“Mai dire color Champagne. Perché lo Champagne può essere bianco o rosé”, precisa Thibaut Le Mailloux, direttore del Comité Champagne, l’organismo atto alla tutela, alla difesa e alla valorizzazione di vignerons et maisons. Fermo restando che, a seconda del vitigno prevalente, dell’assemblage e del tempo di invecchiamento, lo Champagne possa assumere tonalità più o meno decise e sfumature differenti. Che spaziano dal giallo paglierino all’oro, dal rosa pallido a quello più carnoso. Non lesinando riflessi green e nuance ramate o aranciate.
“Del resto, il lavoro dello chef de cave può essere associato a quello del pittore. Entrambi per la loro creazione hanno bisogno di immaginazione. Entrambi partono da una palette. Di colori per l’artista. Di vini base per il maestro di cantina. Quelli utili all’assemblaggio”, continua monsieur Thibaut. Quasi a dire che il linguaggio dello Champagne possa trovare assonanza con quello dell’ars. Da qui l’idea di una degustazione a tema: “I Colori dello Champagne”. Andata in scena al Park Hyatt di Milano, a cura del Bureau du Champagne in Italia. Uno speciale tasting-lab, pronto a indagare la dimensione emozionale delle bollicine francesi. Attraverso la vista. Grazie a un inedito pairing con una serie di opere d’arte. E grazie al contributo di Pietro Palma, ambasciatore dello Champagne per l’Italia 2018, e Arianna Piazza, storica dell’arte e formatrice.
“Noi siamo una società visiva e cinetica. In costante movimento. Siamo poco abituati a soffermarci sulle cose. A guardare con attenzione ciò che abbiamo davanti. Invece dobbiamo educarci a osservare. E l’arte ci può aiutare. Anche a capire meglio lo Champagne. Perché lo Champagne non si accosta all’arte. È arte”, spiega Palma. Mentre Le Mailloux ribadisce: “Sì, lo Champagne ha sempre vantato un forte ancoraggio con l’arte, con le corti. Ed è sempre stato legato alla cattedrale di Reims. Luogo di leggendarie incoronazioni. Ma non solo. In alcune vetrate sono ritratte persino le lavorazioni in vigna”. E proprio Notre-Dame de Reims è una delle creazioni protagoniste del primo pairing artistico. Con alcune premesse e certezze. “L’arte deve essere godimento. Le si deve dedicare tempo. E le opere sono sempre contemporanee. Perché hanno il compito d’invadere le connessioni sensoriali di chi le sta guardando in quell’istante”, puntualizza dottamente Arianna. Che, in tandem con Pietro, ha abbinato ogni etichetta a ben tre opere.
Dunque: "Cuvée 72" by Bruno Paillard. Figlio di 32 cru vinificati separatamente (in vasca o in barrique) e poi sapientemente assemblati. Tenendo fede a un 45% di pinot noir, a un 33% di chardonnay e a un 22% di meunier. Segni particolari? I vini di riserva sono costituiti da 25 diversi millesimi, assemblati a partire dal 1985. A suggellare il tutto: un affinamento di 36 mesi sui lieviti, nonché un riposo di altrettanti in cantina, post sboccatura. Uno Champagne regale, lucente, brillante, polifonico e corale. Che ha pazienza e che sfida il tempo, attraversando le generazioni. Proprio come la cattedrale di Reims, cittadina dove tra l’altro ha sede la maison. Uno Champagne fiero di ricordare il suo essere risultato finale di un lavoro condiviso da un intero gruppo di maestranze. Come la stessa cattedrale. E come tutte le antiche botteghe artistiche. Dove il maestro veniva supportato da giovani aiutanti. Addetti anche alla preparazione dei colori. Miscelando elementi naturali come piante, terre e pietre con leganti quali colle e olio. Sino al raggiungimento della perfezione richiesta dal magister.
Cuvée 72 anche accostabile a un eccelso dipinto: il Ritratto di Donna - noto anche come la Dama del Pollaiolo -, firmato Piero Pollaiolo, datato 1470-1472 e di stanza al Museo Poldi Pezzoli di Milano. Di cui ne è assurto persino a logo. “Della signora non si sa nulla. Neppure il nome. Ma il suo rimane uno dei ritratti più colti e aulici di tutti i tempi. Di certo si tratta di una dama dell’alta società. Appena sposata. Fiera d’esibire un collier di perle bianche e dorate, con corredo di rubino grezzo. Simbolo dell’amore acerbo. Perle che le ornano anche i capelli. Con tanto di frenello sulla tempia. Mentre l’incarnato è roseo e l’abito è in seta rossa, oro e argento”, racconta madame Piazza. In coerente affinità con la preziosità di uno Champagne nobile e austero, ma anche vibrante e agile. Dal tono aureo e dal finissimo perlage.
