro. Torna in mente il capolavoro di Mango entrando da Izu. Dove tutto è oro quel che luccica. Dorati sono i tavoli; dorate sono le pareti a cascata, che creano un discreto intercalare fra le sale; dorati sono i lampadari-crateri stellari (o lunari) che trasformano i soffitti in un vero e proprio giardino aureo. Mentre l’ombra si alterna alla luce e al candore delle sedute, e i ruvidi mattoni dialogano con massicce travi in legno.
“Siamo partiti nel 1993 con i miei genitori e con una piccola gastronomia. Ma poi ci siamo via via allargati e trasformati”, ricorda Jin Yue, titolare e direttore d’orchestra - insieme alla sorella Valentina - di un ristorante che se ne sta al civico 27 del meneghino corso Lodi, inanellando innumerevoli vetrine. “È nel 1997 che siamo passati dalla gastronomia al ristorante”, continua orgoglioso Jin, nato vicino a Shangai e ormai milanese d’adozione. “Ma a casa parliamo ancora il nostro diletto”, precisa lui. Che non solo guarda a Oriente, ma guarda sempre avanti. Tant’è che dalla proposta cino-nipponica degli inizi si è giunti a una cucina molto più complessa e completa. Fusion verrebbe da dire. Ma nell’accezione più circolare, flowing e contemporanea del termine. Che significa apertura, inclusione, contaminazione, multiculturalità. Significa passato e futuro, memoria e trasformazione, vicino e lontano. Cina e Giappone, ma pure Cuba, il Perù, il Mediterraneo, passando obbligatoriamente per Milano. Significa tecniche nipponiche e creatività libera da cliché. Basta osservare il logo per capire: un chicco di riso allungato (e stilizzato) che somiglia anche a un pesce. Con corredo di mantra-claim: “Feel inFusion”.
“La nostra è una cucina in costante movimento. Che non si ferma mai e che si è evoluta nel corso degli anni. Cercando sempre di migliorare. Dalla preparazione alla presentazione del piatto. Nei ravioli, per esempio, ho cercato di rendere la sfoglia ancora più sottile e il ripieno più leggero. Ma abbiamo lavorato moltissimo anche sulla lavorazione del riso. Cercando di capire bene come lavarlo, come trattarlo e come cuocerlo. Pensando alla corretta temperatura e alla pentola ideale. Solo un punto rimane fermo: il rispetto per la materia prima. Le salse devono valorizzare e non coprire gli ingredienti”, spiega mister Yue. Che intanto serve i “Nigiri alla fiamma”, leggermente scottati e piacevolmente tiepidi. Complice un letto di riso perfetto: ricciola, sesamo ed emulsione di yuzu; salmone, sesamo, salsa di soia e pasta kataifi; tonno rosso con foglie di wasabi tagliate al coltello; e gambero rosso di Mazara con salsa agli agrumi siciliani e giapponesi, pomodorino, basilico e caviale di fly fish. Un poker delizioso. In cui si mescolano sapientemente Sol Levante e ’O sole mio.
Un portata intrigante. Come divertente e scattante può essere l’ouverture del pranzo o della cena. A ritmo di “Calamaro pop”. Un calamaro fritto, avvolto in perle di riso croccanti, accompagnato da un dressing a base di maionese e yuzu. Ottimo in abbinata a un cocktail.
Perché? Perché qui i drink sono superbi, firmati dalla barlady Ludmila Samo, in un elogio ai grandi classici, ma con asiatico twist. Vedi lo “Jin-Zu” (uno dei preferiti dal patron), con gin Jinzu, lime, frutto della passione, foglie di menta e sciroppo di passion fruit; il “Kimono” con gin Bombay Sapphire, lime, sciroppo di sambuco, tonica giapponese allo yuzu ed essenze d’Oriente; e il “French Room”, con Gin Mare, St-Germain, succo di limone, essenza alla rosa selvatica e fiori d’arancio, e basilico. E ancora, il “Matrioska”, a base di vodka Beluga messa in infusione con lo zafferano, Americano Cocchi, sciroppo di gelsomino, lemongrass e pistilli di zafferano; nonché “Il vecchio e il mare”, summa di mezcal Nuestra Soledad, sherbet al mandarino, yuzu e bitter al mandarino affumicato al legno di cedro. Per un giro del mondo in sorsi. E anche per un tributo a Ernest Hemingway. “Bisogna sempre leggere e viaggiare. Viaggiare e leggere. Perché sono le due cose che ti possono aprire la mente”, ribadisce Jin.
