“Nasco come operatore faunistico. Ma sono anche figlio di una mondina”. Non vi sono dubbi. Per Dino Massignani era scritto nel destino: coltivare riso in una riserva naturale. Cos’altro poteva fare se non unire geni, genius loci, formazione e una certa propensione a stare all’aria aperta? E così Dino segue il suo istinto, sposando una missione. E diventando il deus ex machina di un’azienda agricola come la Riserva San Massimo. Un’oasi di biodiversità nel cuore del Parco Lombardo della Valle del Ticino. A Gropello Cairoli, in provincia di Pavia.
Ottocento gli ettari complessivi della riserva. Di cui seicento di proprietà dell’illuminata famiglia Antonello. E solo un terzo destinati alla coltivazione del riso. Immerso in un contesto unico. Oltreché in un’acqua purissima. Certo. I campi vengono allagati a maggio e sono i 44 fontanili ad assicurare non solo una generosa irrigazione, ma pure un’adeguata nutrizione. Perché l’incontaminata acqua di sorgente - costantemente a una temperatura di 12 gradi -, scorrendo attraverso il fitto bosco, si arricchisce di sostanze organiche fondamentali per la perfetta crescita del cereale.
Acqua. Ma anche terra. Fertile e preziosa di torba. Nel corso degli anni, infatti, il fiume Ticino ha ridotto il suo flusso e modificato il suo corso, ritirandosi in direzione nord-ovest. Risultato? Un substrato generoso, ricco di microrganismi e resti vegetali. Un humus perfetto per il riso. Complice, se necessaria, una integrazione-concimazione a base di sostanze completamente organiche, quali sovesci, cippati e cornunghia, un mix di zoccoli e corna bovine, scartati dalla lavorazione della carne e recuperati per dar manforte alla pianta. “Utilizziamo anche le vinacce”, precisa Dino. “Sì, quelle dell’azienda vicentina Capovilla”.
Un riso che nasce e cresce in sinergia con l’ambiente. Anzi, che dialoga con l’ambiente. In perfetta sintonia con quello che gli sta intorno. Un universo in perenne equilibrio, in cui flora e fauna convivono in armonia. È sufficiente fare un “safari” in fuoristrada per scorgere daini e caprioli, aironi e ibis, fagiani e germani reali. Mentre nell’acqua si nascondono carpe, trote, tinche, anguille, vaironi e rane. Le camaleontiche rane, predatrici di quegli insetti che turbano e danneggiano il riso. Che invece necessita di silenzio e tranquillità. Una serenità anche data dalla folta vegetazione. Fatta di querce, pioppi e ontani. Basti pensare che la riserva vanta il più grande ontaneto d’Europa. Senza dimenticare i 90 chilometri perimetrali di alberi da frutta. “I frutti? Mica li vendiamo. Servono alle specie viventi che abitano la riserva, concorrendo al funzionamento dell’ecosistema. Il nostro mantra è tutelare, fino all’esasperazione, la biodiversità”, ribadisce Massignani. Che, non a caso, lavora in un luogo riconosciuto dall’Unione Europea come Sic: sito di interesse comunitario a protezione speciale.
Così come speciale è il riso che vi nasce. Carnaroli in primis. Sono infatti ben cento gli ettari - i migliori - destinati alla sua coltivazione. Un carnaroli autentico al cento per cento (e non varietà succedanee). Seminato agli inizi di maggio, raccolto a settembre-ottobre (il ciclo vegetativo è di circa 165 giorni) e avviato a una severa lavorazione. Passando direttamente dalla risaia alla cascina, per essere essiccato a bassa temperatura (per almeno 38 ore), grazie a un impianto a gas metano, capace di mantenerne inalterate le qualità. In seguito, il riso viene lasciato in relax in appositi silos areati; sottoposto a una lenta pilatura a pietra, selezionato puntigliosamente e confezionato in atmosfera protetta (con tanto di lotto ben evidente in etichetta). Per conservarne a lungo fragranza e profumo.
