Per essere riconoscibili? Bisogna sapersi distinguere. E lei lo fa sin dalla bottiglia: una Marasca. Con palese allusione a una varietà di ciliegia, tipico descrittore del suo profilo olfattivo. E poi? Sulla bottiglia dalla sinuosa silhouette ci tatua la propria origine, il proprio credo, il proprio senso d’appartenenza al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese. “La nostra missione è quella di riqualificare un vino di grande diffusione ma di assoluta eccellenza. Troppo spesso infilato fra gli scaffali a un low cost”, dichiara Cristian Calatroni, responsabile del Progetto Bonarda. Meglio noto sui social con l’hashtag #LaMossaPerfetta.
Una Bonarda frizzante, certo. Ma mai stucchevole. Una Bonarda piacevolmente secca o appena abboccata. Gradevolissima. Una Mossa Perfetta, insomma. Dal colore rubino, dai riflessi violacei e dalla spuma purpurea. Al naso? Frutti rossi e neri, ma anche fiori e spezie. Un vino di tempra e di carattere. Perché la Bonarda è femmina, brillante e scattante, ma il suo tannino è fermo e deciso, robusto e muscoloso. Anche se tenuto a bada da un’innegabile morbidezza. Della serie: una madame dal profumo di ciliegia, ma dalle braccia forti. Un vino pop, quotidiano, conviviale, di tutti i giorni e ideale a tutto pasto. Ma non per questo frivolo e leggero. Anzi. “Vorremmo che la nostra Bonarda diventasse il simbolo dell’Oltrepò Pavese. Dobbiamo unire le forze e fare gruppo. Riappropriarci di una memoria gioiosa e potente”, spiega Antonio Achilli, che col fratello Paolo e la nipote Manuela tiene le redini dell’azienda agricola Manuelina, a Santa Maria della Versa. Una delle sedici maison che fanno parte dell’ambizioso progetto.
Un obiettivo importante. Che fa fede a una serie di comandamenti. Alcuni diktat che divengono religione. “Ci siamo seduti intorno a un tavolo e ci siamo dati un regolamento rigido, che prevede alcune restrizioni rispetto alla denominazione di origine”, continua Calatroni. Maglie più strette per capirci. Nel nome dell’assoluta qualità. Quindi? #LaMossaPerfetta nasce solo e unicamente in collina, in zone dal microclima particolarmente vocato alla coltivazione dell’uva croatina. Certo, perché solo questo vitigno a bacca nera è contemplato. Solo croatina in purezza. Nient’altro. Con una resa massima per ettaro che non può superare i 110 quintali; con un grado alcolico che non può essere inferiore ai 12% vol e con un residuo zuccherino compreso fra 0 e 15 grammi per litro (il disciplinare della doc consente di arrivare sino a 50 grammi per litro). Tutto chiaro?
Non basta. La filiera deve rispondere al massimo livello di tracciabilità. Traduzione: il vignaiolo è responsabile dell’iter completo, che spazia dalle operazioni in campagna sino alla messa in bottiglia. A garanzia di un vino-icona del terroir dal quale proviene. Una Bonarda naturalmente frizzante. Briosa intrinsecamente, senza aggiunta di anidride carbonica. Una Bonarda col pedigree. Prima dell’imbottigliamento, infatti, i produttori aderenti al progetto devono sottoporre i campioni di vino sia alla degustazione sia alle analisi chimico-fisiche e organolettiche di un ente certificatore esterno: il Bi.Lab. di Guarene, nel Cuneese. Infine, sul fronte di ogni Marasca - il cui prezzo consigliato non può essere al di sotto dei 5 euro - va apposta l’etichetta dell’azienda, mentre sul retro un QR-code rimanda alla pagina online del Progetto Bonarda. Affinché sia tutto trasparente.
Sedici le cantine che hanno sposato #LaMossaPerfetta. Noi ne abbiamo visitate quattro e ve le raccontiamo. Unitamente a qualche highlight gustoso e rilassante. Per un tuffo in un energico Oltrepò di quasi primavera.
Quaquarini: l’esuberanza è bio
“Noi abbiamo sessanta ettari di vigneti. Tutti certificati biologici dal 2002”, spiega Umberto Quaquarini, che con la sorella Maria Teresa porta avanti il lavoro iniziato dal padre Francesco e ancor prima da nonno Libero. In quel di Canneto Pavese. “Qui a destra c’è la Valle Versa, a sinistra la Valle Scuropasso, davanti si vede il paesino di Monteveneroso e in linea d’aria, proseguendo dritto, si trova Milano. Mentre Pavia resta a sinistra”, illustra Umberto, l’enologo di famiglia, passeggiando tra i filari. A 280 metri di altitudine. “Praticamente coltiviamo tutti vitigni autoctoni. E raccogliamo a mano. Esclusivamente a mano. Viste le elevate pendenze delle vigne”, continua lui. Mostrando le erte. “Qui non si può passare con le macchine”.
