Sono local. Ma anche very global. Affondano le radici nella tradizione. Ma non dimenticano la loro internazionale vocazione. E poi hanno sangue misto. Ma un’anima purissima. Sono “sbagliati”. Ma assolutamente corretti e razionali. I loro nomi? Red Mùl e White Mùl, incarnazione della filosofia (e dell’enologia) in equilibrio sopra la follia dell’azienda Altùris, termine che, in gergo indigeno, indica proprio le colline friulane vitate. “Siamo a soli due chilometri dalla Slovenia”, precisa Marco Zorzettig - un cognome che è sinonimo di terza generazione nel settore - raccontando la sua vita di vignaiolo di confine. Sì, perché è lui che col fratello Massimo guida con passione la maison (di trenta ettari) a Cividale del Friuli. Che gode di un microclima unico, protetta com’è dalle Alpi Giulie e sfiorata dalle brezze dell’Adriatico. Una terra in bilico fra est e ovest, qua e là. E per questo dalla spiccata identità.
Così come caratterizzati da una grande personalità sono i due nettari che prendono spunto dalla tipicità per evolvere in genialità. Un bianco e un rosso capaci di sovvertire le regole e rompere i cliché. Senza tradire il passato social friulano: ossia l’abitudine di ordinare, al mattino, in osteria e in compagnia, un taj (calice) di mùl, dando vita consapevolmente a un vinicolo mix fra un vino bianco e un vino rosso. Per mitigare l’eccessiva tannicità e l’esagerata robustezza del rosso con la delicatezza e il tono floreale del bianco. Da qui la folle folle folle idea dei fratelli Zorzettig: creare un vinaggio. Sì, non un uvaggio. Per imbottigliare un’antica e saggia usanza. Riportandola in auge. E proponendola in una veste contemporanea. “Insomma, non abbiamo creato nulla”, dice umilmente Marco. Ma in fondo sa di aver messo a punto due fuoriclasse.
Ma il nome? Cosa significa Mùl? Vuol dire mulo: figlio di un asino stallone e di una cavalla. Che dell’asino eredita testa, tenacia e caparbietà. E dalla cavalla, forza, muscolatura e vigore. Dunque? Due vini che non si possono fregiare né della doc né della igt, ma che possono essere definiti varietali. Red Mùl: summa di Merlot all’80% - affinato in botti di ciliegio - e di Sauvignon al 20% - lasciato fermentare e affinare “sur lie” in botti di cemento vetrificato.
White Mùl: Chardonnay all’80% e Cabernet Sauvignon al 20% - messo a riposo in tonneau da 500 litri.
Due vini fuori schema. Due “canoni inversi”. Il rosso: brillante, rubino, scattante ed elegante. Fra nuance di ciliegia e sfumature di vaniglia. Poco incline all’invecchiamento e da servire fresco, anche come aperitivo. “Perfetto col pesce”, puntualizza Marco. Il bianco: ramato, intrigante, serioso, complesso e imponente. Indubbiamente più potente. Da proporre a temperatura ambiente e adatto a rimanere in bottiglia anche un lustro, senza perdere grinta. Insomma, tutto al contrario di tutto… quel che si pensa nel comune immaginario.
Due outsider presentati ufficialmente anche in maniera insolita. Abbinati ai piatti friulani oriented di Daniel Canzian: origini a Conegliano Veneto e piedi ben saldi nel ristorante di Milano che porta con fierezza il suo nome e cognome. Il merito? Quello di aver fatto un’inversione di marcia nel menu. Partendo da un riuscitissimo abbinamento col rosso, per poi proseguire con pietanze sposate all’insolito bianco.
Voilà il toc in braide - generalmente polenta gialla e Montasio - servito in tazza e in una versione più serica, soave e soffice. Traduzione: una polentina morbidissima, a base di mais biancoperla - che è pure un Presidio Slow Food - con fonduta di formai de mut dell’Alta Val Brembana, erborinato strachitunt della Val Taleggio e una salsa preparata con burro e farina grezza tostata. Ideale in tandem con un rosso estroverso come il Red Mùl.
E con il più sofisticato White Mùl? Cialzons di patate alle erbette fini: cotte dentro, fresche fuori. Tarassaco, prezzemolo, dragoncello, foglie di rapanello, ortica e spinaci. “Il piatto deve essere leggibile, insegnava il maestro Marchesi”. E Daniel, da buon proselito, ne persegue i principi. Completando il piatto con ricotta e nocciole.
Daniel che prepara pure una straordinaria guancetta di vitello brasata: cucinata nel vino bianco e non nel rosso. Accompagnata dai porri e… dal White Mùl naturalmente. Mentre meringhe, sbrisolona e ravioli di San Giuseppe, ripieni di pinoli e mela cotta, chiosano la sfilata di portate.
Curiose anche le etichette dei due folli friulani. Firmate dal giovane artista Natan Pirac, friulano pure lui. Pronto a ritrarre con tratto naïf un gufo accoccolato su una vite: che osserva il sole (nel White Mùl) e che guarda la luna (nel Red Mùl). Perché il gufo? Perché sin dall’antichità è un uccello simbolo di saggezza e sapienza, magico portatore di fortuna e buoni auspici. E questi due nettari - ora presenti nell’annata 2016 e prodotti in 10mila esemplari ciascuno - fanno davvero bene. Parte del ricavato della loro vendita - il costo in cantina è di 7,17 euro a bottiglia - va infatti all’associazione Wine Life Mùl. Che, in occasione della serata WineLife, devolve il tutto al Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, in provincia di Pordenone.
Un’azienda illuminata Altùris. Che vanta pure una cantina ad alta densità di tecnologia e design. Dove nascono gli altri gioielli di famiglia: dal “Grovis”, a base di ribolla gialla vinificata seguendo il metodo charmat, all’iconico Friulano; dal Traminer Aromatico al Müller Thurgau; dallo Chardonnay al Sauvignon; dal Pinot Grigio al Pinot Nero, dal Cabernet Sauvignon al Cabernet Franc; sino a giungere al Refosco dal Peduncolo Rosso e al Verduzzo, fra note di miele e frutta secca. Senza dimenticare lo spazio dedicato all’accoglienza: l’Agriturismo Wine & Beer, proprio vicino ai vigneti. Beer? Certo, perché gli Zorzettig bros sono pure i titolari del birrificio agricolo Gjulia di San Pietro al Natisone. Dove portano avanti un discorso fatto di acqua del Monte Mia, cereali di propria produzione, lavoro manuale e capacità imprenditoriale. Birre da assaporare in abbinata a piatti semplici quali il frico, lo stinco e il birramisù. Preparato con mascarpone, birra "Sud - Nera" e biscotti alle trebbie. Perché in campagna non si butta via niente.