Lui è uno di quelli che ha deciso di non fare più così. Come faceva suo padre Enrico. Che, coi fratelli Giuseppe e Vittorio, aprì Cuore Napoletano a Marano Vicentino: il 2 marzo 1970. Fuori dalla Campania, lontano dalla terra patria e chilometri e chilometri dalla natìa Agerola. “Io sono cresciuto in pizzeria con mio padre. Ho imparato da mio padre. Poi, a un centro punto, si è insinuato un dubbio interiore. Che mi ha condotto a un bivio”, confessa Luca Brancati: classe 1976 e fiero capitano dell’attuale Cuore Napoletano. Stesso posto, stesso mare... di campi di mais.
“Andai a un corso tenuto da Simone Padoan all’Università del Gusto di Vicenza. E capii che io ero rimasto all’era dei Flintstone, mentre Simone viveva la sua Odissea nello spazio”. Da lì l’amletico dilemma. Cambiare? Non cambiare? Perché cambiare? Cosa cambiare? Come cambiare? Poi, la frequenza di tutti e tre i livelli dell’Università della Pizza di Molino Quaglia, a Vighizzolo d’Este, la variazione di rotta e la virata definitiva. Con il supporto della moglie Anna Salamida, sorridente direttrice di sala, e pure con il benestare di papà Enrico. Dunque? Riflettori accesi su stagionalità e qualità degli ingredienti. E ancora, la biga, le prime modifiche sugli impasti, il lievito madre. “Io vivo col lievito. Lo devo annusare. E quando, a ogni rinfresco lo vedo mutare, mi sento sempre più parte di lui”, ammette Luca. Oggi appassionato e orgoglioso del suo lavoro come non mai.
Luca, che è diventato un Petra Selected Partner. Luca, che è passato dalla farina “00” a un concetto di pizzeria 4.0. Sempre utilizzando il forno a legna ma eleggendo a protagoniste le farine macinate a pietra firmate Petra. Capaci di coniugare la memoria molitoria con la tecnologia più avanzata. Luca, che lavora dietro il bancone ma a strettissimo contatto col cliente. Perché tutto è a vista. Tutto è live. Tutto è in diretta. Luca, che ha reso moderno ed essenziale il suo locale. Lineare, geometrico e minimale, con la purezza del bianco a dialogare con i cuscini e i bicchieri colorati. Luca, che con coraggio ha studiato e guardato avanti, senza più voltarsi indietro.
Cinque gli impasti in carta. Cinque interpretazioni della pizza. “Perché ogni pizza ha il suo credo, le sue farine, le sue consistenze, i suoi ingredienti e i suoi abbinamenti”, spiega mister Brancati. Che a seconda della base costruisce il topping. Su misura. Sartorialmente. “Certo. L’integrale ha bisogno di una farcitura decisa, grintosa, terragna. Mentre l’impasto più croccante necessita un condimento più tenero e delicato”, precisa il pizza chef. Facendo palese riferimento alla “Fa Crock”. Segni particolari? La fragranza esterna e la morbidezza interna, dovuta all’alta idratazione (85%), alla lunga maturazione e alla duplice cottura. Una pizza rock, servita a cubotti e preparata con Petra 1 e Petra 9, la “tuttograno” dei mugnai Quaglia. Da provare: “La Caponata”, con burrata di Putignano, lonza di maiale al forno, caponata di verdure (e albicocca essiccata) e olio alla senape. Mentre “La Siciliana” preferisce dadolata di pesce spada spadellato, julienne di zucchine e olio al timo; e “L’Agrumata” dà via libera a caprino, salmone Loch Fyne e pompelmo rosa.
