“È la prima volta che esco da Messina. Ma si sa, Milano è una metropoli europea e io ho bisogno di confrontarmi anche con questo tipo di realtà”. Ha forza e coraggio da vendere Tommaso Cannata: panificatore (da quattro generazioni) da poco sbarcato nell’urbe lombarda con la Sicilian Bakery che porta il suo cognome. In una zona decisamente di classe: corso Indipendenza, al civico 5, che fa angolo con via Ciro Menotti. Del resto, lui è un tipo Chic. E non solo perché ama giacche e camicie. Fa infatti parte dell’associazione Charming Italian Chef, che riunisce più di un centinaio di professionisti del settore food. Cuochi, pizzaioli, pasticceri e gelatieri con un chiodo fisso per la testa: quello della sostenibilità. E Tommaso è decisamente un valido paladino di questo profondo valore. Che applicato al cibo diviene riciclo, non spreco, riutilizzo degli scarti, selezione etica delle materie prime, salvaguardia delle salute del consumatore, nonché rispetto per l’ambiente e per la memoria.
Memoria. Che per Cannata significa recupero degli antichi grani siciliani. Quelli veri, autentici, autoctoni. Duri o teneri che siano. Dalle reste bionde o brune. Che portano il nome di maiorca e di russello, di tumminia e di realforte, di bidì e di cuccitta. Diversi per natura e personalità. E per questo unici. Donati da Paolo Caruso - ricercatore presso il Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università degli Studi di Catania - e in sfilata lungo una parete del neonato locale milanese. Giusto per farsi ammirare, concedendo all’ospite l’opportunità di imparare qualcosa di più sulla loro identità. Un modo colto e diretto di insegnare quello di Cannata: uno dei soci fondatori di Simenza, la cumpagnìa siciliana sementi contadine che - presieduta da Giuseppe Li Rosi - riunisce l’agrobiodiversità isolana. Inanellando contadini e allevatori, mugnai e olivicoltori, viticoltori e ricercatori, casari e ristoratori. Nel comune intento di valorizzare le vetuste varietà. Razze, frutti, ortaggi, erbe o grani che siano.
Grani antichi, quindi. Che Cannata pesca a piene mani: nella sua Boutique del Pane messinese e nella sua bakery sicilian-milanese. E il risultato si traduce in pagnotte, panini, taralli e grissini. Presentati nelle candide teste di moro in ceramica griffate Ruggeri. Oppure in bella vista nelle eleganti teche in legno dietro il bancone. Parte centrale di un locale minimale ed essenziale. “Semplice e ordinato”, come ama precisare Nicoletta, moglie di Tommaso. Coinvolta pure lei nel progetto. Così come i figli Chiara e Salvatore. “Pensate che il mio lievito madre si chiama Turi, nome di mio figlio e di mio padre”, puntualizza fiero il maestro panificatore. Che sforna il pane dalle 7 alle 14. E ancora, dalle 18 alle 19. "Perché il milanese che torna dal lavoro lo deve trovare caldo e fragrante”, spiega Cannata. Non ha tutti i torti.
Ma Tommaso prepara pure il pidone, sorta di panzerotto-calzone dalla foggia di mezzaluna. Dentro: scarola, tuma, pomodoro e acciughe (ma non mancano quello alla Norma e quello allo speck e patate). Fuori: un impasto messo a punto con Petra 3 e Petra Evolutiva, la farina emblema di diversità. Perché frutto di un miscuglio di grani coltivati biologicamente in Sicilia, adattandosi al clima, alla terra e alla tecniche agricole. Un prodotto fuori dal coro, nato dal felice incontro fra i contadini di Simenza e i mugnai di Molino Quaglia, a Vighizzolo d’Este. “È una farina eccezionale”, dichiara orgoglioso Cannata. Che intanto realizza pure il pane cunzatu (farcito con verdure e salumi) e la focaccia messinese, con Petra 3 e grano tenero maiorca. “Giù la proponiamo addirittura in una ventina di versioni”, puntualizza Nicoletta.
