Somigliano a piccole monete tonde e piatte. Per questo si dice che lenticchie portino soldi. E per questo vengono consumate a Capodanno. Almeno in Italia. In segno di buon auspicio per l’anno che sta arrivando. Così come è usanza, in Spagna, mangiare una dozzina di chicchi d’uva ai dodici rintocchi della mezzanotte. Un rito decisamente propiziatorio, emblema di prosperità e buona vendemmia. Mentre negli Stati Uniti è bene portare a tavola ortaggi a foglia larga e verde, come le bietole. Perché? Perché hanno il colore dei dollari, i cosiddetti “verdoni”.
Paese che vai, cibi scaramantici che trovi. E la Cina non fa certo eccezione. Soprattutto in occasione del suo capodanno. Che non corrisponde all’1 gennaio, bensì cambia ad ogni annata. Seguendo il calendario lunisolare, secondo il quale i mesi iniziano in concomitanza col novilunio. Una Festa di Primavera dunque, che segna l’incipit di un nuovo anno. Nel 2019 quello del maiale. Animale che chiosa il ciclo dodecennale dei segni animali (domestici e simbolico-mitologici) dello zodiaco cinese. Un animale all’anno. Col topo (protagonista del 2020) ad aprire ogni ciclo.
Una gioiosa festa che dura quindici giorni. E che quest’anno ha preso il via proprio il 5 febbraio, per concludersi il 19, con il celebre volo delle lanterne. Un periodo tinteggiato di rosso e animato da canti e fuochi d’artificio. Il motivo? Perché rosso e rumori pare possano spaventare un leggendario mostro chiamato Nian, che usava uscire dalla tana per cacciare gli umani. Dunque? Via libera a una marea rouge, nonché a musica, draghi e danze.
E via libera pure a piatti emblematici e beneauguranti. Come quelli proposti in esclusiva fino al 12 febbraio al MU dimsum di via Aminto Caretto, a Milano. Otto per l’esattezza, da ordinare singolarmente, oppure nella loro completezza. Per mangiare un po’ di tutto: dalla carne al pesce, dalle verdure ai dolci. Otto. Un numero portafortuna: simile al segno dell’infinito, evocante floridezza, ricchezza e successo. Basti pensare che le Olimpiadi di Pechino ebbero inizio l’8-08-2008 alle 8.08 locali.
Ecco dunque otto portate della tradizione cantonese, preparate da chef Kin Cheung (nato e cresciuto a Hong Kong) e presentate fra le soffuse atmosfere di uno spazio nutrito dal legno e dalla calma. Con l’ineccepibile regia della titolare Suili Zhou. Che serve le vivande tutte insieme a tavola, come il conviviale rituale orientale vuole. Senza un ordine preciso da seguire. Meglio ancora se accompagnate da un tè oolong “jin mudan” (peonia dorata), originario del Fujian. Un tè raro, lievemente tostato e ossidato e dalle armoniose nuance floreali.
Dunque? Pollo. Alla cantonese, naturalmente: bái qie ji. Cucinato in “bianco”, bollito. Anzi, cotto a bassa temperatura per almeno 45 minuti e corredato di una salsina a base di zenzero, aceto bianco e spezie, come il pepe rosa e l’anice stellato. Un piatto apparentemente semplice. In realtà, di grande maestria. Perché ci vogliono sapienza e saggezza per ottenere tenerezza e succulenza. Presentato à la table già tagliato in losanghe. Ali e cosce incluse.
Poi, branzino: qīngzhēng lú yú. Rigorosamente intero. “Per assicurarne l’avanzo”, precisa Suili. E cucinato con il minimo intervento. Giusto qualche ingrediente fresco e pochi condimenti, capaci di valorizzare il gusto del pesce. Parola che, in lingua cinese (yú), suona come il termine “abbondanza”. E guai a capovolgerlo. Lui deve essere porzionato senza esser troppo manipolato.
Si pronuncia “ha” e ricorda onomatopeicamente la risata. Sì, il gambero è ambasciatore di sorrisi e felicità nella terra del Dragone. Quindi: gān shāo xiā, gustosi gamberoni in salsa di soia.
E per raggiungere il nirvana? Basta inchinarsi al Buddha, pronto con la sua delizia green: luóhàn zhāi. Si tratta infatti di una summa di verdure cucinate in salsa di soia e spezie. Una vivanda rispettosa del credo buddhista che invita al consumo di piatti vegetariani e purificatori nei primi cinque giorni del new year. Ma il menu prosegue. Con gli jiaozi classici: pasta finissima e copioso ripieno di maiale. La loro forma a barchetta rammenta quella dei tael, i lingotti d’argento usati come unità di peso e valuta monetaria dalle antiche dinastie imperiali. Una metafora di benessere, lusso e agiatezza. Attenzione: mentre si mangiano è bene ripetere un adagio che recita: “Zhāo cái jìn bǎo”, ossia “donare ricchezze e tesori”. Inoltre: “Visto che vanno preparati e cotti tutti insieme, sono emblema di affiatamento e concordia”, aggiunge madame Zhou.
Ma attenzione, il maiale torna. Opulenta e paciosa icona del 2019. E torna marinato in salsa di tofu fermentato, cucinato al forno e proposto in versione piacevolmente fumé. Una pietanza raffinata e preziosa. Perfetta se seguita da una delizia che vira nettamente verso il dolce. Ma in maniera insolita: gnocchi di riso in brodo di zenzero e zucchero di canna grezzo. I tāng yuán, preparati con farina di riso glutinoso e ripieni di vellutata crema di arachidi. Mangiati in origine solo in occasione della Festa delle Lanterne, ora si assaporano in altre occasioni dell’anno. “Anche in questo caso, la loro forma circolare suggerisce unione e armonia”, puntualizza Suili. E per finire: la torta del capodanno. La nian gao. Il dolce per un anno migliore. Perché nian significa “anno” e gao vuol dire “alto”. Traduzione: “ogni anno sempre di più”. Noi, per scaramanzia, l’abbiamo mangiata tutta.
Il menu completo (a 163 euro, compresa la degustazione di tè) è ideale per un tavolo di tre-quattro persone. Le singole pietanze vanno dai 7 euro degli jiaozi ai 40 euro del pollo alla cantonese cotto in bianco.