Feel. Come sentire, toccare, percepire il territorio in maniera assoluta, profonda e totale. Ma anche come l’unione delle iniziali di Federico ed Elisa: Beretta e Forlanelli, marito e moglie, chef patron e maître sommelier del Feel Como, rifugio gourmet posizionato nel cuore della cittadina lariana. Uno spazio intimo e al contempo estroverso, con tanto di cucina a vista dalla strada (la lunga e centrale via Diaz), camino antico, mattoni nudi, pareti vestite di gigantografie (che hanno pure la funzione di pannelli fonoassorbenti) e tavoli in legno realizzati grazie al recupero di vecchi pavimenti. Un luogo materico, ruvido e liscio, sofficemente illuminato à la table dalle lampade Tetatet by Davide Groppi. Mentre a far da guéridon sono cassette di vino impilate ad hoc.
Un ristorante con le idee chiare e una feel-psophy ben precisa: “Fare una cucina dedicata e ispirata all’arco alpino”, spiega chef Federico. Che affonda i piedi nel Lario ma guarda anche un po’ più lontano. Accogliendo nel suo sguardo pure Lombardia, Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Ossia tutte le regioni attraversate dalle Alpi. “Che non vediamo come un limite geografico”, precisa il cuoco, “bensì come un forte legame territoriale”. Una visione ampia, dunque. Una prospettiva allargata su boschi, laghi, fiumi e torrenti. Con tutto il loro paniere di prodotti d’eccellenza, frutto del lavoro appassionato di contadini, allevatori, olivicoltori, viticoltori, pescatori. I cui nomi sono segnalati in modo dettagliato in carta, vicino a ogni portata. Affinché nulla venga lasciato al caso. Unica eccezione “fuori dal coro alpino” (ma senza stonare col credo artigianale) gli spaghettoni del pastificio agricolo marchigiano Mancini. Proposti rigorosamente in black: con aglio nero, piantaggine, lumache (dell’azienda Lumaga di Appiano Gentile) e le loro perlacee uova. Per un primo piatto in smoking, dedicato a gentleman e madame dai gusti decisi.
Pietanze dalla spiccata personalità quelle di Federico Beretta. Che già negli amuse bouche lascia tracce del suo alpe-pensiero Chic (sì fa pure parte dell’associazione Charming Italian Chef): raviolo al formaggio di capra con spuma di bruscandoli e brunoise di verdure; biscotto al grano saraceno e bitto con crema di patate ed erbette; chips di riso e frutti rossi, uova di trota, bottarga di lavarello, spugna di lattuga e pâté di lumache. Mentre pagnottella ai cereali, panini al vapore con menta e rosmarino e grissini alla lavanda accompagnano il burro d’alpeggio (dei pascoli comaschi di Val Rezzo) leggermente affumicato. Per un’irresistibile combo di bread & butter. Poi? Mounsieur salmerino (della maison trentina Trota Oro). Affumicato (quasi in diretta) pure lui. In un’avvolgente esplosione di menta e timo, freschezza e potenza wild. Complici rafano, lamponi e gel al sambuco. Intanto, lo storione (della comasca La Geretta) si fa tonné, in un omaggio lombardo-piemontese free meat. “Ma con un pesce d’acqua dolce che dà la sensazione della carne”, ribadisce Federico. Che abbina il lacustre fish a una salsa senza tonno (ma con uovo sodo, salsa di pollo, agone fresco, missoltino e colatura di missoltino), finendo con spugna di lattuga, polvere di capperi, gelato all’extravergine e caviale Ars Italica Calvisius Da Vinci.
“La prima volta che siamo usciti insieme siamo andati a sciare”, ricorda Elisa. Che Federico ha chiesto in sposa sotto la vetta del Cervino, nascondendo l’anello nello zaino. Dalla padella, invece, estrae il pesce gatto, per stufarlo con latte, nocciole e peperoni, farne una farcia e riempire superbi ravioli, preziosi di germogli montani che ricordano il sapore del curry. “È il pesce delle risaie di campagna”, precisa mister Beretta. Che non dimentica certo l’anguilla (alla bbq maniera, con barbabietola, mais, pioppini e patata arrosto), il cervo (in tartare, con terra al caffè, porcino grigliato, pimpinella ed erba fungo) e la quaglia. In due cotture: la coscetta stufata e il petto rosolato. Il tutto completato da polvere di speck, origano fresco e gel di albicocca. E nel calice? “Non certo un vino per tutti i giorni”, dice sommelier Forlanelli versando “Enosi” 2013 (riesling al 55% e sauvignon blanc al 45%) by Baron Di Pauli di Caldaro. Un vino vibrante ed emozionante, attrazione fatale fra due vitigni apparentemente opposti. Mentre nel bicchiere finisce l’acqua Valverde, figlia di una sorgente della Valsesia, alle pendici del Monte Rosa.
Per dessert, infine, un inchino ai mille voli dell’ape, necessari per produrre il miele di rododendro. Unito a mousse di rabarbaro, ricotta, polline e limone. In alternativa? Barbajada, versione innovativa dell’antica ricetta meneghina: un semifreddo alla nocciola e cioccolato, con mousse al caffè e aria di latte. E per chiosare senza tradire l’alpestre attitude? Liquore al pino mugo, acquavite di mela e rum white e aged by Roner di Termeno. Per sorsi ad alto tasso… alpino.