Martedì 3 marzo 2020. La nuova drink list è pronta. E con lei una bella serata di presentazione. Stop. Lockdown. Ma noi premiamo rewind. E ripartiamo. Da quello stesso punto. Dal Columbus di Peschiera Borromeo. Ma da mercoledì 3 giugno.
Anzi, ripartiamo da una question. Cos'è un cocktail? “Anni fa, a questa domanda ci avrebbero risposto: una bevanda alcolica che prevede un minimo di due e un massimo di cinque ingredienti. Oggi molto è cambiato. Direi che si tratta di un drink alcolico o analcolico che conta almeno un elemento. Ma servito nel bicchiere che meglio lo rappresenta”, spiega Mattia Pastori. Mixologist di chiara fama, nonché founder di NonSoloCocktails, scuola di nuova generazione che mette al centro consulenza e formazione, didattica e pratica, mixando sapientemente libri e shaker, ghiaccio e fuoco sacro, in un eclettico e iper attrezzato spazio milanese.
“Io però non ho firmato questa drink list. Ho solo guidato la brigata. Abbiamo lavorato insieme, analizzando le liste precedenti, facendo team building e muovendoci in modo fluido. In un continuo scambio di opinioni”, precisa Mattia. Orgoglioso di aver accolto nella sua modernissima school i ragazzi del Columbus di Peschiera Borromeo, capeggiati dal bar manager Giuseppe Tulumello. “Per il nuovo cocktail menu avevo le idee chiare. Ordine, precisione e non più di venti drink. Ma tutti con una grande personalità. E il tutto senza trascurare gli analcolici. Perché mai devono stare sempre in fondo, relegati all’ultima pagina? Oggi nella scelta di un cocktail concorrono tanti fattori. Etici e salutari. Quindi è necessario ragionare in altri termini”, puntualizza saggiamente Giuseppe. Colonna portante di un’insegna che celebra i suoi primi quindici anni di attività.
Correva infatti il 2005 quando il patron Stefano Lascatti (titolare anche dell’Osteria dei Vinattieri di San Donato Milanese) dà avvio all’avventura del Columbus. Partendo alla conquista della terra, ancora un po’ inesplorata, della mixology. Temerario e visionario Lascatti. Che guarda lontano, ci vede giusto e dà forma a un elegantissimo American bar dai toni noir, dagli arredi originali anni Quaranta e dal maestoso bancone. Dove muove i primi passi anche il bartender Guglielmo Miriello, oggi di stanza al Ceresio 7 del capoluogo lombardo.
Un luogo raffinato, signorile, di gran classe. Ora come allora. In equilibrio fra il cielo di Milano e quello di Linate. Posizionato lungo uno stradone. Un po’ alla maniera americana, con posti auto a gogo. Per parcheggiare ed entrare. Concentrandosi sull’hic et nunc. Che qui significa un cocktail menu tutto da scoprire. Scandito in quattro atti. Da cinque scene ciascuno. Inclusi i drink alcol free. Che in modo naturale entrano in lista, esprimendosi nella loro wellness e green identity. Quasi in un messaggio di integrazione culturale. Che non fa differenza fra l’ordinario e il “diverso”. Come accade per lo “Spritz 0” ideale all day long. Prezioso com’è di bitter zero-proof, succo di mela e soda.
Ecco allora la first session: “Classic”. “Ma viaggiando nel tempo”, puntualizza Pastori. Della serie, i grandi classici di ieri e di oggi. Vedi il caraibico “Daiquiri”, realizzato per la prima volta sulla beach cubana di Daiquiri nel 1898, pare per mano dell’ingegnere Jennings Cox. E ancora, il noto “Old Fashioned”, probabilmente messo a punto nel 1881 nell’esclusivo Pendennis Club di Louisville, in Kentucky, in onore di un colonnello distillatore di bourbon: tal James E. Pepper. Per poi divenire una celebrità al Waldorf-Astoria Hotel di New York. Ma vedi anche il “Pornstar Martini”, icona della mixology millennial. Un cocktail sensuale, creato da Douglas Ankrah nella sua London Academy of Bartending. In the glass: vodka alla vaniglia, Passoã, limone, sciroppo di zucchero e purea di passion fruit.
