Si sono seduti alla mia sinistra. L’anno scorso Vinod Sokar: all’Aqualux Hotel Spa & Suite di Bardolino. Quest’anno Terry Giacomello: al Regio Patio, l’eden gourmet dell’Hotel Regina Adelaide di Garda, sulla sponda veronese del lago. L’occasione? La stessa: una manifestazione ormai giunta alla sua nona edizione come Fish & Chef. Da anni impegnata nella valorizzazione delle eccellenze del Benaco. Chiamando all’appello chef di grande autorevolezza. Come Vinod, che con la moglie Antonella tiene il timone del ristorante stellato Al Fornello da Ricci, a Ceglie Messapica. E come Terry, alla regia della cucina - anch’essa illuminata da un astro Michelin - dell’Inkiostro parmense: insegna facente parte dell’associazione Le Soste e di Chic - Charming Italian Chef.
Sì, Inkiostro con la “k”. Anche perché associare a Terry un fattore “x” sarebbe sin troppo banale. Lui è un cuoco fuoriclasse. Un fiume in piena. Uno a cui le etichette vanno strette. Uno che rompe gli schemi. Osando, senza mai risultare banale. Della serie che il lungo periodo da Ferran Adrià si fa notare. Così come una mentale dinamicità data dallo switchare dall'una all'altra kitchen del mondo: da quelle francesi di Marc Veyrat e Michel Bras a quella nordica del Noma, sino a quella brasiliana di Alex Atala e a quella spagnola di Andoni Luis Aduriz. La formazione non gli è certo mancata. Ma poi lui ci ha aggiunto un estro tutto suo. Fatto di istinto, talento, dedizione, precisione e testardaggine. Quella che conduce al risultato.
Nasce così una cucina energica e vigorosa. Che colpisce. Come un fulmine a ciel sereno. O come un arcobaleno dopo il temporale. Una cucina sorprendente e inattesa, ma anche rassicurante e rilassante. Dipende. Indubbiamente mai noiosa e ridondante. Perché Terry - classe 1969 e friulano di Aviano - è un inquieto e instancabile osservatore e ricercatore. “Ci ho messo diciotto giorni di prove su prove per mettere a punto il tagliolino al bianco d’uovo con tartufo e parmigiano. Non tanto per la salsa, quanto per la consistenza del tagliolino stesso”, svela Terry. Che per aprire il menu degustazione di Fish & Chef propone proprio il vellutato e candido tagliolino. Tuffato in una fonduta di parmigiano reggiano di 24 mesi, con caviale di tartufo nero e rosso d’uovo. Dopotutto il tuorlo non poteva mancare. Ma invece che finire nella pasta va dritto nel condimento.
Un gioco di inversione di ruoli perfettamente riuscito. E Leandro Luppi, deus ex machina della kermesse insieme a Elvira Trimeloni, dà il suo benestare, facendo persino la scarpetta con una pagnotta preparata con le farine Petra 1 e 9 di Molino Quaglia. Accomodato a una tavola imperiale. Presieduta da Annalisa e Giuseppe Tedeschi. Sommi e autorevoli padroni di casa. O meglio, di una villa Liberty nutrita di bellezza e di un ristorante-salotto prezioso di arredi antichi, di trompe l’œil e di vetrate luminose affacciate sul loggiato e sul giardino. Addetti alla regia? Il carismatico direttore dell'albergo Stefano Barbieri e il sommelier Nicola Bonera.
Un piatto-firma il tagliolino, suggellato dal Rosé sans année metodo classico di Costaripa, la maison di Moniga del Garda - nella bresciana Valtènesi - condotta magistralmente da Mattia Vezzola. Un nettare elegante e fragrante, ottenuto da uve chardonnay (per l’80%) e pinot nero (per il 20%), ideale anche con l’entrée sempre siglata da Terry: una piadina-taco con ricotta e sfilacci di cavallo.
Mentre ad Andrea Costantini - chef resident del Regio Patio ed executive di tutta la proposta ristorativa del Regina Adelaide - il compito dell’aperitivo. Ritmato da olive denocciolate e ripiene di caprino; crostini di salmone del Danubio con brunoise di ortaggi e radici in agrodolce; e spiedini di diaframma di garronese veneta della macelleria Sartori (di Brenzone sul Garda), laccati alla saba e presentati con origano cubano su pane carasau dei Fratelli Mannu di Bitti, nel Nuorese. Sì, la moglie di Andrea è sarda. E un po’ di famiglia lui la mette anche nel piatto.
