“Semu Simenza”, ripete spesso il contadino-custode Giuseppe Li Rosi. Quasi in un accorato e appassionato senso di appartenenza alla terra madre. E a una comunità volitiva, versatile e variegata qual è Simenza: cumpagnìa siciliana sementi contadine, presieduta proprio da lui. Li Rosi: catanese doc, studi classici, una laurea in Lingue e Letterature Straniere e una ferrea fede nel seme. Perché il seme è il codice di tutto. Perché il seme concentra tutto, in nuce. Perché il seme è l’origine, la partenza, l’incipit.
Simenza. Una popolazione, un miscuglio: di persone, di terroir, di linguaggi, di professionalità. Sì, Simenza è un insieme: di agricoltori, allevatori, contadini, viticoltori, olivicoltori, tecnici, panificatori, scrittori, scienziati, ricercatori, mugnai. Simenza è come un campo di grano evolutivo. Ma è pure lo specchio della Sicilia. Un continente, crogiolo di civiltà. “Perché l’uomo della Sicilia sud orientale è diverso dall’uomo della Sicilia nord occidentale. E quello dei Nebrodi è differente da quello delle Madonie e della terra di Gela. La zona più arida d’Europa”, continua Giuseppe. Che non dimentica una similitudine importante: quella fra Simenza e il Mediterraneo. Anch’esso puzzle di colture e di culture.
Simenza. Una compagine coesa. Che lavora seguendo un’unica direzione. E credendo fermamente nella biodiversità. Anzi, nell’agrobiodiversità. In particolare modo per quanto concerne il settore cerealicolo. “Oggi in Sicilia si coltivano circa seimila ettari di grani antichi, la metà dei quali di pertinenza dei nostri associati. I nostri grani antichi sono per l’80% coltivati in regime di agricoltura biologica certificata e vengono in buona parte trasformati in Sicilia, ma iniziano ad arrivare richieste anche da parte di trasformatori oltre Stretto. Da circa tre anni la nostra associazione promuove occasionalmente l’incontro tra la domanda e l’offerta nel settore, ma siamo coscienti che occorra un cambio di passo per permettere un’organizzazione che supporti al meglio le parti in causa. Questo ci ha spinti quest’anno a organizzare un confronto qualificato su questi temi, in occasione delle nostre tradizionali Jurnate”, spiega Paolo Caruso, direttore tecnico del gruppo e ricercatore presso il Di3A - Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università degli Studi di Catania.
“Io non sono altro che il tubicino che collega i due vasi: quello degli agricoltori e quello degli studiosi. La nostra è una ricerca partecipata. Una collaborazione di pensieri e di fatti. In cui tutti danno il proprio contributo. È una questione di osmosi. I ricercatori trasferiscono le nozioni ai contadini. E i contadini seminano, coltivano e mietono”, continua Paolo. Convinto che ora serva mettere a frutto la grande semina, puntando sempre più sulla sostenibilità, ponendosi in maniera attiva e propositiva nei confronti del mercato e presentandosi come un modello vincente da emulare. Questi i propositi delle prossime Jurnate di Simenza, di scena il 14 e il 15 settembre al Castello di Montalbano Elicona, uno del Borghi più Belli d’Italia, in provincia di Messina.
Una due giorni dinamica. Animata da degustazioni, discussioni e laboratori: sensoriali ed emozionali. Guidati da veri maestri dell’arte bianca, e non solo. Ecco allora che sabato, dalle 16.30 alle 19.30, si avvicendano Lillo Freni dell’omonima pasticceria di Messina; Friedrich Schmuck del Piano B di Siracusa; e Matteo La Spada della pizzeria L’Orso di Messina. Mentre domenica, dalle 10.30 alle 12.30, è la volta dell’assaggiatore professionista Ercole Aloe; di Franco Vescera, titolare dell’azienda biologica di Carlentini che porta il suo cognome; e di Silvia Turco, agricoltrice colta e curiosa, che in quel di Enna - insieme alle sorelle Anna, Gea e Tiziana - coltiva zafferano, alleva vacche allo stato brado e custodisce vetuste varietà cerealicole e canine.
Per proseguire fra pane, panelle, arancini e creme a cura di Tommaso Cannata della Boutique del Pane di Messina e della Cannata Sicilian Bakery di Milano; Vito Riccobono della trattoria Ai Cascinari di Palermo; e Corrado Assenza del Caffè Sicilia di Noto. Non dimenticando un buffet biodiverso, fiero di inanellare eccellenze isolane quali l’oliva minuta e l’aglio rosso di Nubia, la vacca cinisara e il suino nero dei Nebrodi, le scacce e i cudduruni.