E dopo i classici? Voilà i “Signature Drink”. I cult del Columbus per capirci. Come il “Rocket Fuel”, nato negli anni Novanta come variazione sul tema del Long Island Iced Tea, a sua volta tuffato nel tempo del proibizionismo americano. Nel bicchiere: cordial lime, vodka, rum bianco, Havana Club 3 años, tequila, triple sec e gin. E sempre al proibizionismo si ispira il terragno “Highball Speakeasy”, summa di rye whiskey (segale addicted), liquore al caffè e tonica, complici una gasatura e un’affumicatura con legno aromatizzato alla cannella. Intanto il bianco “Dirty Negroni” rende omaggio a vermouth Mulassano, Italicus (rosolio di bergamotto), gin dei monaci di Vallombrosa e salamoia di olive.
Nel bel mezzo ci sono invece i “Modern” cocktail. Dalla scattante anima contemporanea. Attenta al presente, memore del passato e non priva di un tocco ironico. Il buon “Americano Imbruttito” conferma: vermouth e Campari a rincorrersi in un masterpiece shakerato, arricchito da anidride carbonica, grazie all’uso del sifone. Ma c’è pure il “Betty Boop”, seducente compendio di Four Roses bourbon, shrub ai frutti di bosco, zucchero, limone e albume. “Noi il ritratto di Betty lo abbiamo sulla parete”, dice Stefano, indicando un angolo della zona bar dove campeggia la prima femme fatale dei cartoon, uscita dalla mente di Max Fleischer negli anni Trenta. Mentre il “Vegan Bullshot” esprime il suo spirito verde. Un trasparente twist sul Bloody Mary in cui è un brodo vegetale a sostituire il pomodoro. Spalleggiato dalla nipponica salsa unagi e dal distillato non alcolico Seedlip Garden 108. Una miscela di piselli, fieno e rosmarino, dalle nuance erbacee.
Last but not the least, il capitolo “To go places… and do drinks”. Ossia: paese che vai, drink che fai. Che fa il verso a una frase scritta a lettere cubitali sopra il bancone: “To go places and do things”. “Siamo fuori Milano ma vicinissimi a Linate. Così abbiamo trasformato questo gap in un pregio. Qui abbiamo l’aeroporto e si può partire per lunghi viaggi”, spiega Tulumello, guardando il bicchiere mezzo pieno. Quindi? Via verso Londra col “Columbus Fizz”, sofisticato mix che mette in gioco Hendrick’s gin, St. Germain, tonica ai fori di sambuco ed essenza di rosa damascena. Il “Paloma meet Tepache” porta invece fra Messico e nuvole. Merito di tequila blanco Espolòn, acqua tonica, tepache (bevanda messicana a base di ananas) e crusta di sale al Chianti. A ricordar l’Italia. E il “Sake Martini”? Fa fare un tuffo nel Sol Levante, fra sake, vodka lasciata in infusione col granchio e vermouth. Altro ancoraggio al made in Italy. E per chi ama l’India? Con il “Bitter Haldee” si fa scalo a Mumbai, grazie a una coppetta preziosa di una crusta alla curcuma. Inside: whisky e Amaro del Ciclista, liquore di tradizione emiliana, nato in casa Casoni.
“È una carta nella quale ci si orienta facilmente. Se la scorri velocemente trovi comunque nomi familiari, come Negroni, Spritz, Martini, Americano”, sottolinea mister Tulumello. Che talvolta sperimenta pure personalissime alchimie. “Questo è un Angel Share Negroni. Impreziosito da qualche goccia di essenza di nocciola e lasciato maturare per sei mesi in botti di ginepro”, racconta fiero, mostrando la sua ultima creatura. Mentre la bottigliera parla da sola. Esibendo spirits di eccellenza.
“Abbiamo anche una nutrita carta dei vini. Ottimi per accompagnare i nostri piatti e soprattutto le nostre carni”, aggiunge Lascatti. Ricordando che il Colombus - diretto da Antonio Vadalà - ha introdotto i servizi di delivery e takeaway, si svela perfetto per l’aperitivo e non dimentica di proporre tenerissime carni alla griglia. Dal filetto di Aberdeen angus argentino alla fiorentina di scottona polacca selezione "Unika", passando per tagliate, controfiletti, ribs, regali tomahawk steak e succulenti burger. Che nessuno vieta di sposare con lo “Sheik Zayed Negroni”. Un drink da sceicchi. Non certo per il prezzo, ma perché capace di soddisfare palati esigenti e ricercati. Al pari degli ingredienti utilizzati, che ricreano il gusto del grande classico, eleggendo a protagonisti ingredienti non alcolici. Millennial mixology docet.