La targa luccicante è lì. Quasi all’ingresso. Appoggiata su una vecchia vetrinetta da salotto. E porta scritto: Bottega Storica. Riconoscimento che sancisce l’entrata ufficiale nell’albo di tutti quegli “esercizi” che hanno scritto e continuano a scrivere la storia di Milano. Rispettando la tradizione, ma con una costante tensione all’evoluzione. Proprio come il ristorante Da Giacomo. In via Pasquale Sottocorno 6. Un must. Un’istituzione. Un’insegna iconica. Un esempio di memoria in perenne movimento.
Un luogo vintage, eppur moderno. Che alza la saracinesca nel lontano 1958. Più di sessant’anni fa. Ma non qua. Bensì in via Donizetti, accanto alla Camera del Lavoro. Per mano di un uomo venuto da lontano: Giacomo Bulleri, toscano, originario di Collodi, borgo medievale in terra pistoiese. Un cuoco. Un ristoratore. Un imprenditore visionario. Che negli anni Novanta si sposta nella sede attuale. E vi rimane. Plasmando un locale bello e affascinante. Progettato dall’architetto Renzo Mongiardino e dal suo allievo Roberto Peregalli. Uno spazio nutrito dal legno, da un verde rilassante e da un rassicurante senso di casa. Di casa borghese. Dove tutto parla di cura e di fatto per bene. Un luogo che piace. Anche ai vip. Visto che i suoi tavoli hanno conosciuto politici come Henry Kissinger, attori come John Malkovich e Brad Pitt e cantanti come Madonna e Bono Vox. Eppure? Sempre un'attitude domestica permane. E continua a permeare le sale. Dove mister Bulleri non può più gironzolare. Ma dove tutti lo amano ricordare.
Bulleri. Illuminato Bulleri. Che ha ricevuto l’ambitissimo Ambrogino d’Oro. Che, tassello dopo tassello, ha saputo costruire un dinamico puzzle. Che, partendo da un mattone, ha edificato un piccolo impero. Diversificando sapientemente e intelligentemente la proposta. E inanellando molti civici di Sottocorno, con il Bistrot (sempre al numero 6, accanto al ristorante “padre”), la Pasticceria e la Tabaccheria (al 5) e la Rosticceria (al 36). Creando una vera e propria comfort zone gourmande. Non solo. La sua forza è stata pure quella di colonizzare uno dei punti nevralgici della città: Piazza Duomo. Entrando col suo Giacomo Caffè a Palazzo Reale e con Giacomo Arengario nel palazzo che ospita il Museo del Novecento. Senza dimenticare la Versilia, terra amata dai milanesi. Conquistando così anche lei, grazie a Giacomo Pietrasanta. Una costellazione luminosa, oggi tenuta in gran lustro dalla figlia Tiziana, dal marito Marco Monti e da una squadra puntuale e affidabile.
“Ormai da quasi un anno tengo le redini delle quattro cucine del gruppo. Puntando tutto sulla semplicità e sulla materia prima. Che va toccata il meno possibile. Il nostro segreto? Quello di aver trovato un metodo e di averlo unificato. E poi in ogni insegna ho il mio braccio destro operativo”, spiega l’executive chef Emanuele Settel, nato a Roma ma cresciuto professionalmente fra Miami e Ibiza. Uno chef preciso e concentrato, che se all’Arengario può contare su Carlos Otoya Angulo, nel ristorante Da Giacomo si avvale del fido Domenico Di Gennaro. Che guarda negli occhi il mare.
Un po’ perché la grande vasca-vetrina col pesce è lì in bella mostra, appena si entra nel ristorante. E poi perché tutta la carta parla di mare, di sole e di Mediterraneo. Rimanendo con i piedi ben saldi per terra. Ossia mettendo in lista vivande dal genuino sapore casalingo, pur concedendo qualche divagazione contemporanea. Sempre nel segno della memoria in evoluzione. E in costruzione. Certo, perché anche non tradendo il passato si può dar vita a qualcosa di inedito. Come la nuovissima sala (e ala) alla sinistra dell’ingresso. Da riservare per eventi privati, oppure da vivere in una serata qualsiasi. Prenotando un tavolo, con la certezza di poter assaggiare un cocktail firmato dal bar manager Fabrizio Tozzi.
