“In realtà CooD non vuol dire proprio nulla. Ma evoca cool, food, good”, spiega Gianfranco Semenzato, l’executive chef di un locale davvero nuovo. E non solo perché ha appena aperto: nel cuore di un quartiere multietnico e cosmopolita come quello milanese di Porta Venezia. Di cui mantiene il global mood, applicandolo alle carni e ai drink. Le prime provenienti da allevamenti sostenibili di tutto il mondo. I secondi preparati con prodotti premium di matrice internazionale. Per una proposta variegata, capace di parlare differenti linguaggi: pop o rock, funky o decisamente jazz. Sempre mirando all’eccellenza. Punto nodale e fondamentale, sul quale Gianfranco non transige, da cuoco meticoloso e puntiglioso qual è.
Del resto, è proprio un pensiero libero e senza confini a caratterizzare il modo di ragionare dello chef, già da 25 anni alla regia delle cucine del Globe, all’ultimo piano del Coin di piazza Cinque Giornate, sempre nel capoluogo lombardo. “Ho avuto la fortuna di lavorare con le ambasciate di ogni dove. Da quella indiana a quella cinese, da quella canadese a quella cambogiana, passando per quella laotiana”, racconta Gianfranco. Che nella neonata avventura di CooD - Cocktail & Beef non è solo. Con lui gli altri attori di Idea Italia, la società che ha voluto e firmato il format: Bruno Marsico, patron del Globe; Emiliano Veronesi, top manager di aziende multinazionali; Giovanni Ferraresi, impegnato nello sviluppo di griffe ristorative, in Italia e non solo; Maurizio Galardo, esperto in tecnologie digitali; e Luca Beni, dj e produttore musicale.
È nato così un locale multitasking, dall’anima poliedrica. Ristorante, lounge, cocktail bar ma anche butchery, con tanto di esperto a consigliare, proporre e porzionare live i migliori tagli di carne da cucinare a casa. Mentre un salotto privé è destinato a chi vuol cenare in maniera più intima e riservata, oppure social, grazie al maxi tavolone centrale. Una vera “libreria del vino”, un sancta sanctorum per gli amanti dei red wine. Che qui si esprimono in un’infilata di etichette di razza. Che vanno dall’Ornellaia dell’omonima tenuta bolgherese al Tignanello di Antinori, dall’Amarone Classico “Costasera" di Masi al Chianti Classico Riserva del Castello di Ama, dal pinot noir “Monticol" della cantina Terlan al Brunello di Montalcino della Fattoria dei Barbi, dal “Sassoalloro” di Jacopo Biondi Santi al Primitivo “Baruch” della materana Masseria Cardillo, dal Taurasi “Fatica Contadina” di Terredora di Paolo sino al rosso “Le Sabbie dell’Etna” di Firriato. E ancora, etichette francesi e spagnole, cilene e californiane, argentine e sudafricane. Una sorta di tabernacolo enologico (ma ci sono anche bollicine italiane e Champagne, custoditi in una cantinetta refrigerata), inserito in un contesto nutrito di charme, in cui pavimenti in pietra lavica dialogano con marmi bianchi e brown, e finiture bronzee giocano con la luce e con pareti dai raffinatissimi rivestimenti. Grazie al disegno progettuale dell’architetto Paolo Lucchetta.
Al centro? La cucina. Interamente a vista. Anzi, con la grande griglia a carbone ben in vista. Realizzata ad hoc da un artigiano milanese e affiancata da un barbecue-affumicatore, utile per alcune preparazioni. “Usiamo legno di ciliegio per pollo e maiale. Mentre rovere e quercia per il manzo”, spiega Gianfranco. Attento anche ai rub. “Certo, spesso rubbiamo e mariniamo le carni prima di cuocerle. Come nel caso delle ribs di maialino di Parma e dei lollipop di pollo al bacon”, precisa lo chef. Che ha messo a punto un personalissimo ed equilibratissimo rub dal tocco mediterraneo, complici polveri di cappero e di pomodoro. Non dimenticando le salse d’accompagnamento e un particolare garnish che correda i piatti. Si tratta di un peperone friggitello, svuotato dei semi, farcito con cheddar, avvolto nel bacon e infornato. Gli altri contorni? Sono a scelta e serviti in un padellino: dalla caponata agrodolce in bianco alle cipolline alla brace con aceto balsamico, dal purè alle patate al forno, passando per i carciofi grigliati.
