“Lui è birichino, dispettoso, disubbidiente. Ma non è cattivo. Anzi, è educato. Cerca solo affetto e consenso. E poi è provocatorio e seduttore. Si vuol far voler bene. Desidera essere accettato per la sua diversità”, spiega Ondine de la Feld parlando del suo figliol prodigo: “Il Pestifero”. Un marchigiano dalla “frizzantezza soffice”, nato da uve verdicchio per il 70%, malvasia e sangiovese per il resto. Uno sparkling wine non eccessivamente sparkling. Imbottigliato poco prima che sia terminata la fermentazione del mosto. Per proseguire a fermentare in bottiglia, sur lie. Senza poi essere né sboccato né filtrato. Così da risultare un po’ mosso, torbido e sporco. Un ribelle buono. Dall’acidità spiccata, dalle note erbacee, agrumate e floreali e da un gradevolissimo hashtag #ammandorlato. Un millennial, prodotto seguendo gli antichi metodi contadini. “Certo, il nostro obiettivo è quello di tornare a fare cose ancestrali, ma con idee contemporanee”, dice madame de la Feld.
Ondine: architetto, designer, incontenibile creativa. Accento francese, studi al Royal College of Art di Londra, una linea di t-shirt divertenti e irriverenti - che va sotto il nome di Wave-o - e una vita in bilico fra Milano e Cingoli, nel Maceratese. Dove, con lo zio Stefano Aymerich di Laconi, guida la Tenuta di Tavignano. Fondata dallo stesso Stefano e dalla moglie Beatrice Lucangeli nei primi anni Settanta. Una maison-boutique di trentatré ettari vitati (e certificati bio dalla vendemmia 2018) in quelle Marche così introverse e appartate che se ne stanno fra la terra e il mare. Svelando il terroir ideale per dar vita al Rosso Piceno e al classico Verdicchio dei Castelli di Jesi. Ed è sul Verdicchio che Ondine e lo zio stanno puntando. Lavorando molto e sovvertendo regole e canoni. Sempre tenendo fede alla sartorialità. Complici il direttore di produzione Giulio Piazzini e l’enologo Pierluigi Lorenzetti.
Così, se da una parte si fa focus sull’eleganza, sull’autorevolezza e sull’energia mediterranea del Verdicchio, dimostrando, in un cru come il “Misco Riserva”, la sua innata capacità d’invecchiamento, dall’altra si indaga la versatilità di un vino che ha molto da raccontare. Anche ai giovani. Grazie a formule “nuove”, che attingono da vecchie tecniche di vinificazione. Ecco dunque una wine capsule come “I love Monsters”. “Sì, abbiamo voluto fare qualcosa di dissacrante. Persino nella scelta dell’etichetta”, ammette Ondine. Etichetta che è pop, rock, trasgressiva e pestifera pure lei. Di color fucsia acceso e dal messaggio forte e chiaro. Un’etichetta pink, un po’ punk. Creata dal giovanissimo graphic-designer Pietro Quintino Sella, studente al Pratt Institute di New York. “L’abbiamo voluta realizzare anche in una versione dorata. Decisamente più chic. Perfetta da sfoggiare a qualche presentazione glamour”. Quel che è certo? Non si tratta di un’etichetta timida.
Un vino differente “Il Pestifero”. Dinamico, volitivo e non convenzionale. “Integrale”, come precisa Ondine. Come purissimo e pochissimo manipolato è il verdicchio 100% battezzato “La Vergine”. Un nettare che stupisce e che sa dire “ooh”, mostrando senza timore la bocca aperta in etichetta. Un verdicchio che macera sulle bucce per circa un mese e che poi non viene né chiarificato né filtrato. Per rimanere così com’è: nel suo abito giallo dorato con riflessi ramati. Regalando un sorso minerale, ampio, piacevolmente astringente e amarognolo. Un tipo schietto e netto, casto e immacolato. Tutto d’un pezzo.
E poi? E poi ci sarebbe “Il Tonto” di casa. Per ora ottenuto da uve sangiovese, rimaste a lungo sulle bucce. Ma Ondine accenna una lieve titubanza. “Non è ancora come lo vorremmo. Ora proveremo con la lacrima di Morro d’Alba. Perché lui deve essere davvero un fuoriclasse”.