Un carnaroli genuino, virtuoso di potassio e di vitamine del gruppo B. Proposto anche in versione integrale, dall’aspetto più scuro e ricchissimo di fibre. A cui si aggiungono il rosa Marchetti e il vialone nano. Anche se è il carnaroli a far la parte del leone. Prediletto dai grandi chef e presente in innumerevoli ristoranti. Cesare Battisti del Ratanà di Milano lo ha scelto da molto tempo. Così come Federico Sisti dell'Antica Osteria il Ronchettino, Antonio Danise di Villa Necchi alla Portalupa di Gambolò e i fratelli Butticè de Il Moro di Monza. Per non parlare dei Cerea, di Carlo Cracco e di Davide Scabin. “E siamo presenti all’Enoteca Pinchiorri di Firenze. Ma il primo a sceglierlo è stato Enrico Gerli”, puntualizza Dino. Facendo riferimento al patron de I Castagni di Vigevano. Fiero di creare fantasiose preparazioni.
Ecco qualche esempio. Direttamente da una degustazione vissuta in loco. Nella conviviale sala da pranzo della tenuta, ma assaggiando piatti presenti nella carta dei Castagni. Per iniziare? La versione cruda dei mondeghili alla milanese: una pralina salata - servita nel pirottino - a base di impasto di salame, formaggio, prezzemolo e scorza di limone. Il tutto completato da riso soffiato. Per un effetto soffice e crunch.
Carnaroli integrale per la freschissima rilettura gerliana del risotto alla certosina. Tradotto in una primaverile insalata, ritmata da piselli novelli, salva cremasco, spiedino di lumache brasate, coscette di rana in panure alle erbe (crescione di fonte, finocchietto, menta e basilico), guazzetto di rucola e prezzemolo e vinaigrette al miele della riserva. In pratica, un riso contestualizzato nel suo habitat naturale.
Una cucina concreta quella di Enrico. Cha sa sempre esprimersi in leggerezza. Voilà il carnaroli integrale che torna: alla milanese al salto con bisque di crostacei, gamberi in fili croccanti e calamari fritti, avvolti da farina di riso nero. Il mare, pronto a incontrare le risaie.
Candido carnaroli invece per un risotto etico a tal punto da andar sotto il segno del “Chic Respect”: progetto, firmato dall’associazione Charming Italian Chef, di cui Gerli fa parte, che rende onore a sostenibilità, riduzione dei consumi e degli scarti e salvaguardia delle tradizioni. Celebrando ingredienti quali la cipolla di Breme, i peperoni della Lomellina, la passata di fagioli di Gambolò, lo stracchino lombardo e la polvere di peperonata.
In abbinamento, i vini di Prime Alture, la maison di Roberto Lechiancole. Che in quel di Casteggio ha costruito un wine resort orgoglioso di incoronare il pinot nero. “L’Oltrepò Pavese non è solo Bonarda”, ricorda Roberto. Che, nell’etichetta “Io per Te”, fa esprimere il vitigno del cuore in un superbo blanc de noirs, seguendo il rituale del metodo classico. E se con un bianco fermo quale il raffinato “Est” concede spazio a moscato (per il 60%) e chardonnay (per il 40%), con il “Pinot Noir Centopercento” torna al primo amore. Rosso ed elegantissimo. Servito da Luisa Rossi, moglie di Enrico e brillante regista della sala dei Castagni.
E per dessert? Gelato. Sì, ma preparato con il riso rosa Marchetti. Fatto cuocere per 45 minuti in acqua e per altri 15 nel latte di bruna alpina del Tex Ranch di Garlasco. Per poi aggiungere panna e miele millefiori della riserva. “Mi ricorda il riso e latte di mia nonna Esterina”, racconta Massimiliano Scotti, capitano della gelateria vigevanese VeroLatte. Maximilian, che realizza live la sua opera, complice l’azoto liquido. Una golosità che si è aggiudicata l’oro al concorso europeo del Gelato Festival 2017. E che continua a stupire per la sua immacolata genuinità.
Il consiglio? Quello di seguire la pagina facebook della Riserva San Massimo, per essere aggiornati su iniziative, escursioni ed eventi. Come la sesta edizione della “Raccolta delle ciliegie”, in programma per domenica 2 giugno, dalle 9.30 alle 17. Un appuntamento festoso, a tu per tu con risotti d'autore, prodotti di eccellenza e benefiche promesse: quello di devolvere il ricavato a favore dell'associazione Prato Onlus, che sostiene le persone colpite da disagio mentale. L'offerta è libera, a partire dai 30 euro (partecipazione gratuita per i bambini con meno di 10 anni).