Le protagoniste però sono loro: le carni. “Ho voluto le migliori”, puntualizza Semenzato. Che sul fuoco mette fiorentine e costate, tomahawk e cube roll, diaframmi e controfiletti. Spaziando dal wagyu giapponese alla manzetta danese Japan style, dalla chianina toscana alla rubia gallega spagnola dry aged (per 45-50 giorni), dalla scottona bavarese all’aberdeen irlandese, dal black angus statunitense alla blonde d’Aquitaine, sino alla freygaard finlandese, sashi beef dall’elevato grado di marezzatura. “Sì, ne abbiamo di roba da mettere sulle braci”. E non solo. Visto che la mitica meat conosce pure le cotture a bassa temperatura e in padella. Per un’offerta eclettica e volitiva. Che non trascura il nudo e crudo, come la tartare di fassona piemontese by La Granda o di bisonte canadese. Qui non c’è discriminazione, ma solo integrazione. Quindi? Via libera anche a zebra e canguro. Di cui è ottimo il filetto.
E per qualcosa di più pop? Salamelle di cinta senese e smoked pulled pork “Boston Butt”, preparato con la spalla anteriore del suino e presentato sfilacciato, con corredo di insalatina di cavolo cappuccio e maionese. Non trascurando le polpette (di carne mista e olive), tuffate nel sugo. Servite anche per l’aperitivo, insieme a un panzerotto-empanada ripieno di carne e mozzarella.
Aperitivo che si può dilatare, per incontrare una serie di “finger cood”. Ideali in pairing con i signature drink. Pensati anche (e soprattutto) per sposare la carne, grazie a un’innovativa tecnica qual è quella del fat washing. Applicato a cocktail come “A cena con il conte”, in cui il gin viene lasciato in infusione con un soffritto di cipolla rossa di Tropea, per poi essere filtrato e unito a Vermut Rosso e a Bitter Rouge Riserva Carlo Alberto, e angostura bitter. Oppure a “Il giovane marinaio”, in cui il rum Plantation 3 Stars viene messo in infusione con il bacon, per poi abbracciare rum Plantation Pineapple, succo di ananas, succo di lime e sciroppo di agave. E “Il Tradizionale”? Tanto classico non è, se non negli ingredienti: Punt e Mes, Biancosarti, chinotto, bitter rhubarb e Jefferson Amaro Importante, un calabrese doc, targato Vecchio Magazzino Doganale e virtuoso di bergamotto, arance dolci e amare, origano e rosmarino.
Creazioni liquide, pronte a dialogare con una cucina concreta e di materia. “Qui si mangia tradizionale. Io le spume le ho abbandonate da tempo. E ora preferisco toccare la ciccia”, confessa Gianfranco. Chef solido, saggio e competente. Che mette in lista anche i grandi classici: dall’ossobuco alla costoletta di vitello alla milanese, passando per il brasato di wagyu al Chianti. Con le cui sbriciolature vengono conditi gli gnocchi fatti in casa, mentre le fettuccine 50 tuorli sposano il ragù alla bolognese e il risotto alla parmigiana incontra il fondo bruno (preparato con ginocchia e midollo). La tipicità insomma, onorata anche da spaghettoni alla carbonara e rigatoni all'amatriciana.
Fra le specialità spicca pure il covaccino, una focaccia in equilibrio fra Liguria e Toscana, soffice e saporita, prodotta senza lievito, grazie alla fermentazione spontanea. Perfetta per incontrare il lardo di pata negra, la mortadella di San Marino, lo strolghino di culatello, la cecina de León, nonché assiette di formaggi in cui possono comparire il lombardo salva cremasco e il francese Saint-Maure de Touraine alla cenere (un caprino a pasta molle). Ma anche la robiola di Roccaverano e il piacentino ennese, due delizie casearie tutelate come Presidi Slow Food. A corredo? Delicate mostarde senapate: di pera, mela campanina, fichi, anguria bianca, arancia e peperone.
E per dessert? Dolci mono e big. Per chi ama condividere la golosità. In taglia small: tiramisù, cheesecake e brownies. In versione large: apple pie, torta di rose al mirtillo e mousse ai tre cioccolati. Senza dimenticare che qui il semplice ordinare diviene esperienza digitale. Grazie a una carta-tablet dove scoprire tutto sulla pietanza selezionata: provenienza, tagli, cotture e abbinamenti. Inoltre, nella vetrina all’uscita, spiccano l’olio extravergine (di cultivar peranzana), le salse, gli aromi e i liquori by CooD. Dal limoncello al finocchietto, dal fragolino al liquorizino. Per tornare a casa con un quid in più.
Il ristorante e cocktail bar è aperto tutti i giorni dalle 18.30 all’una di notte (venerdì e sabato fino alle due). La cucina chiude a mezzanotte. E per gli fish lover? Fra qualche mese aprirà a Como un locale fratello, tutto vocato al pesce.