Che a loro stia stretto il credo del “si è sempre fatto così” pare fatto assodato. Ne hanno dato prova nei settori della pizza, del pane e della pasticceria. Il perché è presto detto. Piero Gabrieli e Chiara Quaglia (rispettivamente direttore marketing e amministratore delegato di Molino Quaglia) hanno le idee chiare. Cambiano i tempi, le esigenze e gli stili di vita? E allora devono evolvere anche i prodotti, le proposte e i modi di concepirle. Nel solco di una dinamicità contemporanea in cui tutto muta e tutto si trasforma.
Persino un dolce smart come la frolla. Protagonista assoluta di una due giorni di full immersion in farina, burro, zucchero e uova. L’occasione? L’annuale edizione di Pastry Best, tuffo negli impasti e nelle idee firmato dal visionario molino. Che nella storica sede di Vighizzolo d’Este ha riunito una cinquantina di Petra Selected Partner per ragionare intorno all’universo della pasta frolla. E per cercare nuove vie d’espressione di un dolce pop indubbiamente molto rock. Capace di modulare la sua voce e i suoi accordi. Regalando vibrazioni insolite.
La quadratura dell’uovo… e della farina
“Il punto non è trovare la frolla ideale, ma indagare. Capire come utilizzando farine di diverso tipo, deboli o più forti, possano cambiare i risultati. Perché il chicco del grano è come una cipolla. C’è quello totale e integrale e quello che è stato privato degli strati esterni”, Giulia Miatto docet. E lei - dea ex machina dei corsi del molino - sa bene che ci sono farine dai chicchi super imbacuccati - con tanto di crusca e germe - e chicchi più spogli. Il bello? Sta nel provare questa o quell’altra farina, in modo da avere un ampio spettro d’indagine, tenendo conto anche della macinazione: a pietra o a cilindri.
Ecco allora Petra 9, l’assoluta, l’integrale, l’italiana al 100%, macinata a pietra. Ma ecco pure Petra 5, di grano tenero italiano tipo “1”; la 1110 e la 1111, biologiche entrambe, di tipo “0” la prima, di tipo “1” la seconda; nonché la 6320, la “00” di famiglia, dalla fine granulometria. A cui si aggiunge la più ancestrale della gamma, quella di farro monococco bio (la 0415, per dirla coi numeri). Non dimenticando la complicità del grano saraceno germinato e dell’avena in fiocchi, nonché di una miscela di farina e semi quale la Bonsemì (la 3220). “Perché i semi donano friabilità senza un’eccessiva aggiunta di burro”, spiega la saggia Giulia. Che ricorda anche come le farine più ricche di crusca siano anche le più gustose. E concedano la possibilità di usare meno zucchero e burro.
"Frolla in forma"
Già il titolo dell’appuntamento la dice lunga. Sulla perfetta silhouette del dolce della tradizione e sulla sua corretta informazione. “Sottolineando che la geometria è importante tanto quanto il contenuto. Forse anche di più”, dichiara Piero Gabrieli. “Perché la frolla non è una cosa semplice”, aggiunge madame Quaglia. E necessita di un approccio scientifico. Come quello iniziato (nel 2013) e portato avanti dal professor Davide Cassi e dalla dottoressa Roberta Razzano. Prima, nel Laboratorio di Fisica Gastronomica dell’Università di Parma. Ora, nel Future Cooking Lab, fucina accademica di sperimentazione intorno al cibo. Anche nel suo inscindibile legame con il design. “Noi dobbiamo capire l’architettura della frolla. Perché la struttura influenza la percezione sensoriale”, spiega il luminare. Che per design del biscotto intende la somma di tutti i suoi elementi: dagli ingredienti al consumo, passando per lavorazione, formatura e cottura.
Fino all'ultima briciola
Del resto, anche un biscotto è un progetto e bisogna aver ben chiaro l’obiettivo finale. Lo zucchero, per esempio, conferisce un gusto dolce, ma determina pure durezza e croccantezza. “Che è una sensazione acustica, un rumore”, precisa il professor Cassi. “Una peculiarità che apprezziamo noi del Mediterraneo. I Paesi del nord prediligono le consistenze gelatinose”. Insomma, è tutta questione di ciò che si vuole ottenere. E se una maggior friabilità va di pari passo con una minor quantità di glutine e una buona presenza di burro, anche lo spessore gioca il suo ruolo. Più il frollino è sottile, più diviene friabile. “Un po’ come accade con un calice fine e con un vetro spesso. Il primo si rompe più facilmente”, puntualizza Cassi. E poi? C’è la variabile delle uova, che apportano proteine e liquidi. “E noi i sapori li sentiamo solo in presenza di acqua. Una bocca asciutta percepisce meno di una bocca umida”, Davide insegna. “Così come è importante la masticazione. Più un cibo rimane in bocca, più lo si ricorda a lungo. Una volta che il boccone è stato ingerito il gioco è finito. Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato”. Come dire che la memoria risiede nell’ultima briciola.
Questione di feeling... col caffè
E se la mission fosse quella di creare un frollino ideale per essere tuffato nel caffè? Bisognerebbe tener presente una serie di diktat. “Anzitutto, se si tratta di un espresso è necessario creare un biscotto che ben si adatti alla poca quantità del caffè e alla ridotta dimensione della tazzina”, prosegue il fisico gastronomico. Non trascurando il fatto che una struttura porosa sia più predisposta all’assorbimento e che un’elevata presenza di burro non giovi a un buon bagno della frolla. Senza dimenticare la personalità del caffè. Più spiccata è, più il biscuit deve tener testa al sapore della bevanda noir. Come la miscela brasiliana, morbida, rotonda e setosa, targata Nespresso.
Voce del verbo inzuppare
Un'azienda Nespresso che nel tempo ha saputo costruire la propria identità. Creando prima una fascinosa allure intorno al brand - con George Clooney a testimonial di un mondo fatto di sorsi lussuosi e seducenti - per poi passare a parlare di origini, di produzioni sostenibili e di massimo rispetto per l’ambiente e i coltivatori. Valori di artigianalità e di eticità in cui l’azienda ha sempre creduto. “Ma solo ora i tempi sono maturi per comunicarlo al meglio”, spiega Riccardo Zola, regional horeca representative di un marchio che ha saputo cucire addosso a ciascuno la propria capsula di caffè. A seconda delle preferenze, delle esigenze, dei diversi momenti della giornata e pure di un consumo più veloce o più lento. Come quello che vuol includere l’assaggio di un frollino. Meglio se rettangolare, ovale o romboidale, per permettere una minima presa e una massima resa nel tuffo. E meglio ancora se poroso, sottile al punto giusto, in grado di mantenere la sua integrità e dal gusto deciso. Come il frollino tondeggiante realizzato con Petra 9 (con l’aggiunta, volendo, di grano saraceno germinato e avena in fiocchi) e cotto a vapore (non a secco). “L’acqua allo stato gassoso non bagna. Ma al contempo non asciuga il biscotto, regala una cottura più omogenea e un colore brunito”, commenta Cassi. È nata la frolla perfetta. Fiera di onorare il verbo inzuppare.
Foto di Thorsten Stobbe