“Molti si saranno chiesti perché abbia voluto trasferire la sede del mio ristorante. Per un puro motivo passionale. Perché la bellezza di un cambiamento va oltre ogni cosa. E supera persino eventuali arrabbiature”. Tano Simonato è sereno nella sua nuova “casa”: in via Francesco Petrarca 4, sempre a Milano. Sereno perché sentiva il bisogno di cambiare. E ha cambiato. Sereno perché sa di aver lasciato la sua sede storica in buone mani: quelle della giovane e talentuosa Sara Preceruti, pronta a proseguire l’avventura del suo Acquada. Complice il rassicurante supporto di un mecenate come Simonato.
Uno spazio di classe quello che accoglie il new Tano passami l’olio. “Ho lavorato su pochi elementi. Concentrandomi sul bordeaux e sull’oro. E poi sul calore del legno e del parquet, sulla leggerezza del vuoto delle nicchie e sull’evocazione di cornici che incorniciano altre cornici”, spiega Maria Marseglia, dello studio di architettura Marseglia-Giraldo, che ha progettato la sapiente ristrutturazione. Dando respiro all’eleganza del silenzio di sale intime e riservate. Che contano un totale di 34 coperti. Ambienti ovattati, ai quali si aggiunge un luogo che parla ancor più sottovoce: la cantina. Regno di vini celeberrimi e di etichette meno note, di raffinati distillati e di un'ampia selezione di olio extravergine. La grande passione di Tano. “Perché l’olio extravergine mi permette di essere ancor più metateista”.
Metateista? “Sì, mi sono reso conto di fare da sempre cucina metateista senza sapere che lo fosse. Una cucina che prende linfa dal passato per proiettarsi nel presente e nel futuro. Una cucina che interpreta e legge la tradizione in modo contemporaneo”, precisa Tano. Folgorato dall’incontro con Davide Foschi, fondatore di un movimento che va sotto il nome di Metateismo, avanguardia culturale e artistica del terzo millennio che accende i riflettori sull’uomo, sulla sua essenza e sulla sua capacità di trasformare la materia, indagando ogni possibile connessione fra la terra e il cielo, il profano e il sacro, l’effimero e il divino, il basso e l’alto, il sotto e il sopra, il qui e l’oltre. Davide e la compagna Rosella Maspero lo chiamano Nuovo Rinascimento. Ossia una rinascita, un risorgimento, un rinnovamento. Un ritrovato senso di meraviglia. “Una presa di coscienza del fatto che tutto abbia un’origine. Da cui prende forma l’originalità. Perché se io colgo l’origine saprò fare qualcosa che ha la virtù di non imitare nessuno”, spiega Foschi. Che intanto crea. Dipingendo.
E sono proprio i dipinti di Davide Foschi a impreziosire il ristorante di Tano. “Questo è il primo tempio metateista. Un ristorante-museo, in cui la cucina incontra l’arte, coinvolgendo tutti i sensi”, continua l’artista. Che nella personalissima e Ultima Cena (in mostra sopra un tavolo, quasi all’ingresso) si concentra sulla luce, metafora della voce, che si espande, illuminando il tutto. Mentre i colori invadono altri quadri, regalando un’onirica dinamicità a un salotto minimale. Dove lo chef propone la sua cucina. Sempre con l’adorata Nadia Zoetti al suo fianco. Superba maestra di accoglienza, affiancata dalla sommelier Gianina Nemtanu. “Senza Nadia sarei un uomo perso. Mi dà gli stimoli giusti per fare quello che faccio e per continuare a sorprendere”, ammette il cuoco. Che non dimentica la sua brigata e il suo fido sous-chef: Stefano Ceriani. “Lui ormai ha preso filosoficamente le mie sembianze. A volte può addirittura migliorare un piatto. Altre volte no. Ma non importa. Io costantemente scrivo, disegno, immagino una pietanza. Poi mi confronto sempre con i ragazzi. Li faccio parlare. E li ascolto”, racconta democraticamente Simonato. Che, intanto, firma con Foschi il Manifesto della Cucina Metateista.