Perlage nel calice. Perle sul collo sinuoso. Della dama e pure della donna in elegante abito giallo e cappello nero di un manifesto (esposto alla Galerie Montmartre di Parigi) griffato René Gruau: riminese di nascita, parigino di adozione, e uno dei massimi illustratori del dopoguerra, anche alla corte di Christian Dior. Uno dal tratto abile, sensuale e affascinante René (pseudonimo per Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate), che in Affiche Champagne condensa nel giallo acceso (solare e lunare), nel look moderno - il cosiddetto New Look - e nel movimento charmant lo spirito della Belle Époque: spumeggiante ed esuberante. Esattamente come quello della cuvée by Paillard.
Cambio di Champagne. Ed ecco che le vetrate della cattedrale di Reims tornano. Ma stavolta sono quelle istoriate e firmate da Marc Chagall (terminate nel 1974). Chagall che, con umiltà e assoluto rispetto, inserisce il proprio cameo all’interno di un’icona gotica e di una storia lunga secoli. Come farebbe un saggio chef de cave neoassunto in un’antica maison di Champagne. Come farebbe una cantina con tanta voglia di innovare, senza tradire una cultura radicata e assodata. Come ha fatto la grande dame del movimento biodinamico François Bedel, nella sua azienda a Crouttes-sur-Marne. Zona vocatissima per il menunier. Che va ad alimentare per il 90% uno Champagne atipico come il “Dis, Vin Secret”, cui concorrono chardonnay e pinot noir (entrambi al 5%). Un vino armonioso, pieno, spirituale, verticale, solenne. Quasi ieratico. Come il blu celestiale delle vetrate di Chagall. “Le chiese di un tempo non hanno affreschi. Bensì vetrate. Perché l’elemento essenziale è la luce. Pronta a incarnare lo spirito divino che entra nella storia dell’uomo”, spiega Arianna.
Uno Champagne vertiginoso. Inno alla libertà, alla joie de vivre, alla colta spensieratezza. Quindi? Non meno azzeccato il pairing con Les Débauchés, posizionato nel Musée des Beaux-Arts a Reims.
Ma l’etichetta di François Bedel è anche intrisa di una profonda naturalità, quasi materna, avvolgente e rassicurante. Al pari di quella che trapela dalla Madonna Litta: dipinto (tempera su tavola) di stanza all’Ermitage di San Pietroburgo e, fino al 10 febbraio, esposto al Museo Poldi Pezzoli, quale uno dei gioielli della mostra Leonardo e la Madonna Litta. Una mostra unica: inclusa fra le celebrazioni del quinto centenario dalla morte del genio rinascimentale e organizzata grazie al sostegno della Fondazione Bracco, da sempre impegnata nell’indagine del rapporto fra scienza e arte. Una grande occasione per incontrare la straordinaria Madonna vinciana. Eseguita nel capoluogo lombardo nel 1490 circa, e da subito venerata. Al punto da entrare a far parte di una delle massime collezioni milanesi: quella dei duchi Litta. Da cui il soprannome col quale è celebre nel mondo.
Una collettiva sui generis quella del Poldi Pezzoli. Didattica, per certi versi. Visto l’intento di illustrare al pubblico come nasce e può modificarsi nel tempo l’attribuzione di un’opera d’arte. Emozionale, per altri. Vista la qualità dei dipinti e dei disegni: attribuibili al da Vinci e ai suoi allievi sul finire del Quattrocento. Ossia quando l’eclettico maestro era attivo presso la corte di Ludovico il Moro. Ed è proprio di uno dei suoi discepoli migliori, Giovanni Antonio Boltraffio, la Madonna con Bambino esposta (e comunque già di casa al museo). Lei, la madre, intenta a sistemare i fiori in un vaso, afferra con una fascia il figlio Gesù, che tenta di cogliere un altro fiore. Quello del melograno. Quotidianità e devozione. Sintetizzate in un quadro alimentato dall’oro, dal rosso, dall’arancio e da un incarnato che pare rosato. Tenue e delicato. Come quello del Billecart-Salmon Rosé: 40% chardonnay, 30% meunier e 30% pinot noir.
Uno Champagne slanciato, elegante, raffinato e dalla pienezza fruttata. Che ben s’accorda pure col dipinto (olio di tela) Le Goût di Philippe Mercier, conservato allo Yale Center for British Art di New Haven. Fra delicati toni pastello, brindisi d’allegria e tessuti fruscianti e cangianti. Tipici del Settecento, ottenuti dall’intreccio di fili dai colori diversi. Per ottenere nuance evocative quali il “luccichio dell’opale” e il “color delle nuvole”.
