“Mia mamma? Cucinava in modo terribile. Per questo ho deciso di diventare chef”. Ritu Dalmia non è figlia d’arte. Ma l’arte culinaria l’ha imparata presto. Tant’è che oggi a Delhi gestisce ben sette insegne, tutte sotto l’ombrello di Diva Restaurants, inclusi il Diva Italian e The Cafe at ICC, l’Italian Cultural Centre. Grazie ai quali porta in India verba e mirabilia del Bel Paese. Una passione e un’opera di diffusione della cultura tricolore che le hanno valso - per ben due volte - l’importante onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia. Penisola che lei adora. “Amo la granita siciliana, la pizza fritta napoletana, i supplì romani, la farinata di ceci ligure e la focaccia di Recco”, ammette Ritu: capelli scuri e occhi neri. Dietro un paio di occhiali black. Mentre il suo sorriso smagliante le illumina il viso. È felice. Lo si intuisce. Orgogliosa di essere approdata a Milano col nuovissimo Cittamani: nel cuore di Brera, in piazza Carlo Mirabello, laddove prima c’era Il Verdi.
Il ruggito del tandoori
Un sogno divenuto realtà quello di Ritu e del suo Cittamani, nome pronto a evocare la parte femminile del Buddha. Un progetto colto, realizzato anche grazie al supporto della società sudafricana Leeu Collection, guidata da un imprenditore di successo come Analjit Singh - che in sanscrito vuol dir “leone”, corrispondente all’africano “leeu”. Un ruggito quello di mister Singh che si fa ben sentire in Inghilterra, fra i vigneti del Sudafrica - dove spiccano boutique hotel, ristoranti, giardini e art gallery - e prossimamente (nel 2021) a Firenze, dove prenderà forma un lussuoso albergo. Intanto, tre file di vasi sudafricani fanno bella mostra di sé lungo le pareti di Cittamani. Che svela uno spazio dal respiro urbano, griffato dallo studio londinese Paolo Cossu Architects, in tandem con il local architect Giuliana Barilli e con la proprietà. Il risultato è un ambiente elegante e soft, ritmato da quel che già c’era - pavimento in seminato, nonché archi e vetrate - e impreziosito da marmi, pelle, specchi, nonché applique e sgabelli in ottone. Creati artigianalmente in India. Per un ristorante dall’anima global.
Il respiro delle spezie
A tavola? C’è la cucina indiana. Sorprendentemente delicata e raffinata. Lontana da stereotipati curry e masala. Vicina invece a un senso autentico e casalingo dell’indian cuisine. Quella fatta di tanti piatti vegetariani. Quella poliedrica, del nord e del sud. Quella della tradizione ma anche della contaminazione. Quella del passato e di un presente in costante movimento e mutamento. Quella della memoria e del personale vissuto di Dalmia. Che significa India, fortissimamente India (lei è nata a Calcutta), ma pure viaggi, esplorazione, conoscenza, scoperta. Anche dei prodotti italiani. Che finiscono nei piatti. Insieme alle spezie. Rigorosamente provenienti dal Paese asiatico e sempre ben dosate. Per incontrare anche il gusto di chi non è abituato a sapori particolarmente forti e piccanti. Un’India contemporanea, multietnica, multiculturale e internazionale quella di Cittamani. Un po’ come lo è la metropoli lombarda. E un po’ come lo è pure la brigata di cucina. Un team di una decina di persone, capitanato dalla resident chef Shivanjali Shankar. Mentre Ludovica Falez ricopre il ruolo di restaurant manager e Ritu fa suo il rituale del Delhi-Milano andata e ritorno.
Okra, papad e naan
“Il pomodoro per me è un frutto”, afferma Ritu. Ecco allora la sua insalata-macedonia: pomodorini rossi e gialli, prugne, pesche, mandorle e orzo soffiato. Rinfrescante e piacevolissimo. Per iniziare o intercalare il pasto. Animato anche dalla serie di croccanti e sottilissimi papad (al riso, alle lenticchie e ai ceci) da accompagnare a differenti chutney e salse: di salvia e menta; di mango, ananas, melagrana, limone e zenzero; di pomodoro con chili e cardamomo. In una vera a propria condivisione del “pane quotidiano”. Uno sharing mood che può proseguire anche nella scelta dei piatti del menu, suddivisi in quelli di taglia small e quelli in versione large. Per assaggiare tante mini portate oppure andare dritti all’obiettivo. Da non perdere? Il biryani della casa: un riso basmati profumatissimo, servito con una salsa agrodolce e celato dalla pasta sfoglia. E ancora, i poori ripieni di piselli, burrata e chutney di pomodoro; l’orzotto con makhana e salsiccia di maiale e friggitelli, per un tour che va dalla Brianza all’Asia, lasciandosi incantare da ’O sole mio; i calamari in padella come in Kerala; il pollo tandoori con popcorn di orzo; e le costolette di agnello con purea di patate. Meglio ancora se accompagnate da un bel girotondo di contorni: dalla crema di lenticchie all’okra fritta, dalla crema di avocado e yogurt all’irresistibile pane naan. Proposto anche alla zucca, alla mozzarella e paprika e con pancetta e gorgonzola. E per dessert? Tortino di carote con gelato al fior di latte e crumble di pistacchi. Rassicurante.
Naannini, cocktail e vini
E per sentirsi a Mumbai? A pranzo è proposto il tiffin, il celebre lunch box a più piani diffuso nell’asiatica city. In alternativa? Ci sono le bowl, ciotole dal contenuto nutrizionalmente equilibrato; i crispy indian pancake, serviti con chutney, patate in crosta di sesamo, melanzane marinate e grigliate; nonché i naannini. Piccoli naan cotti nel forno tandoori e farciti in svariate maniere. Per una sorta di street food à la table. Mentre al bancone si preparano cocktail ispirati ai profumi dell’Asia. Come quello con vodka, cannella, mela verde e ginger beer. E nel calice? Vini. E se quelli della maison sudafricana (by Singh) Mullineux & Leeu Family Wines non mancano, sono le etichette italiane a farla da padrone. Visto che la wine list è un gradito omaggio della sommelier Sandra Ciciriello, maître e sommelier del ristorante stellato Alice, regno della chef Viviana Varese. “Viviana is my sister”, ribadisce Ritu. Ormai l’Italia l’ha proprio adottata.
Foto di Modestino Tozzi