Sette “comandamenti” che tengono fede a uno spirito “evoluzionario” (e non rivoluzionario) della cucina. Che sa cogliere l’attimo in movimento. Che sa prendere energia da qual che è stato per nutrire nuovi visioni. Che sa trasformarsi senza tradire il passato. Una cucina aperta, variegata, polifonica. Rispettosa del genius loci, ma propensa alle contaminazioni culturali e alle inedite alchimie. Una cucina libera: da confini geografici e da dogmi limitanti. Una cucina che considera l’intero iter del cibo: da chi lo produce a chi lo consuma. Una cucina fiera di divenire essa stessa “un’esperienza iniziatica, un percorso e un viaggio, con un principio ed una fine”. Affinché “ogni ricetta sia un’opera, un racconto, un concerto, un poema”, come si legge nel manifesto. Che fa focus anche sulla sinfonia e sulla consapevolezza dell’assaggio. Sul rispetto e sulla sacralità del cibo, sull’armonia della condivisione e sulla sostenibilità della tecnica e della tecnologia. “Che sono messe al servizio degli ingredienti. Perché nel cuoco vi deve essere sempre la volontà di fare bene”, puntualizza Gaetano. Che dà vita a una carta concreta, materica e coerentemente metateista.
Voilà l’uovo. Fonte, sorgente, origine, inizio. Emblema della nascita. Uovo di cristallo, con albume, patata, grana padano, riso nero, oro e tartufo. Uovo poché, fra trame d’asparagi e tessuto di parmigiano e patata. Uovo di quaglia caramellato, con corredo di cilindri di patata, crème brûlée di grana padano, farina di porcini e champignon, champignon disidratati e tartufo glassato al tartufo. E ancora, maionese di albume all’olio extravergine con capesante caramellate, corallo e riproduzione di fave. Nonché uova di zucca con quaglia al miele, verza piccante e crumble al caffè.
Uovo che torna. Anche in un primo piatto: spaghetti alla chitarra ripieni di bottarga di uovo di gallina in crema di burrata, grana padano, pomodori canditi e bottarga di tonno. Mentre gli agnolotti si tuffano in un brodo di cappone; il riso carnaroli si lascia cuocere in un brodo di menta per poi sposare agnello, farina di menta e melagrana; la lasagnetta strizza l’occhio al vitel tonné; e i ravioli di astice e mozzarella si rilassano su una spuma di carota e su una spugna di fave di cacao.
Una cucina olistica quella di Tano. Inclusiva. Che va nel bosco, nell’aia e nel cortile. Non dimenticando il mare e le erbe aromatiche. Sella di capriolo laccata nel suo fondo, miele e timo, topinambur e biscotto al timo. Piccione al miele di tiglio, croccante di chiodini, spugna di tartufo nero e rocher di zucca candita. Anatra laccata alla melagrana col suo fegato, carciofino sott’olio e la sua clorofilla. Filetto di pata negra in crosta di fave di cacao e nocciole con zucca affumicata e verza. E zuppa di seppioline al rosa con pomodoro, ricotta, origano e cannella.
Ricotta che finisce pure nei cannoli: un dessert cult, un inno alla mandorla datato 2010. Sì, perché accanto a ogni portata compare il suo anno di creazione. E gli altri dolci? Sono tutti millesimati 2019: soufflé glacé al cioccolato e Amaretto di Saronno con zuppetta di caramello al mango; pera al Porto, mousse di mandarino candito, frolla al cacao e olio evo; e cestino di patata con gelato alla mora, meringa di patata, pistacchio sabbiato, sfera d’isomalto ripiena di chantilly, caviale di lamponi ed extravergine. L’eterna ed evergreen firma di Tano. Che propone anche una evo experience fra Milano e il resort di Borgo Pulciano, nella perugina Montone. Dove segue il ristorante L'Olio di Borgo Pulciano. Con la sua inarrestabile brigata.