Più soffici, ariose e vaporose invece le pizze che vanno sotto la dicitura di “Come una nube”. “Mi sono voluto ispirare all’impasto della ciabatta”, dice Luca. Che serve le sue “nuvole” a spicchi, figlie di un impasto che prevede Petra 1, Unica (la 5037) e la Panettone. Voilà la “Intrigante”, con burrata di Putignano, polvere di barbabietola e caffè, melanzana fritta e cappero croccante di Pantelleria. Ma ecco pure “La Carbonara” con uovo marinato, guanciale crunchy, scaglie di pecorino romano e pepe nero; e “Il Porcino”, con cacioricotta del Cilento - un Presidio Slow Food -, tagliata di porcini crudi e macinata di pepe nero.
E per i Petra 9 addicted? “Gambero al Lambrusco”, con gambero rosso crudo del Mediterraneo (a fine cottura, naturalmente), riduzione di balsamico al Lambrusco e bietole. Oppure, la “Ceci e Polipo”, con fiordilatte di Alberobello (del caseificio Artelat), crema di ceci, polpo scottato alla piastra e miele millefiori di alta montagna.
Ma non mancano le grandi classiche. Rilette in doppia chiave: impasto “Contemporaneo” e impasto “Verace”. Diametro di circa 32 centimetri per il primo; diametro di 28 centimetri per il secondo, con un bordo decisamente pronunciato. Variegata la scelta. “Fichi e Capocollo”, per esempio, con la complicità del conciato romano di Manuel Lombardi (dell’azienda agrituristica La Campestre, di Castel di Sasso, nel Casertano) e del capicollo calabrese azze anca grecanico. Entrambi Presidi Slow Food. Come del resto lo sono la cipolla di Alife di Antonietta Melillo e la papaccella napoletana di Vincenzo Egizio. Che Luca unisce alla menta e alla ’nduja di suino nero calabrese. Mentre il prosciutto cotto di mora romagnola di Zivieri incontra la mandorla di Noto. “Il prosciutto crudo, invece, lo serviamo sempre a parte. Affinché non si scaldi troppo”, aggiunge Anna. Che va fiera pure della “Sapori del Sud”, un po’ un ritratto di Luca: pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino, pomodoro ciliegino, burrata, melanzana fritta - un must della famiglia Brancati -, cappero croccante di Pantelleria, olive taggiasche e basilico. Intensa e vera.
Ma il pizzaiolo adora anche fare il pane. “Quando lo vedo lievitare e cuocere mi reputo soddisfatto”. E così mette le mani in pasta. Preparando pani e pagnotte (da 800 grammi) alla segale, al farro monococco, alla semola di grano duro. Per poi venderli al banco. Nonché proporli in accompagnamento a qualche piatto della cucina. Come il pesce al vapore con patata bollita, capperi di Salina, pomodorini e olive taggiasche. Pietanza che in carta compare poco dopo la pizza fritta con San Marzano e mozzarella di bufala campana. Da non perdere assolutamente.
E nei calici? Birre. Selezionate con gran gusto e attenzione. Vedi la “Lilith” del birrificio lucchese Brùton. Un’ambrata di carattere, strutturata ma fresca, dalle note agrumate e resinose e dal finale amarognolo. Ma ottime sono pure le belle spumeggianti di Casa Veccia, il microbirrificio di Ivan Borsato, nel Trevigiano. Da assaggiare? La “Special”: una Vespa in etichetta e una personalità che sta in equilibrio fra note speziate di pepe, cannella e chiodi di garofano. Mentre la sorella “Formenton” corre a metà strada fra una weiss e una blanche, fra il grano e i sentori di buccia d’arancia e coriandolo. Ma da sperimentare sono pure la vivace “Rock’n’Roll” di Baladin, nonché la chiara e fruttata “La Mancina” del Birrificio del Forte (di Pietrasanta). Che presenta pure la “Cento volte Forte”, creata per il centenario della nascita del comune di Forte dei Marmi. Una wit impreziosita da scorze di bergamotto, arancia amara e coriandolo.
Saggio Luca, in tutte le scelte che fa. Tenendo sempre fede al motto: “I complimenti fanno dormire. Le critiche aiutano a migliorare”.