Ma lui adora anche andare fuori rotta. E proporre i suoi “fuori menu”. Che hanno tutte le carte in regola per entrare in menu. Come il “Tuna mignon”: una tartare di tonno rosso dalla serica texture. Condita con zenzero fresco, menta ed erba cipollina, e posizionata su un cerchio di riso aromatizzato. Il tutto completato da un dressing di frutta, verdura, olio e soia. Umami. Intenso e profondo.
Gusto amatissimo da Jin. Che in carta inserisce persino gli uramaki “Uma-Mi”: scaglie croccanti di tempura, salmone, cream cheese, lamelle di avocado, salmone e pesto di pomodorini. Giusto a ricordare una bruschetta all’italiana che sogna di andare in Asia. “Mi piace molto giocare con le consistenze. Alternando morbido, liquido e crunchy”, precisa Yue. Sempre alla ricerca dell’armonia e dell’equilibrio. Per un “sushi” mai algido, geometrico e spigoloso, bensì rotondo, avvolgente, empatico e solare. Come raggianti sono gli uramaki “Havana 82”, con gamberoni al vapore, avocado, salmone scottato, granella di pistacchi ed emulsione al rum, servita in pipetta; i “Tropical Wave”, con gamberone in tempura, cream cheese, carpaccio di ricciola, jalapeño messicano ed emulsione allo yuzu; e i “Sun Rice”, compendio di fiori di zucca in tempura, cream cheese, tartare di gamberone e salmone lievemente spicy, salsa teriyaki ed emulsione allo zafferano.
Zafferano che torna. Nei “Fusion udon”, che strizzano l’occhio al risotto alla milanese. Impreziositi da una salsa cremosa a base di verdure, curry e zafferano. Con l’aggiunta di latte di cocco. Per una divagazione fra Lombardia, India e Giappone. Mentre i “Ramen biancomare” concedono relax al palato. Ramen homemade, tuffati in un brodo-essenza messo a punto con carni, teste e lische di pesci bianchi e azzurri, pak choi e filetti di branzino passati in padella. Un vero comfort food, rigenerante, nutriente, ma assolutamente leggero.
E se chi ama il branzino può optare anche per quello con germogli di zenzero, lemongrass e julienne di verdure in scrigno di loto, chi preferisce le pietanze più rock può scegliere il “Ceviche di mare”, exemplum di crasi nippo-peruviana, che dà origine a una vivanda nikkei dallo spirito latino-orientale. Oppure? Il bao. Alla giapponese maniera. Un panino al vapore soffice come una nuvola, carico di capasanta, ricciola, branzino, zucchina scottata, scagliette di tempura, salsa allo yuzu gradevolmente piccante, pistacchi tostati e spolverata di shiso viola disidratato. “È il bello di tradurre un cibo popolare in un piatto lussuoso, ricco di sapore”, commenta Jin.
E per chiosare il pasto? Mochi gelato. Della serie, i tradizionali mochi riso addicted ma colmi di gelato: al tè verde, al frutto della passione e al cioccolato e cocco. Non dimenticando un tè bancha, a basso contenuto di teina - ma ricco di vitamina -, ingentilito da riso e mais soffiato. In alternativa? Un buon whisky come il Togouchi della Sakurao Distillery; l’Hibiki Japanese Harmony, firmato Suntory; o anche il Nikka, prodotto a Sendai. Fra le referenze, il pure malt Red dalle note fruttate di arancia e limone; il Black, finemente torbato, dai profumi di mela e caramello; e il Coffee Grain, dal tono ambrato e nuance di tabacco dolce, curry e agrumi.
Un’ultima curiosità: Izu è una penisola giapponese - a sud-ovest di Tokyo - famosa per la fertile attività peschereccia. E per la grande bellezza del paesaggio. Un incanto che Jin ha voluto tradurre in un ristorante.
Foto di Matteo Barro