Un palinsesto ricco, alimentato anche da operose tavole rotonde, organizzate col contributo del maestro gastronomo Pippo Privitera. Sabato, alle 17, riflettori puntati su “Grani antichi e filiere di Simenza: tradizione e innovazione a sostegno delle aziende agricole siciliane”. Una tematica calda e attualissima quella dei grani ancestrali e dei grani originari. Fra cui spicca il tenero maiorca, eletto a protagonista di un nuovo progetto di traduzione in fragrante farina targato Molino Quaglia. La maison atestina già attiva da tempo sul campo isolano: grazie a un sodalizio con i contadini di Simenza che ha dato origine a Petra Evolutiva.
Una farina contemporanea Petra Evolutiva. Che varia di anno in anno. Seguendo le variazioni climatiche e portando (per la prima volta) in etichetta l’annata di raccolta. Come da sempre accade per il vino. Una farina sui generis. Perché siciliana e cosmopolita, locale e multiculturale, indigena e multietnica. Figlia di una popolazione di semi di frumento tenero: costituita da duemila varietà -provenienti da Algeria, Giordania, Iran ed Eritrea - e coltivata in regime bio in Sicily. Seguendo la legge della sopravvivenza e della resilienza. “Mi sono accorto - prosegue Li Rosi - che le spighe più alte difendono le più basse dalle infestanti. E che le più basse proteggono le più alte nelle notti di vento e di pioggia. Così come se un insetto o una malattia colpiscono una spiga non riescono a ferirne altre. Trovandosi di fronte alla massima difformità”.
Una farina simbolo di diversità Petra Evolutiva. “Se fossimo tutti uguali e la pensassimo tutti nello stesso modo non ci sarebbe il colpo di genio. Perché la diversità non è errore e orrore, bensì forza. È opportunità di cambiamento. È un’occasione di svolta”, Li Rosi docet. E l’occasione di svolta c’è stata, anche grazie alla professionalità dei mugnai Quaglia. “Noi non abbiamo fatto altro che mettere a disposizione la nostra competenza, seguendo parametri ben precisi e cercando di essere il più possibile coerenti col prodotto e coi valori che trasmette”, spiega Chiara Quaglia. Che con i fratelli Andrea e Lucio porta avanti il molino di famiglia, a Vighizzolo d’Este, nel Padovano. “Lavorare questi grani evolutivi non è stato semplice. Il rischio era quello di schiacciarli troppo o troppo poco, non estraendo tutto quello che la mandorla farinacea concede. Sono chicchi che hanno durezze e tenerezze differenti. E il compito del mugnaio è quello di non stressarli”.
“Da sempre ci sta molto a cuore la sorte di filiere di valore. Il progetto Petra Evolutiva con Simenza ci ha dato la possibilità di dare un aiuto concreto allo sviluppo locale del lavoro del contadino, contribuendo con lui alla diffusione di pratiche agricole sostenibili e restituendo a lui la speranza, la passione e la voglia di credere nel proprio operato. Grazie a un completo riconoscimento. Ossia il giusto guadagno”, aggiunge Piero Gabrieli, direttore marketing di Molino Quaglia. Presente al dibattito. Insieme a molti altri imprenditori e professionisti. Come Alessandro Ferrara del Molino Ferrara di Caltanisetta; Angelo Barbagallo del Pastificio Barbagallo Di Mauro, a Fiumefreddo di Sicilia; e Sonia Spadaro dell’azienda Santa Maria La Nave, una boutique winery sull’Etna, capace di dar voce a un prezioso terroir estremo come quello del vulcano attivo più alto d’Europa.
Domenica, alle 10, si punta invece l’obiettivo sulle “Produzioni di eccellenza: strategie per valorizzare l’agrobiodiversità”, con il sindaco di Montalbano Elicona Filippo Taranto; gli assessori Edy Bandiera e Bernadette Grasso; Salvatore Bordonaro, professore associato di zootecnica generale e miglioramento genetico al Di3A di Catania; e un artigiano filosofo quale Corrado Assenza, visionario bardo della ruralità. “Io non sarei nulla senza i miei contadini”, ribadisce Corrado. “Il compito di Simenza è quello di essere un lievito per l’intera filiera. E il suo ruolo è di far da modello sartoriale per altre filiere. Simenza deve portare avanti una ricerca libera. Ma deve anche reiterare, comunicare e sottolineare i concetti di legalità, condivisione, convivialità e rigore. Certo, in ogni gruppo e in qualsiasi associazione ci devono essere regole fondanti. Perché le regole sono paragonabili allo stilobate del tempio greco. Il piano orizzontale sul quale costruire e poggiare tutto il colonnato verticale”.
La partecipazione alle tavole rotonde è libera. Il costo dei lab di sabato è di 15 euro (5 per i soci di Simenza); per assistere ai lab di domenica è necessario acquistare il ticket del pranzo a 20 euro (15 per i soci). Per informazioni e prenotazioni: info@simenza.bio
Foto di Thorsten Stobbe e di Enrica Guariento