Insomma, vini-alimenti, in linea con gli stili di vita contemporanei. Che eleggono una dieta sana, genuina e bilanciata. Orgogliosa di metter da parte anche le farine “00” per privilegiare quelle meno raffinate e più ricche di fibre e nutrienti. Da qui l’idea. Perché non sposare Il Pestifero e “La Vergine” con le pizze della milanese Taverna Gourmet? Del resto, la filosofia non cambia. “Usiamo farine macinate a pietra, impasti a lunga e lenta lievitazione e spesso ci affidiamo alle fermentazioni spontanee”, spiega il pizzaiolo Vincenzo Masi. Brindisino. Che lavora gomito a gomito con un altro pugliese: lo chef laertino Leonardo Giannico. Certo, perché se Vincenzo si occupa degli impasti è Leo che pensa ai ricercatissimi topping. Mentre patron Davide Iannaco (di origini partenopee) supervisiona il tutto. Dividendosi fra La Taverna Gourmet - che è anche un Petra Selected Partner -, la storica Taverna di via Anzani e L’Altra Taverna di via Cadore.
Pizze un po’ fuori dalle righe - come “Il Pestifero” -, ma integerrime - come “La Vergine”. Servite in uno spazio anni Cinquanta, dagli abissali toni petrolio, innervati dal legno e dal metallo. Un ambiente - che porta la firma dell’interior designer Silvana Barbato - in cui il sotto dialoga con un soppalco, non dimenticando una saletta riservata. Al centro delle scena? Il forno a legna, ardente ribalta rivestita da preziose cementine toscane, con scultorea cappa in corian.
Per iniziare la degustazione? Impasto a fermentazione spontanea con sashimi di salmone, crème fraîche e lattuga di mare. Il Giappone, la Francia e il Mediterraneo in un abbraccio. “Preparo un poolish con segale e acqua fermentata di mela. Lo lascio riposare per 24 ore e poi aggiungo Petra 1, la farina macinata a pietra di Molino Quaglia”, spiega Vincenzo, raccontando un impasto dalla fragranza straordinaria.
Impasto “spontaneo” anche per la pizza con stracciatella di Barletta, tartare di scampi e foie gras al pepe nero e Champagne. Il latte e il mare, la rusticità e l’aristocrazia sintetizzati in una pizza. “In questo caso lavoro con la pregelatinizzazione degli amidi, affidandomi all’integrale Petra 9. Per poi arricchire l’impasto finale con segale e Petra 1”, precisa sempre Masi.
Cambio. Impasto marino al nero di seppia. Complici il lievito naturale liquido (il cosiddetto licoli) nonché la miscela “Più Ricca” (con farine di avena e segale) e la “Più Snella” (con farina di farro integrale, farina di soia e crusca di grano tenero tostata) by Petra. Una base grintosa, ma senza sale. “Ci metto l’acqua di mare alimentare”, puntualizza il pizza chef. Mentre Leonardo completa il tutto con la cremosità della stracciatella, l’amaricante tenacia delle puntarelle e l’onda sapida delle alici del Cantabrico. Chicchi di melagrana per un tocco di dolcezza.
Base noir anche per la pizza che elegge al top carpaccio di ombrina marinato in sali bilanciati, guacamole, purea di barbabietola, armelline e maionese vegana al latte di mandorla. "Il Pestifero" acconsente.
Ecco poi farsi avanti l’impasto bio. In ideale accordo con il tipo di agricoltura praticata dalla Tenuta di Tavignano. “Vogliamo comunicare il massimo della semplicità. Utilizzando le farine 1110 e 1111 della linea bio di Petra e inserendo nell’impasto l’extravergine dei Premiati Oleifici Barbera di Palermo”, commenta Vincenzo. Intanto Leonardo posiziona capesante al burro, scarola, olive taggiasche essiccate e pinoli tostati.
Base bio pure per la pizza al fiordilatte di Agerola, cipolla caramellata al Negramaro, tonno del Mediterraneo crudo (marinato in salsa ponzu), mandorle bianche tostate e cetriolo in osmosi con succo d’arancia. "La Vergine" concede la quintessenza del Verdicchio.
“Ma preparo anche un impasto prezioso di cereali”, dice Masi. Che unisce la “Più Ricca” e la “Più Snella” a Bonsemì, una miscela virtuosa di semi di girasole, lino, sesamo e miglio. Una base vigorosa, ottima per dar vita a “La Martina”: un inchino alla Puglia di chef e pizzaiolo. Dunque: stracciatella di Barletta, capocollo di Martina Franca, pomodoro datterino confit, peperone crusco sbriciolato e caciocavallo di Laterza.
Base terragna - alla farina di farro monococco bio e Petra 9 - infine per la pizza con tartare di chianina al sale e pepe. Cui concorrono stracciatella e fiordilatte (a interpretare la parte delicata) e il blu di bufala a dar la sterzata. Mango in agrodolce a donare un accenno acido.
“Ci vogliamo pensare bene. Ma mi piacerebbe proporre un impasto pestifero. Usando il vino della Tenuta di Tavignano”, chiosa Davide Iannaco. Noi ce lo auguriamo.