Un’attivissima organic winery fiera della sua Bonarda “La Riva di Sass”. Un cru: bio e solfiti free. Con tanto d'etichetta d'artista: quella firmata da Fabrizio De Filippi, alias Tom, originario di Broni. Un disegno gioiosamente rurale, pronto a ritrarre una collina e un albero. Nei colori del giallo, del verde e dell’azzurro. Quasi a volerne urlare l’elegante esuberanza e la raffinata fragranza. L’abbinata perfetta? “Con salame, coppa e pancetta. Li facciamo noi. In casa”, continua mister Quaquarini. Confermando la fatale attrazione del vino verso gli insaccati. Altro cult del territorio. Dove la cultura del maiale è un vero credo. E dove la bollicina, giustamente tannica, sposa amabilmente la grassezza dei salumi.
Altri must della family? Oltre alla Mossa Perfetta sono da provare il luminoso Pinot Nero Rosé Brut, un metodo Martinotti di gran classe; il metodo classico “Classese”, un pinot noir tutto acidità e struttura; e la “Selezione Unica”, un rosso superbo, figlio di una vigna seguita personalmente dall'ultraottantenne papà Francesco. Che, al momento dell’imbottigliamento, dà pure il suo placet al nettare, che deve risultare rotondo, vellutato e ammandorlato. Non dimenticando un altro vino-vessillo della casa: l’Ughetta di Canneto. Ottenuto dall’omonimo vitigno indigeno che più indigeno non si può. E che pare abbia il più alto contenuto di rotundone, la molecola responsabile del peculiare sentore di pepe nero.
Mitica Manuelina
Ha un piè agile e veloce “Ăchillius”, la Bonarda by Achilli. Antonio e Paolo beninteso, che con Manuela (figlia di Paolo) conducono valorosamente l’azienda agricola Manuelina, nella frazione Ruinello di Sotto di Santa Maria della Versa. “Sì, la nostra azienda porta il nome di mia figlia. Ma il tutto va inteso in senso lato. È una dedica fatta a chi lavora, in prima persona”, spiega Paolo. Che nella terra ci mette le mani. E pure la testa. Ventidue ettari sotto il cielo dell’Oltrepò, nutriti da un terreno variegato. Più scuro e profondo in alcune parti, più bianco in altre. Tutte vendemmiate a mano.
“Ăchillius”, quindi. Ma anche il rosé “145”, assolo di pinot nero che porta in grembo il numero identificativo del vigneto sulla mappa catastale. Un metodo classico signorile, dal color rosa antico e dal fine perlage. Fratello dell’ancor più rigoroso e complesso “Dosaggio Zero”. Pinot noir, uno dei vitigni cardine della maison, coltivato a guyot e unico attore del fermissimo “Solonero”, abissale e intenso rosso da sposare a carni, selvaggina e formaggi stagionati. E come trascurare “Il Traditore”? “Lui è come le donne, non sai mai come prenderlo. Ma io lo berrei a merenda, con il gorgonzola piccante. Oppure con i salumi e le acciughe”, puntualizza il saggio Paolo, raccontando fiero il suo Sangue di Giuda. Dolce e carezzevole summa di croatina, barbera e uva rara. Ottimo anche con una buona crostata e biscotteria secca.
Gazzotti: salus per vinum
È andata così. Nonno Pietro fonda l’azienda agricola nel 1930. La consegna nelle mani del figlio Giovanni, che a sua volta passa il testimone ai figli Maurizio e Piera. Fila liscia la storia della cantina Gazzotti, nella frazione Canerone di Montecalvo Versiggia. Ma poi bisogna infilarci una generosa dose di sacrifici, passione e lungimiranza. Nel capire come valorizzare i vecchi vigneti di famiglia e come acquistarne di nuovi. “Badando bene a comprare terreni vocati”, precisa Maurizio, l’attuale capitano della tenuta. Che conta ventidue ettari diffusi. Con le vigne di croatina posizionate a Rovescala, in bilico fra il Pavese e il Piacentino.
Croatina, dunque Bonarda. In quadrupla declinazione. La Mossa Perfetta, in primis, e poi in versioni ferma, frizzante “Bugagna” e vegana. Sì, i Gazzotti sono particolarmente sensibili a etica e benessere. Basti pensare alla linea di cosmetici al Barbera, vino e vitigno ben presente tra i filari aziendali. Ecco allora saponetta, shampoo, balsamo, bagnodoccia, scrub, emulsione e persino dopobarba wine addicted. E poi tutta la linea di creme: protettive, idratanti, nutrienti e antiage. Non dimenticando l’olio. Alimentare. Ottenuto dalla spremitura a caldo dei vinaccioli. Un antiossidante naturale, prezioso com’è di omega-6, vitamine e flavonoidi. Nel segno del wellness ma pure del no waste.
Un’attenzione alla salute che si traduce in buon cibo. Sì, perché a casa Gazzotti si sorseggia e si assaggia. Bruna, la moglie di Maurizio, sta alla regia di un agriturismo poco distante dalla cantina (nella frazione Ca’ Nicelli di Rovescala): Le Tradizioni di Elide, che poi è la madre di Bruna. Elide, ottant'anni (il prossimo giugno) e non sentirli. Elide che frigge la schitta, una sorta di “frittata” sottile e croccante a base di uova, farina e cipolle. E che prepara lenticchie, alloro e Bonarda; focaccia con i ciccioli; tortino di zucca e mostarda; cotechino caldo e crema di patate con Riesling e yogurt. Due consigli: prenotare e chiedere di visitare l’ultimo piano. Dove dimorano i salumi.