E poi c’è lui: l’arancino 100% siciliano. Rigoroso, intransigente, incorruttibile. Dalla pelle al cuore. Dunque: panatura con i grani antichi; pastella con l'Evolutiva; ragù a base di pomodoro siccagno e carni di Massimiliano Castro (del Chiaramontano di Chiaramonte Golfi) e di Tino Pintaudi (di Brolo). E ancora, tuma e ragusano; piselli, sedano e carote dei Frutti del Sole di Marsala; zafferano ennese prodotto da Silvia Turco; nonché olio extravergine dei Monti Iblei, griffato Frantoi Cutrera. Mentre il riso è un carnaroli semintegrale dell’Agribioconti, l’azienda agricola di Nello Conti. Che conta risaie per una sessantina di ettari nella Piana di Catania. Insomma, un arancino - nel Messinese è al maschile - siciliano che più siciliano non potrebbe essere. “Lo preparo anche con la besciamella fatta in casa”, ricorda Cannata. Che prende il burro francese. “Ma mi sono fatto mandare un po’ di burro e di ricotta di capra da Giacomo Gatì”, precisa il bakery man, facendo riferimento a un altro socio di Simenza. Che alleva capre girgentane - dal folto pelo e dalle corna attorcigliate - e produce formaggi nell’azienda agricola Montalbo di Campobello di Licata. I grandi classici della rosticceria isolana non sono traditi. E lo street food diviene dotto e slow, servito in un ambiente dai toni bruniti.
Un luogo che ha per logo una spiga. Uno spazio capace di dar voce a un territorio generoso e operoso. Una bakery contemporanea, che si dipana fra tavolini e tavolo social - per condividere conoscenza ed esperienza -, laboratorio e cantina con etichette isolane. Fra le quali spicca il Grillo Cuvée Extra Dry della collezione Capovero by Cantine Madaudo di Villafranca Tirrena.
Non dimenticando le birre alla spina, targate dalla cooperativa Birrificio Messina. Che si aggiungono ad altre brassicole realtà in bottiglia. Vedi il birrificio Tarì di Modica, dove nasce "Trisca", una blanche dal profumo di limoni e dai sentori di coriandolo, zenzero e basilico. Ma vedi pure il birrificio catanese Timilia, che mutua il nome dall’antico grano duro - detto anche tumminia - col quale mette a punto la floreale e fruttata “Sicilian Blonde Ale”, la “Sicilian Red Ale”, complice l’arancia rossa, ma pure “La Mora”, carrube addicted. E la “Sisili”? È figlia di un’amicizia: quella fra il birrario Ivan Borsato (del microbirrificio trevigiano Casa Veccia) e il mugnaio di Castelvetrano Filippo Drago. Una birra secca e dissetante, in cui i veri protagonisti sono i grani antichi siciliani. Gli stessi che Cannata usa per fare il pane. Per un concept interamente made in Trinacria. Acqua inclusa, siglata Fontalba di Montalbano Elicona, sempre in terra di Messina.
Un'insegna volitiva e versatile, aperta dalle 7 alle 23 (eccetto il lunedì, aperta dalle 7 alle 16; e la domenica, aperta dalle 7 alle 14 e dalle 18 alle 23) e per questo in continua mutazione: dalla colazione alla merenda, dal lunch alla cena, passando per l’aperitivo. In cui divengono attori cestini di panini colmi di delizie, ideali con un drink o un calice di vino. E il caffè? C’è pure lui, targato Barbera (azienda casertana di Trentola Ducenta), per rendere gloria al rito del breakfast mattutino. Alimentato da crostate, biscotti, cannoli e brioche col tuppo. Con corredo di granita.
Un panificio dinamico, dove mangiare ma pure comprare. I prodotti esposti nelle nicchie alle pareti. Dall’extravergine dei Frantoi Cutrera alla pasta artigianale della maison modicana Minardo, sino alle conserve ennesi di Agrirape di Leonforte: confetture extra di albicocche e pesche gialle di Leonforte; marmellate di limoni e di arance rosse; nonché “Pastuca” e “Minnula”, ossia crema di pistacchio e di mandorla.
“Spero di avere una clientela che abbia voglia di comprendere il valore dell’integrale, del bio e dei sapori di una volta”, ammette Cannata. Milano è intelligente. Ascolterà e capirà.