Da buona lombarda, mia nonna Antonia me lo ripeteva sempre, con quel suo fare saggio e gentile: “La buca l’è minga straca se la sa nò de vaca”, passandomi un pezzetto di grana padano. Un antico adagio che i due patron milanesi di Dinette, Luigi Beretta e Filippo Leva, hanno avuto il coraggio di inserire in carta, facendolo corrispondere a una portata da “intenditori”: un formaggio erborinato e uno vaccino affinato nel mosto con cipolla caramellata al seguito. Bocconi ricercati, certo, ma capaci di riportare a un non so che di familiare. Come tutto l’ambiente di questa trattoria meneghina che tanto somiglia a un tinello di casa. Un locale-ossimoro: attuale e rétro, contemporaneo e vintage. Perché memoria e modernità convivono qua: in uno spazio intimo e rassicurante, fatto di sedie in paglia col cuscino a quadretti e di seggiole in ferro, di mattoni a vista e di legno (tanto legno), di lavagne e di insegne-memorabilia. Mentre i tovaglioli stanno accanto a posate massicce e la luce soffusa delle abat-jour scalda l’atmosfera in modo garbato e rispettoso. Trasformando il locale in un luogo “popolare”, nell’accezione più democratica ed empatica del termine.
"Sul ballatoio"
Una cucina di ringhiera quella proposta da Dinette. Appellativo col quale si vuol fare esplicito riferimento alle smart kitchen da barca e ai cucinotti di campagna o di città d’altri tempi. Quando le case di ringhiera portavano a un’umana condivisione di chiacchiere e ricette, a uno scambio di opinioni e pietanze. Che da Dinette sublimano nelle “mezze porzioni del ballatoio”. Milanesi? Non necessariamente. Perché fra cortili, pianerottoli, scale e balconi abitavano genti provenienti da diverse parti d’Italia. Leitmotiv? L’indole casalinga, semplice e stagionale delle leccornie. Della serie, le polpette al sugo, da onorare con la scarpetta - complici le focaccine calde servite nel tegamino; il baccalà mantecato con la polentina grigliata; il tortino di broccoli con fonduta d’alpeggio e tartufo nero; la crema di zucca con porcini spadellati e la bagna cauda con cime di rapa e code di gamberi saltate. Per un mini viaggio che va dal mare alla montagna, dal bosco alla campagna, dal Veneto alla Puglia, passando dal Piemonte. Non dimenticando Toscana, Brianza e Sardegna. Pici in bianco all’aglione con pecorino, briciole di pane e pancetta croccante; pâté di fegato con lardo di Colonnata a miele d’acacia; risottino giallo alla monzese e al salto con salsiccia homemade e sughetto; nonché millefoglie di pane carasau con spinaci e fontina. Il bello? Che si assaggia un po’ qua e un po’ là, senza nulla sprecare e condividendo il piacere dell’assaporare. Come si farebbe in un condominio multiregionale e multietnico.
"Al piano nobile"
Insomma, parola d’ordine convivialità. Anche quando dalle delizie del ballatoio si passa a quelle di “taglia” normale “per intenditori” e alle “ricette della festa”. Che stanno alle porzioni small come Instagram sta a Twitter, per dirla coi social. Fra gli highlight: gli gnocchi di patate con cime di rapa e ragù di polpo. Che, arrostito e lardellato, incontra pure una crema rustica di patate e porcini. Pronti a finire nel risotto, insieme al tartufo nero. E per chi adora la cassoeula? Eccola in versione “inversa” o “in verza” - come dice Filippo “ci piacciono entrambi i modi di definirla”: fagottini di costine e salamini verzini avvolti nelle verze su letto di purè. Mentre chi ama l’hamburger trova la sua lettura italianissima: ciabatta con entrecôte marinata e scottata, dressing di senape e cipolla stufata. Il tutto servito con patate al forno.
E per dessert? Tiramisù che più casereccio non si può, caprese alle nocciole e crostate a gogo: alle visciole, alle albicocche e gocce di cioccolato e ai lamponi e pistacchi. Caffè preparato nella moka a chiosa. Mentre nel calice - sì, tutte le bottiglie della “Cantina di ringhiera” sono proposte anche alla mescita - finiscono vini ambasciatori di diversi terroir nazionali. Vedi i nettari marchigiani by Santa Barbara di Stefano Antonucci - dalla Passerina al Verdicchio dei Castelli di Jesi “Le Vaglie” - nonché la Ribolla Gialla friulana della maison Scarbolo. Mentre la Sicilia si esprime con “Il Bianco” La Segreta di Planeta (summa di grecanico, chardonnay, viognier e fiano) e il Syrah by Mandrarossa. E per chi preferisse le bollicine? Si va dallo spumante pop Lignana all’iconico Franciacorta Prima Cuvée Brut by Monterossa. Non dimenticando il vigoroso, sapido e minerale “Eruzione 1614” di Planeta, figlio delle nere terre dell’Etna e del vitigno carricante.
"Lungo le scale"
Un luogo Dinette dove entrare e uscire. Ma pure dove salire e scendere le scale della giornata. La trattoria è infatti aperta dalle 12.30 sino a mezzanotte e trenta. Tutti i giorni. Eccetto la domenica. Quando scatta il rito del pranzo domenicale e poi (alle 16.30) si va tutti a riposare. Pranzo inteso alla canonica maniera ovviamente, non brunch. Con tanto di portate messe al centro della tavola per accentuarne l’effetto condivisione. Sei in tutto (a 35 euro), con la possibilità di replicare quelle preferite. Ma in alternativa si può scegliere un antipasto e un piatto (a 25 euro, Prosecco compreso). Per sentirsi più liberi. Perché qui è un ritmo dinamico e friendly a farla da padrone. Per un servizio attento ma col sorriso. Da sperimentare pure a pranzo, quando si può gustare il menu della schiscetta. Oppure nel pomeriggio, quando dolci e torte si mettono in mostra sul bancone. Per conquistare il commensale.
Foto di Andrea Martignano