Fiori e spezie, memoria e modernità
Ma #LaMossaPerfetta non ama solo cibi corroboranti. Lei fa volentieri il verso anche a una cucina legata alla tradizione, ma al tempo stesso giovane e contemporanea. Come quella proposta dall’agriturismo (aperto, su prenotazione, il sabato e la domenica) di Carola (classe ’94) e Alberto Fiori (millesimo ’86). Titolare (e pure enologo) dell’azienda Valdamonte: quindici ettari nel comune di Santa Maria della Versa. Fedele al motto: “La terra parla e noi l’ascoltiamo”. Come logo? Una macchia. Tondeggiante. Quella lasciata dal fondo della bottiglia sulla tovaglia.
“La Mossa Perfetta è un vino serio”, dichiara Alberto. Che prende una vecchia foto del nonno paterno Ezio e la trasforma in un’etichetta modernissima, battezzata “Novecento”. “Un vino col cappello. Che abbiamo voluto addirittura in tono oro. Per accentuarne l’importanza”, come ama ripetere Fiori. “Io il nonno non l’ho conosciuto. Ma a detta di tutti incarnava i principi del ’900. Valori solidi, come il fortissimo attaccamento alla terra”, continua il giovane vignaiolo. Che osa abbinare la sua Bonarda a un filetto di maiale al curry con corredo di verdure. “Ma prepariamo anche i ravioli al brasato con riduzione di Novecento”, ribadisce Carola.
Altri cult della cave? Il Pinot Nero vinificato in bianco: vivace, fresco e sapido, prezioso di un 10% di uve chardonnay surmature. Che vanno a ingentilire anche il “347 M.S.L.M.”, complice un 90% di riesling renano. E per chi predilige i rossi fermi? “Il Colonnello”, compendio di barbera e croatina, dalle note di caffè e tabacco. Intitolato all’avo Luigi Fiori, colonnello del Regio Esercito post Unità d’Italia.
I bata lavar del Bazzini
“Si chiamano così perché sono grandi e il loro bordo batte sulle labbra”, spiega Mariella Mariotti, che con Riccardo Rezzani guida - da quasi tre anni - il ristorante Bazzini di Canneto Pavese. Portando avanti il lustro di un’insegna nata nel 1939 e ancor oggi punto di riferimento del territorio. Anche per questi agnolotti tondi in taglia maxi: sette centimetri di diametro e un ripieno che si aggira sui 35-40 grammi. Contemplando carne di manzo stufata, grana padano e uova. Bata lavar ambasciatori del genius loci, tutelati dalla De.Co. e anche da una confraternita. Da consumare in brodo, per onorare appieno il religioso rito. Da assaporare asciutti, completati sempre dal sugo di brasato, per un ritmo più rock. Da non perdere al Bazzini? La giardiniera homemade, esibita anche in capienti e vistosi vasi; e lo stracotto al Buttafuoco. Altro nettare must dell’Oltrepò. Il tutto servito in uno spazio che ha fatto la storia, rinnovandosi e vestendosi di luce. E in estate? C’è la spettacolare terrazza con vista sulle colline.
Per sonni divini
Grappoli d’uva accolgono l’ospite nella hall. Sono quelli dipinti su una parete dall’artista Ugo Liberatore. Giusto per mettere subito le cose in chiaro. Comunicando l’innata attitude del territorio. Sì, sono turgidi acini a far bella mostra di sé all’ingresso dell’Hotel Italia di Stradella. Quattro stelle gestito dalla famiglia Scarani. Un albergo urbano proiettato verso la natura. Da scegliere per il suo legame con l’arte; per linea cortesia ispirata alla wine terapy; e per la colazione. Che fa attenzione ai prodotti tipici pavesi. Come le cimbelline di Broni, meglio note come brasadè, e le offelle di Parona, friabili frolle dalla foggia ovale e dalle estremità appuntite. Originariamente create da due sorelle paronesi - Pasqualina e Linìn Colli - sul finir dell’Ottocento.
Non da ultimo, l’hotel vanta una super attrezzata bike room. “Abbiamo pensato a tutto. Anche alla cura della propria bicicletta o della bici noleggiata”, spiega Simone Scarani. Mostrando la comfort zone dedicata alle due ruote. Dove poter fare un completo check-up del mezzo. E ripartire alla scoperta dell’Oltrepò.
Quelli che la Bonarda…
Quaquarini, Manuelina, Gazzotti e Valdamonte. E l’altra magnifica dozzina di cantine e aziende agricole? Eccola: Agriamo - Tenuta Elisabet, Bagnasco, Bisi, Calatroni, Calvi, Fiamberti, Giorgi, Gravanago, La Travaglina, Maggi, Montelio e Tenuta Fornace. Maison differenti che condividono un medesimo obiettivo. Parlando tutti la stessa lingua. E andando dritti verso la qualità. Senza compromessi.