E dopo incipit e tagliolino? Voilà la zuppa di olio del Garda con coregone (di Trota Oro) marinato e affumicato, kefir, sambuco e fiori di cetriolo. “Il mio omaggio al lago”, dichiara Giacomello. Che usa l’extravergine "Uliva" (monocultivar di casaliva) dell’Agraria Riva del Garda, iconica cooperativa trentina che conta circa trecento soci. Una portata raffinata, in cui il coregone assume toni nobili e delicati, senza perdere la sua essenza di pesce lacustre.
In abbinamento? Il "RosaMara" by Costaripa. Setoso figlio di un poker di vitigni quali groppello, marzemino, sangiovese e barbera. “Un vino che sta bene con tutto”, ama sottolineare mister Vezzola. Esaltando la versatilità di questo nettare brillante e suadente, dal color cipria e dalle leggere nuance di biancospino, amarena e melagrana. Che al palato regala persistenza e sapidità.
Un aristocratico rosato della Valtènesi, che ben accompagna pure la biavetta (by Felicetti) al brodo di pane tostato, gelatina di pomodoro, maionese di mozzarella, spaghetto all’acqua di aglio e timo portoricano. Una pasta risottata, fra memorie d'infanzia e adulte evoluzioni.
Poi? La carne. La garronese veneta. Ma non il filetto, bensì la coscia. A conferma della bontà di questa razza dalle sottili fibre muscolari, allevata sul Monte Baldo. L’antitesi del waguy, ma altrettanto tenera. “La qualità del prodotto va oltre il taglio della carne”, precisa Luppi. E Terry procede nella cottura: prima sottovuoto e poi in padella. Per completare il tutto con bulbo di zenzero, mosto di carrube e tumburi, cuscus vegetale a base di amaranto e quinoa.
Nel calice? Un rosso. Che riprende i quattro vitigni del RosaMara per dar vita a un’etichetta come il "Campostarne". “Viene dal luogo in cui mio padre cacciava le starne”, ricorda Vezzola. Che non dimentica l’origine di questo vino. Nato da un progetto con Christiaan Barnard, a sostegno della sua fondazione. Perché? Perché: “Una persona che beve due bicchieri di vino rosso al giorno aiuta il suo cuore a stare meglio”, disse Barnard. E Mattia esegue, producendo questo nettare rubino dalle note di marasca.
Col dessert arriva invece un passito arditamente pink: Il "PalmArgentina", ottenuto da uve surmature di groppello e marzemino, con una piccola integrazione di moscato rosa. “L’ho voluto dedicare a mia mamma, per i suoi ottant’anni. E l’ho voluto chiamare come mia mamma”, spiega Vezzola. Orgoglioso di questo vino da dessert a bassa gradazione alcolica, dai ricordi di anguria, melone, fragola e lampone. “In pratica, l’armonia nella semplicità”, conclude Mattia.
Mentre nel piatto giunge la creatura di Terry: longan (frutti orientali, cugini dei litchi) ripieni di panna sbattuta, succo e petali di papavero. La delicatezza della primavera tradotta in prelibatezza.
E quando tutto par volgere alla fine… ecco altre due sorprese. A partire dal caffè, targato Omkafè. Realtà artigiana di Arco che presenta il suo Etiopia Sidamo della cooperativa Bokasso con camomilla della Valle di Ledro e zafferano del Baldo. “Volevo un caffè da bere, che somigliasse più a un drink che a un espresso”, rivela Lorenzo Martinelli, direttore generale dell’azienda. Che prepara la bevanda noir con il sistema di estrazione a filtro Chemex. Nasce così uno slow coffee piacevolissimo, floreale e aromatico.
Ideale prologo al gin. Fiero di assumere i natali italiani. “Trovavo che il gin fosse un modo di bere troppo secco. Poi ho cominciato ad assaggiare i cosiddetti modern gin, più morbidi e facili”, dice Marcello Bruschetti, titolare di Enoglam, maison bresciana specializzata in distillati luxury. “E visto che avevo già reinterpretato la vodka utilizzando uva e vino, ho pensato di realizzare un gin mediterraneo. Sempre partendo dal vino”. In questo caso uno chardonnay. Una base wine alla quale sono state aggiunte una serie di botaniche tipicamente made in Italy. Il risultato è l’Italian Gin della linea OdeV: sensuale, solare e complesso. La cui sapidità è data dal cappero; la parte agrumata è regalata da chinotto, cedro, bergamotto e buccia d’arancia essiccata; la nota aromatica è conferita da cardamomo, karkadè e rosmarino essiccato; e la sensazione morbida è concessa da bacche di vaniglia, uve di moscato passito e camomilla essiccata. Un gin voluttuoso, da sorseggiare. Ma anche da spruzzare. Su un cocktail, su una pietanza e persino sulla pelle. Proposto in due versioni: white e black. Il primo arricchito da un ingrediente come il fico. Il secondo da un’affumicatura al rosmarino. Per due fragranze uniche.
Foto gallery by Cristiano Cristofoli