Fili. Tinti con accuratezza e lavorati con altrettanta meticolosità necessari anche per realizzare l’arazzo. Manufatto che non solo coinvolgeva diverse professionalità, ma intere comunità, come quella di Arras, da cui il suo nome. Un’opera materica, corale, concreta. Vedi la Tapisserie des vendanges, tanto somigliante a questo rosé, cui concorrono pure un 8% di pinot noir fermo (aggiunto al momento della mise sur lie) e un 40% di vini di riserva.
Pinot nero. Forte, potente, vigoroso. Sì, assolo di pinot noir nel "Rosé de Saignée" by De Barfontarc. Maison di Baronville, nel cuore della Côte des Bar, nell’Aube. Uno Champagne denso e luminoso, che Arianna Piazza sposa al Cavaliere in Nero di Giovanni Battista Moroni, uno dei più acclamati pittori del Cinquecento lombardo. Un ritratto d’uomo ignoto (facente parte della collection del Poldi Pezzoli) interamente vestito di nero. Quello lucido del raso dei calzoni; quello morbido del velluto del mantello; quello impalpabile delle piume. “Nero come nobiltà, suggerita ma non esibita. Nero come modestia e sobrietà. Nero come interiorità. Nero come eleganza. Basti pensare che un tempo tingere la seta rappresentava un vero lusso”, insegna Arianna.
Uno Champagne energico. Caldo, deciso, determinato. Integerrimo, incorruttibile, luminoso. Come l’oro. Che è luce e materia insieme. Oro, oro, oro. Che nutre, insieme al blu, al verde, al rosa e al rosso, un quadro sublime: la Madonna dell’Umiltà e angeli musicanti, sempre di stanza al museo milanese e targato dal pittore e miniatore Zanobi Srozzi, fedele seguace di Beato Angelico.
Oro, prezioso e poderoso. Che conquista pure l’epoca moderna. Allagando tutta l’ars pubblicitaria di fine Ottocento. Come ben conferma l’Affiche France Champagne di Pierre Bonnard, conservata alla Biblioteca Municipale di Lione. Un manifesto emblematico, alimentato dalle sfumature del beige, del bianco e del rosa, su un fondo giallo che più giallo non si può. Carico e saturo. Perché non percepito alla luce del sole ma a quella delle lampade dei locali notturni. L’esuberanza della contemporaneità. Altra peculiarità dell’etichetta di De Barfontarc.
Candore, purezza, lucentezza, trasparenza sono invece le caratteristiche del "Blanc de Blancs" 2007 di Ruinart, la più antica maison di Champagne: anno di nascita 1729. Che in questa etichetta cult concentra tutta la freschezza, la leggerezza e la raffinatezza delle uve chardonnay, provenienti dalla Côte des Blancs e dalla Montagne de Reims. Uno Champagne dorato, dai lievi riflessi verdi. Rotondo, morbido, democratico. Trasversale. Facilmente fruibile da tutti. A qualunque livello culturale. Uno Champagne evocativo e comunicativo. Come il portale centrale della cattedrale di Reims. Affollato di personaggi che danzano, scolpiti nella pietra. Seguendo l’onda curvilinea dell’ingresso. Fiero di parlare il linguaggio universale dell’accoglienza.
Purezza e candore che ben si ritrovano nel cinquecentesco Ritratto di donna del veneziano Palma il Vecchio (al secolo Jacopo Negretti) e di stanza al Poldi Pezzoli. Un olio su tela che accende i riflettori sulla bellezza immacolata di una giovane sposa. In ideale equilibrio fra seduzione e pudore. Fra la regalità del rosso, il buio del nero e l’innocenza del bianco.
Bianco. Anche quello incorruttibile e traslucido che nutre un oggetto celebre nel mondo e universalmente apprezzabile: la Zuppiera del grande servizio detto dei “fiori indiani”, sempre presente nel museo milanese di via Alessandro Manzoni. Un oggetto del desiderio (almeno per il Settecento), griffato dalla manifattura Meissen. Perché? Perché la porcellana - il cui segreto era tenuto gelosamente celato dagli abili maestri cinesi - divenne una vera ossessione. Finché Augusto III di Sassonia, amante di questi preziosi accessori, decise di assumere artisti e alchimisti per scoprire l’arcano. E luce fu.
E così, dopo gli episodi dedicati all’olfatto, all’udito e al tatto, la tappa vocata alla vista ha svelato un nuovo modo per osservare lo Champagne, offrendo una prospettiva inedita e un linguaggio alternativo ed evocativo. Non resta che indagare un ultimo senso: il gusto. Ad maiora.
Foto in gallery a cura del Comité Champagne e del Bureau du Champagne in Italia
Le foto della Dama del Pollaiolo, della Madonna Litta, della Madonna con Bambino, del Cavaliere in Nero, della Madonna dell'Umiltà e angeli musicanti e del Ritratto di donna sono state gentilmente concesse dal Museo Poldi Pezzoli di Milano