Basta annusarlo per capire che è speciale. Un impalpabile ombretto rosso che non serve a imbellettare gli occhi ma a deliziare il palato. Con un savoir-faire pieno, gustoso e per nulla spigoloso. Il blend Spicy Bomba-y è l'inchino all’India di Francesco Apreda, luminosissima stella Michelin dell’Imàgo romano. “Ormai sono anni che vado in questo Paese. Che ha davvero sviluppato l’arte di miscelare le spezie”, spiega Francesco. Pronto (talvolta) a lasciare (per poco) l'Hassler di Trinità dei Monti per raggiungere sia Mumbai che New Delhi, dove segue la consulenza dei ristoranti Vetro e Travertino (degli Oberoi Hotels & Resorts). E i viaggi hanno portato i loro risultati. Il mix di peperoncino, buccia di pomodoro, paprika dolce, semi di coriandolo e di finocchio, nigella, cardamomo, lime, galgant ha un potere seducente. Tanto nelle “Penne all’arrabbiata” quanto in un consommé umami oriented a base di funghi shiitake. Presentato a prologo della prima cena settembrina della serie Sette Spaghi, firmata ItaliaSquisita e organizzata nello Spazio Rossana Orlandi di Milano. Una galleria un po’ corte e un po’ serra, pensata per nutrirsi di cultura del bello… e del buono.
“È un brodo. Serve a fare da apripista”, precisa Apreda parlando della sua corroborante pozione magica. Servita quasi come un tè. Anche perché i “pasticcini” (insieme alle olive taggiasche, ai carciofini e ai peperoncini ripieni del Frantoio di Sant'Agata d'Oneglia) sono arrivati appena prima: un trittico di vegetali (cubici, sferici e cilindrici) lasciati in osmosi con un ventaglio di “aromi”. Carota: con zenzero e semi di coriandolo. Ravanello: con gin e lime. Daikon: con yuzu, miso e tartufo. Irresistibili bocconi-viaggi nelle intriganti alchimie del cuoco-speziale. Sì, perché la capacità dello chef è quella di creare, dosando le parti con sapienza, personalissime cuvée profumate. Incarnazioni colorate di dolcezza, piccantezza, amarezza, acidità e sapidità. Pur non prevedendo il sale. Una cucina di fusione e di contaminazione quella di Apreda, che miscela materia, estetica ed estasi. Concretezza e immaginazione. Lontananza e senso d’appartenenza al Bel Paese. In particolare a Napoli (dov’è nato nel 1974), a Roma (dove lavora) e a Milano (che adora).
E proprio una dedica alla Città Eterna è il mélange di Pepi & Sesami che è andato a impreziosire una pietanza dall’aura profondamente mediterranea quale il battuto di scampi e nevicata di mozzarella di bufala no H2O di TartufLanghe. Maison piemontese (di Piobesi d’Alba) che ha saputo rendere perfezione l’incanto della disidratazione. Per un delicato piatto-giardino di delizie. E la pasta? Come poteva mancare. Ritratta negli spaghetti Matt Monograno Felicetti alla marinara in black. Vista la complicità di black lime, olive itrane, nero di seppia e acqua di pomodoro assoluto. Della serie, l’essenzialità italiana in abito da sera.
Virava invece verso le terre indiane e cinesi il petto d’anatra in stile tandoori, traduzione nobile del più ruspante pollo, cui concorrono crumble al cacao, pak choi e albicocche secche. Mentre il carpaccio di melone caramellato con cardamomo nero e cioccolato Blond Dulce Valrhona dall’accento biscottato chiudeva la degustazione. Insieme al caffè Eletto Kimbo, realizzato con miscele provenienti da Brasile, Colombia e Kenya. Peculiarità? Una nuance acidula, accompagnata da sfumature di miele.
Nel calice? Due birre fuoriclasse griffate Baladin di Piozzo: la Metodo Classico, una “pas dosé” integralista, rifermentata in bottiglia, lasciata riposare lungamente sui lieviti e prodotta in soli 12.197 esemplari; e la Elixir, una birra demi-sec dal corpo ambrato, dal tono fruttato e dalla schiuma fitta, figlia di lieviti che provengono da quelli usati per gli Islay whisky. Ideale con l’anatra preparata dallo chef. In alternativa? Wine: l’elegante “Crognolo" della toscana Tenuta Sette Ponti, summa di sangiovese (al 90%) e merlot (al 10%). Nonché i nettari siciliani by Feudo Maccari: il Rosé (di nero d’Avola) e il Grillo in purezza, presentato pure nel mood mosso “Volé”. Per finire? Gin Giass & Tonica Scortese. Un must per chiosare una cena “speziale”. Per un vero saggio di botanica. Anzi, di botanicals.