Sì, l’ampliamento (affidato allo studio Peregalli - Sartori Rimini) ha regalato un neonato “salotto” con corredo di bancone bar. Dove sedersi per un aperitivo prima di cena. “La drink list mette in luce i grandi classici della miscelazione. Ma non trascuriamo qualche twist”, spiega Fabrizio. Mentre serve il “Diplomat”: vermouth secco e dolce, maraschino, qualche drop di bitter all’arancia e olio essenziale di buccia d’arancia. Un cocktail cult. Servito negli anni Trenta all’Hotel Savoy di Londra. Mentre il vivace “Hot Mary” traduce in delicatezza il più noto “Bloody Mary”, grazie a succo di limone, salsa worchester, sale affumicato al legno di faggio, pepe, tabasco allo jalapeño, e tequila lasciata in infusione con l’origano fresco. “Così ottengo un drink più aromatico e vegetale, invece che piccante”, svela Tozzi. In tandem, qualche amuse-bouche: sashimi di ricciola in ceviche con dadolata di mango; carpaccio di capasanta e puntarelle all’olio e limone; gambero viola di Sanremo e ostriche claire verte della maison Amélie (dalla lieve pigmentazione verde) con vinaigrette di aceto rosso.
Ostriche - anche nella lussuosa tipologia royale by David Hervé - e tanto pesce nudo, crudo o vestito. Vedi gli scampi e i gamberi rossi di Mazara del Vallo con stracciatella e tarallo; nonché il carpaccio di spigola alla pizzaiola. Rosso (del pomodoro) e bianco (del pesce) a giocare in un guazzetto in cui si tuffano capperi, cucunci, origano, olio e limone. Raccontando la brezza marina del sud. E proprio dai terreni vulcanici dell’isola di Salina viene il vino ideale in abbinamento: il Salina Bianco by Carlo Hauner: inzolia e catarratto a plasmare un nettare che solo un bresciano di origine boema, trapiantato nelle Eolie, poteva fare. Mentre con la pizzetta-benvenuto meglio la freschezza dello “Zìnzula” della Masseria Altemura (una delle tenute by Zonin1821): Negroamaro rosato dalle sfumature cipria e dai floreali sentori di rosa canina.
Fra gli antipasti? Anche la parmigiana di melanzane con rana pescatrice, provola e pistacchio; la panzanella di mare tiepida; il king crab con indivia, pomodori sardi e avocado; la granseola alla veneziana; e i polipetti alla Luciana. Un emblema della gastronomia campana. Da sposare con l’Etna Rosso “Pietrarizzo” di Tornatore. Un cru dai toni speziati e fragranti, ottenuto dal nerello mascalese. Polipetti allagati dal pomodoro che ben dialogano pure con il Chianti Classico della Fattoria San Giusto a Rentennano, figlio del sangiovese e di una minima percentuale di canaiolo. “Ogni piatto deve avere il suo vino. Perché non si può mettere la cravatta regimental su una camicia a righe”, insegna il sommelier Francesco Alberico.
Chianti e tanta altra Toscana nell’opulenta wine list di Giacomo. Che snocciola Sassicaia (della Tenuta San Guido), Ornellaia e Masseto (della tenuta dell’Ornellaia), Tignanello e Solaia (by Antinori). Andando spesso in profondità con i millesimi. Non dimenticando Brunello di Montalcino e Nobile di Montepulciano. Per poi tornare al nord. Anzi, in Südtirol. Per respirare tutti i profumi delle Dolomiti nel Sylvaner “Praepositus” dell’Abbazia di Novacella. Floreale, aromatico, minerale nettare servito nel calice dei supertuscan. Per meglio valorizzare la sua essenza. Complice di un piatto che prende la cacio e pepe e la trasforma in un tortello, completato da tartare di gambero rosso, bottarga e lime. Della serie, Roma on the beach.
Tortelli ma pure spaghetti di Gragnano alle vongole veraci, ai ricci o allo scoglio. E poi linguine all’astice; gnocchetti con scampi, gamberi e calamari; risotto ai frutti di mare; zuppe e fritti di pesce; crostacei a gogo; il pescato del dì e qualche preparazione più fuori schema. Come il baccalà con ceci e guanciale croccante; e il filetto di ombrina in crosta di olive con cime di rapa e maionese alle acciughe.
E per dessert? La bomba: una sfoglia con chantilly al mascarpone e fragoline di bosco. Anche se sfilano molte altre delizie di stagione, come la frolla con crema pasticcera, caco persimmon e ribes. In pairing? La massima espressione del moscato giallo: il Fior d’Arancio di Maeli, azienda padovana di Baone che sintetizza già nel nome le peculiarità del terroir, nutrito da marna e limo. In alternativa? Il Moscato piemontese di Piero Gatti, dalle nuance di miele e frutti maturi. E per finire: l’Amaro d’Erbe di Giacomo. “Ma c’è anche la preziosa Magia 2009 di Berta. Un vero gioiello”, suggerisce Fabrizio, versando l’ambrata acquavite.